Nicola Fano
Un libro tra letterature e vita

Prospettiva Sardegna

Massimo Onofri, con «Passaggio in Sardegna», ha applicato le armi del grande critico a se stesso. E il viaggio nell'Isola è diventato un viaggio dentro la propria vita

A mano a mano che andavo avanti nella lettura di Passaggio in Sardegna di Massimo Onofri (Giunti, 279 pagine, 12 euro) sentivo ronzarmi in testa una memoria confusa di tutte le varie letture che in passato avevo dedicato al cosiddetto “passaggio a Nord-Ovest”. È ben vero che chi entra in un libro ci mette del suo (anche alla luce del particolare momento che sta vivendo), ma credo che Massimo Onofri non si riferisse al passaggio al Nord-Ovest, quando ha deciso il titolo del suo nuovo libro.

Per chi non lo sapesse, il passaggio a Nord-Ovest è il percorso marino che collega l’Oceano Atlantico con quello Pacifico entrando nel Mar glaciale Artico del canale formato dalla Groenlandia e dal Canada e uscendone dallo stretto di Bering. Ebbene, il passaggio a Nord-Ovest – che oggi è diventato una navigazione quasi semplice per via dello scioglimento dei ghiacci artici – negli ultimi due secoli è stato un’ossessione da navigatori: un viaggio che i più hanno immaginato senza farlo. Senza poterlo fare: occorreva e occorre essere ragionevolmente ricchi per permetterselo. Io stesso, per dire, conosco a menadito coste, animali, uomini e colori di quel pezzo di mondo, pur senza esserci mai stato: è la quintessenza del “viaggiare da fermi”, come diceva un altro celebre Onofri, Sandro (di Massimo solo omonimo).

massimo onofri passaggio in sardegnaInsomma, pensavo a tutto questo leggendo il viaggio in Sardegna di Massimo Onofri perché sempre e comunque, nelle sue pagine, trionfa la sensibilità letteraria di chi vive la parte più impegnativa della propria vita da fermo (difficile leggere muovendosi, e Massimo Onofri legge per mestiere, oltre che per vocazione). Anche se il libro è sorprendentemente disseminato di annotazioni quasi turistiche, di riferimenti ai ristoranti con i menù e tutto il resto, ai luoghi dove dormire con le specifiche sul rapporto qualità prezzo… Mi sembra che Massimo Onofri con questo libro abbia voluto prima di tutto divertirsi. E forse cambiare passo rispetto alla sua vita precedente: come se un critico illustre all’improvviso sentisse il bisogno di guardare dentro di sé invece che applicare i propri strumenti di analisi del reale solo agli altri.

Massimo Onofri è un critico importante: insegna da anni all’Università di Sassari, scrive per numerose, prestigiose testate e ha firmato alcuni saggi che hanno fatto storia. Fin dal suo primissimo libro, Ingrati maestri (scritto una vita fa per un’Italia che non c’è più), dimostrò di avere la stoffa del grande: la storia successiva gli ha dato ragione. E qui, in questo buffo libro dove sembra mettersi a nudo più come uomo che come lettore (benché siano molte le pagine dedicate agli scrittori sardi, a cominciare dalla Deledda e da Mannuzzu, la cui passione ci accomuna), si toglie uno sfizio quasi da romanziere: i personaggi narrati sono (io credo) veri, reali; purtuttavia potrebbero ben essere inventati e non una virgola cambierebbe nell’emozione che il libro tramette. Non potrebbe essere altro che così giacché, al di là del divertimento stilistico, si tratta pur sempre di un libro amaro: la trama di una delusione sociale. Scrive Onofri: «Rispetto a quando sono arrivato in Sardegna fresco vincitore di concorso, io sono molto peggiorato, rincagnato come mi sento in una posizione di sempre maggiore arroccamento nel mio particulare. Pur conducendo una vita di soddisfazioni, e vivendo di ciò che ho sempre desiderato, non era questo il Paese che sognavo: un Paese, cioè, in cui sento perso qualsiasi vincolo d’appartenenza, che non sia quello della tribù, della corporazione e del clan, della famiglia». Com’è che siamo diventati così brutti?, si domanda qui e là sommessamente ma con fermezza l’autore. Purtroppo la risposta non è facile darsela: altro non possiamo dire se non che le nostre aspettative e i nostri auspici sono stati travolti dalla dittatura del cattivo gusto e della vita facile. E nessuno tra noi ha potuto o voluto (a seconda dei ruoli) far niente.

La delusione e la denuncia. Perché il libro di Massimo Onofri è dedicato anche a sfregiare la folkloristica cartolina sarda (quella «di chi nell’isola non ha mai messo piede»): personalmente, amando e rispettando questa terra con trattenuta devozione, ritengo peculiarità della Sardegna aver mantenuto un senso di identità e appartenenza molto forte. A dispetto di quanto è successo nel cosiddetto Continente. Ragione per la quale (e dopo aver letto questo libro ritengo che Massimo Onofri sia d’accordo) la Sardegna sempre più è altro dall’Italia: un mondo a sé; per molti e molti versi migliore dell’Italia che la sfrutta, la ignora e la umilia sovente. Se devo dirla tutta, la Sardegna che risalta dal libro di Massimo Onofri è uno spazio mentale (un meraviglioso spazio mentale): al di là delle spiagge strepitose, al di là delle Dolomiti del Limbara, al di là delle sontuose fortificazioni di Cagliari, al di là del desertico rigoglìo del nuorese. Un luogo dove ritrovarsi e trovare un nuovo senso di sé. Esattamente quello che è stato, per almeno due secoli, il passaggio a Nord-Ovest. Anche per «chi non ci ha mai messo piede» come me.

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