Alberto Fraccacreta
Un saggio di Andrea Gareffi

Essere Montale

Tutta la produzione del poeta di “Ossi di seppia”, sin dagli esordi, è caratterizzata dalla relazione di elementi contraddittori ugualmente validi che amplificano la potenza del lirismo. Ai confini del metafisico…

«Codesto solo oggi possiamo dirti:/ ciò che non siamo, ciò che non vogliamo». La celeberrima formula ‘negativa’ di Eugenio Montale impegna ancora oggi, a novant’anni dalla pubblicazione degli Ossi di seppia, critica e lettori. Non è qui negata la trascendenza in senso stretto, ma in senso puramente platonico: ovvero il rimandare ad altro. La trascendenza non è alienazione, bensì pienezza del presente e dell’essere. È il vero empirismo di Bergson. Naturalmente esiste un’alterità assoluta che è fuori dalle cose, pur lasciando il suo marchio dentro le cose. La nuda Divinità è al di là del contenuto. In ciò Montale dispiega la sua teologia negativa, che è a un tempo dialettica negativa à la Adorno e teologia ‘inversa’. «Perciò preghiamo Dio di diventare liberi da Dio, e di concepire e godere eternamente la verità là dove l’angelo e la mosca e l’anima sono uguali: là dove stavo e volevo quello che ero, ed ero quel che volevo». Meister Eckhart, nei Sermoni tedeschi, sembra interpretare miracolosamente la verità di Non chiederci la parola. Volontà, essere ed esistenza sono le variabili dell’amore. E se l’amore è dove esiste la pienezza dell’essere e della volontà, è lì che noi non siamo.

cop montaleUna linea di pensiero decisiva per gli studi del forse più grande poeta del Novecento è offerta da Andrea Gareffi nel suo nuovo libro Montale antinomico e metafisico (Le Lettere, 216 pagine, 18 euro), il cui taglio critico è orientato nel rivelare le essenze stesse del temperamento di Arsenio per comprenderne a fondo la macchina poetica: l’aperta contraddizione del Dire, l’irrinunciabile tensione al misticismo mescolata a una requisizione dell’Indifferente, in scepsi. Gareffi sostiene a ragione che «per Montale il mondo metafisico è inferito nel mondo fisico e da lì indotto: non dunque iscritto nei cieli, ma dentro la cosa». Come Hölderlin, il poeta liminare celebrato da Heidegger, «anche Montale pensa per antinomie. Parte dal dato effettuale, l’occasione, e attraverso una catena di analogie sale e scende insieme la scala fino a toccarne i limiti. La sua è una poesia visionaria e metafisica, che si sporge verso l’oltranza, senza pur conseguirla».

Ma cos’è esattamente un’antinomia? L’antinomia si esprime innanzitutto attraverso l’algoritmo logistico. Secondo Pavel Florenskij, matematico e filosofo russo, tale è lo schema generale dell’antinomia: «posta una TESI p e un’ANTITESI –p: P = (p ∩ –p) ∩ V».

V è il segno della verità (veritas) e ∩ l’operatore della moltiplicazione logistica, cioè il simbolo della comunità dei termini entro i quali è posto. Dunque: «l’antinomia è una proposizione che essendo vera comprende in sé allo stesso tempo la tesi e l’antitesi e quindi è inaccessibile a qualsiasi obiezione». Eraclito con l’armonia nel disarmonico e Nietzsche con l’ottimismo tragico danno largo spazio alla dottrina paradossale che comprende ciò che è antinomico. Una proposizione di tal fatta mette in crisi il sistema logico-razionale, e si propone di superarlo allargando smisuratamente il campo della conoscenza. In effetti è connaturato a certe vette della poesia una personalissima misura del disordine, un’entropia lirica, se così si può dire. Anche in Platone, il più libetrico tra i filosofi, è presente un antinomismo che approfondisce l’abisso tra il ‘sì’ e il ‘no’.

Per fare un esempio esaustivo: “Dio è di un’unica sostanza (tesi) e triipostatico (antitesi)” è un’antinomia di natura dogmatica. Oppure la celebre definizione che lo stesso Eckhart dà del divino: «il modo è senza modo, perché Dio è nulla».

Tutta la poesia di Montale, sin dagli esordi, è caratterizzata dalla relazione di elementi contraddittori ugualmente validi che amplificano la potenza del lirismo e si pongono come vere e proprie sentenze a carattere translogico. «Le antinomie non sono ossimori: su di esse si fonda il pensiero, sugli ossimori le canzonette» tuona Gareffi con amabile verve umoristica.

Montale 2Qual è dunque il senso più ampio della produzione montaliana? «La poesia sta in quella “eternità d’istante” che si trova nella Bufera eponima del libro, sta riposta nella trama sonora, “eternità distante”, sta nella disgiunzione tra la forma scritta e quella orale. In modo che la poesia arriva dove non lo può il pensiero. Istante ed eternità, inconciliabili nella loro opposizione reciproca, eppure messi accanto dalla comune impossibilità di essere pensati. Ma la poesia può tentare di fare l’impossibile nel linguaggio».

In particolare nelle pieghe più accese dei versi di Eusebio l’Uno è negazione della negazione. «Tutte le creature – dice ancora Eckhart – portano in sé una negazione: l’una nega di essere l’altra. Un angelo nega di essere un altro. Dio, invece, ha una negazione della negazione; egli è Uno e nega tutto il resto, perché niente è al di fuori di Dio». Bellissimi sono i versi da Satura «Eppure non mi dà riposo/ sapere che in uno o in due noi siamo una sola cosa». L’uno non è l’altro, ma insieme sono negazione della negazione: un barbaglio di trascendenza.

«Bisognerà platonizzare, avere in mente san Bonaventura, l’amore scala a Dio. L’amore per la creatura che trasmoda nell’amore per il Creatore donde la creatura amata provenne e dove la creatura amante a sua volta si rende, anch’essa derivandone, e a questo si ricongiunge insieme alla creatura amata nel giro dell’uroboro del tempo, ricomponendo l’androgino originario».

Il viaggio della lirica montaliana conduce inequivocabilmente a un “tu”. Di qui la domanda sferzante di Gareffi in incipit al libro: «e se il “tu” di Montale fosse la poesia?».

Dicono che la mia

sia una poesia d’inappartenenza.

Ma s’era tua era di qualcuno:

di te che non sei più forma, ma essenza.

 

Facebooktwitterlinkedin