Valentina Mezzacappa
Un nuovo successo per il colosso inglese

La medicina teatrale

Il National Theatre porta in scena «Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte» di Marianne Elliott dal romanzo di Mark Haddon: la storia di un ragazzo che, indagando sul presente, ritrova la ragione delle sue paure passate

Penso che il teatro debba essere elaborazione in vivo, sintesi tra il fare e il pensare, manifestazione di una certa reattività critica. E credo anche che quella peculiarità critica insita nella natura del teatro conferisca tangibilità, opportunità di compartecipazione e umanità a ciò che questa forma espressiva comporta nella sua complessa totalità. Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte di Marianne Elliott (tratto dal celebre romanzo di Mark Haddon) incarna con consapevolezza e insaziabile quanto intelligente voglia di sperimentazione proprio questo. Il risultato è una trasposizione teatrale, di ciò che in origine era stata già di per sé una sfida letteraria, che riesce attraverso ricerca interdisciplinare, sperimentazione e humour ad affrontare con lucidità e toccante sensibilità un argomento, quello delle disabilità comportamentali, ancora poco conosciuto ai più.

Christopher (Luke Treadaway) ha quindici anni e soffre di un disturbo comportamentale che ricorda molto la sindrome di Asperger. Il suo mondo esteriore e interiore viene improvvisamente sconvolto quando scopre che il cane della vicina è stato brutalmente ucciso con un forcone. Christopher decide di indagare sulla morte dell’animale ma ben presto le sue indagini lo portano a delle scoperte che ribalteranno per sempre il suo modo di vivere la quotidianità e il suo disturbo.

La produzione di Elliott, targata National Theatre, inaugura un percorso che parte dall’unicità del proprio protagonista per approdare all’universalità, alla quale va riconosciuto un merito catartico importante. L’approdo finale del viaggio è infatti l’integrazione, che avviene sul piano narrativo e drammaturgico ma anche in platea. Attraverso una messa in scena multimediale ai cui attori viene richiesto di svolgere un lavoro durissimo che tocca in egual misura ogni aspetto della recitazione (voce, corpo, memoria, coinvolgimento emotivo…) la Elliott (nella foto sotto) racconta la quotidianità del disturbo, spinge lo spettatore passando per catartiche vie a guardare dentro se stesso e chiude il cerchio ritornando al punto di partenza, questa volta con una consapevolezza che coinvolge la sfera della conoscenza quanto quella dell’emotività. Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte è un biglietto di andata e ritorno e, come succede nella migliore tradizione del viaggio, il ritorno regala rinascita e conoscenza, a personaggi e spettatori.

Marianne ElliottDi questa produzione sono numerosissimi gli elementi che sorprendono. Non è solo il rapporto osmotico tra lo specifico e l’universale a stupire. È anche la capacità di catturare e concretizzare le qualità metapsichiche del disturbo di Christopher. E in questo la scenografia immaginata e realizzata da Bunny Christie non è solo propedeutica ma agisce anche come amplificatore. Lo spazio scenico (minimalista, multimediale, tecnologico) si accende, si spegne, si avvale di video installazioni, di vani segreti e elementi scenografici a scomparsa. In esso trovano perfetta sinergia l’antica tradizione delle macchine sceniche e la contemporanea e futuristica sperimentazione della video art. Quello che più stupisce però di questa scelta è il modo in cui essa faccia molto pensare alla rappresentazione di una rete neuronale biologica. La scenografia guida e aiuta lo spettatore nella comprensione del mondo di Christopher, dei suoi meccanismi cognitivi quanto il personaggio della maestra, Siobhan (Niamh Cusack), che vive nel qui e nell’ora della storia ma è allo stesso tempo coscienza del protagonista e entità meta-teatrale.

Sorprende inoltre il lavoro svolto sul corpo dell’attore, curato da Steven Hogget e Scott Graham (Frantic Assembly). Il risultato incanta e mesmerizza ma aiuta, coinvolgendo il sensibile, a capire con profondità come il “disturbo” di Christopher esiga organizzazione di spazi fisici e mentali e di come si possa arrivare a un certo grado di controllo di un mondo che può essere, a seconda degli stimoli del momento, terrificante, schiacciante, travolgente, ovattato, ma anche rassicurante e avvolgente.

Lo spettacolo affronta un altro tema sul quale bisognerebbe parlare di più, quello della maternità difficile. Ma si sa, vi sono aspetti dell’umana condizione la cui effettiva complessità ancora si fatica ad accettare, soprattutto quando la verità risulta così profondamente in disaccordo con immaginari collettivi e stereotipi vecchi di centinaia e centinaia di anni. La mamma di Christopher, Judy (Nicola Walker) non è una “mamma perfetta” ma una mamma che fatica a gestire se stessa e conseguentemente la condizione del figlio. Venendo a mancare la solidarietà e la comprensione del marito, Judy sprofonda in una solitudine logorante che la spinge a cercare affetto al di fuori della famiglia. Ne consegue una relazione extraconiugale che porterà al disgregamento di due matrimoni e alla bugia, ad opera dell’ex-marito, di un suo decesso per infarto cardiaco.

La pièce ancora una volta sgretola pregiudizi e stereotipi, mostrando quanto il superamento di questi possa portare a una soluzione (di certo non perfetta) e evitare penosi errori.

Il National Theatre fa centro di nuovo, anche se a dirla proprio tutta la seconda metà della rappresentazione non riesce a conservare il ritmo della prima. Vale la pena di visitare il sito ufficiale della compagnia e di esplorare i contenuti extra che offre, soprattutto i dietro le quinte delle produzioni. Il lavoro di ricerca svolto per Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte è davvero notevole e i risultati si vedono in scena senza dare la sensazione di un compito a casa svolto diligentemente. La Elliott e tutta la sua squadra hanno rielaborato e metabolizzato, hanno veramente fatto tesoro del periodo di prove. Gli extra meritano di essere visti perché offrono spunti di riflessione utili a chi va in scena per professione o passione ma anche a chi desidera semplicemente vivere con maggiore sensibilità la propria quotidianità.

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