Pierre Chiartano
Cartolina da Tunisi

Tunisian Sniper

A Tunisi è appena uscito "American Sniper" di Clint Eastwood. Siamo andati a vederlo per capire perché anche qui è piaciuto tanto. Forse perché parla di popoli traditi. Come quello tunisino

«Trattieni il fiato prima di premere il grilletto» suggerisce l’istruttore dei Navy Seal. Pressione leggera, palpebra aperta, il cuore che rallenta, quasi a entrare in sintonia con quello che in pochi secondi cesserà di battere. Quello del tuo target. Chris Kyle è American Sniper. Siamo in una piccola sala di La Marsa a Tunisi. Le immagini del film scorrono: bagliori, ombre, suoni e silenzi. Non vola una mosca, nonostante la presenza di gruppi di ragazzi che rendono “tradizionalmente” ogni visione movimentata e commentata, da queste parti. Alla fine, non pochi gli applausi, tutti in piedi guardando gli spezzoni dei video sui veri funerali di Kyle. Ipnotizzati daĺle immagini della gente comune che dava l’ultimo saluto al militare, per assurdo, caduto in Patria. Migliaia per strada, agli incroci, sui ponti. Le bandiere in tutte le fogge e dimensioni, il cielo grigio, la lunga fila irregolare di lampeggianti. Senza retorica, ma viste di qua, dopo la tragedia del Bardo, le polemiche sul film, al di fuori delle differenti e legittime opinioni, perdono gran parte di senso. La morte è verità. Comunque succeda o la si racconti. Tutti sono in grado di capire e giudicare, che entrino a Saint Patrick per la novena a Lower Manhattan o nella moschea di al Fath di shera al Paris a Tunisi per ĺ’addhur, che giochino a golf su di un link californiano o che si sveglino ogni mattina nel cimitero del Cairo.

La storia interpretata da Bradley Cooper e diretta da Clint Eastwood non è apologetica, ma fenomenologica, in linea con una certa tradizione americana di fare cinema. È la foto della midclass americana che ancora “ci crede” ma che comincia ad avere dubbi, vessata, impoverita e forse tradita. È un’America che i tunisini possono rispettare anche quando non la amano. È l’empatia che scatta fra chi si sente “tradito”. Negli Usa, da un sistema che ha abusato della fiducia, del patriottismo, degli americani e di una certa incondizionata adesione a un modello di “democrazia” che si voleva funzionasse ovunque. Per infilare il Paese in una guerra infinita che l’ha quasi portato alla bancarotta (con la finanza corsara a dar manforte). In Tunisia, da una rivoluzione che forse non ha ancora dato i frutti voluti. Dalla corruzione che domina un modello economico congelato negli anni Settanta dal vecchio regime. Da una ricchezza che non produce posti di lavoro. Dalla convinzione di essere ancora “servi” di interessi altrui. Da  una violenza jihadista che vede la Tunisia al primo posto tra i paesi che forniscono foreign fighters allo Stato Islamico.

Fra vittime di tradimenti c’è spazio per attimi di comprensione, persino di empatia. Non vogliamo farne un’analisi sociologica. La nostra è stata solo una piccola finestra. Vale come provocazione rispetto a cio che ci si poteva aspettare: che non venisse proiettato. Ma vorrebbe essere un tentativo per spiegare quanto i problemi nascano dal manico. Dalle classi dirigenti occidentali e arabe, poco in sintonia  con la gente comune che governano. Un tentativo, forse inutile, per non far alzare il ponte levatoio all’Europa avviata sulla strada della xenofobia e all’Occidente, in generale, rassegnato ormai a far sfogare la violenza radicale, come fosse una febbre malarica, in una regione che ha smesso di comprendere. Accumulando errori su errori. Molti sono convinti che le post-primavere, con i loro esiti incerti se non disastrosi, abbiano certificato la necessità di “dittature”. Che la democrazia sia materia troppo complessa per chi avrebbe problemi già con la scuola dell’obbligo del vivere civile: la buona educazione.

tunisiaUna tesi comoda, pensando al fatto che anche in Occidente si vorrebbe retrocedere a un modello piu “snello” di governo. Sicuramente qualcosa di meno democratico. E gli “spauracchi” diventano utilissimi. La storia di Chris Kyle e la sua morte sono uno spaccato, quasi perfetto, del disorientamento che vive la gente comune. Non solo negli Usa. Uno degli effetti della globalizzazione è stato quello di aver avvicinato molto i modelli sociali e culturali (i detrattori direbbero omologato) di comunità un tempo lontanissime. Eastwood, trincerandosi dietro la negazione quasi ossessiva che la sua pellicola abbia un taglio politico di qualsivoglia tipo, ha raccontato molto bene, forse inconsapevolmente – ne dubitiamo – tale disorientamento.

Gli assi cartesiani del bene e del male che si incrociano sovrapponendosi, quando il protagonista ha nel mirino un bambino che stava raccogliendo un rpg, e tentava di usarlo. Quale logica fa diventare necessario uccidere un bambino? La follia di chi lo arma, l’incoscenza di chi gli spara? Dubbi che fanno il paio con quelli espressi dai ragazzi di cite Etthadamen, quartiere difficile e roccaforte salafita, oltre che criminale di Tunisi. Giovani che quando parlano di Stato islamico, sono confusi. In parte affascinati dalle leggende su Raqqa e sulla giustizia sociale. E in parte spaventati: «Musulmani che uccidono altri musulmani. Non lo capisco», ci raccontava uno di loro. Anche per loro gli assi cartesiani di giusto e sbagliato si stanno confondendo. Sì, è violenza cieca, ma la nuova Tunisia, in certi aspetti, assomiglia ancora alla vecchia. E il sentimento di “rivoluzione tradita” si alimenta. Alla stessa maniera la pancia dell’America guarda al prodotto di oltre un decennio di guerra al terrore. Crisi economica che ha colpito duro la midclass, migliaia di veterani lasciati ai margini della societa, ricchi sempre piu ricchi, poveri sempre piu poveri, l’American dream appannato. La sensazione che a Washington contino più le corporation dei caucus elettorali. La convinzione di non essere amati, se non odiati in diverse parti del mondo.

I tunisini stanno percorrendo a passi da gigante la strada degli eventi e presto dovranno affrontare una prova durissima. Lo tsunami dell’ultrafondamentalismo violento. Hanno le capacita per affrontarlo e abbastanza coraggio per sconfiggerlo. Un coraggio che li accomuna a molti personaggi del film di Clint Eastwood e che forse ha scatenato l’empatia. Kasserine, Qairouan, Ben Gardene, zone difficili di reclutamento jihadista, sono anche piene di gente onesta e coraggiosa che mette la faccia per combattere la violenza, le logiche assurde e le radici del male. Sono loro i nostri alleati, sono loro che non dobbiamo tradire. Ancora una volta.

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