Paolo Ranfagni
Il silenzio europeo dopo i morti del Bardo

Se l’Europa affoga

Il Mediterraneo e la mancanza di una politica di sviluppo in questa regione, rappresenta il grande buco nero dell'Unione Europea troppo squilibrata a Est. Come dimostra l'attentato di Tunisi

Battendo un colpo a Tunisi, il Califfato ha dichiarato definitivamente guerra all’Europa. E innanzi tutto all’Italia, che dell’Europa è la porta d’accesso dal sud, quella porta che l’Isis promette sempre più spesso di attraversare. Se finora l’attenzione dei terroristi si era concentrata, di volta in volta, su singoli paesi europei, ora il messaggio, oltre che alla Tunisia, pare puntare anche all’Unione. Parlano d’Europa sia la missione intrapresa, sia le vittime predestinate. L’obiettivo del gruppo terrorista non era il Parlamento tunisino, come si era in un primo momento ingenuamente ipotizzato, ma lo stesso Museo del Bardo, notoriamente visitato da un gran numero di turisti europei. Colpisce poi anche l’impegno con cui i terroristi si sono concentrati sui visitatori, soffermandosi con precisione chirurgica sul gruppo degli ostaggi, interrogati uno per uno in modo da conoscerne l’esatta provenienza. L’Isis finora non ha mai colpito a caso, ogni sua azione ha identificato un obiettivo specifico. A Bruxelles però nessuno è sembrato preoccuparsi che non solo della Tunisia, ma anche dell’Europa si trattasse. E questo la dice lunga sul grado di attenzione che l’Unione è solita riservare al Mediterraneo.

Ma tutti i nodi, prima o poi, vengono al pettine. Se l’Europa chiude la porta alla sua “culla”, poi deve essere pronta anche a prenderne le conseguenze. Se la sponda sud del Mediterraneo, grazie a quella porta sbarrata, è restata impermeabile ai valori occidentali e ha rimandato con grave ritardo la sfida della modernità, dovremo forse cominciare a chiederne conto ai paesi europei del nord, che guardavano altrove, e a quelli del sud, che si adeguavano a una geografia formale, tragicamente slegata dalla storia e dalla politica. Il Mare Nostrum, in tutti questi anni, non ha rappresentato altro che uno scomodo “Finisterrae” europeo, un problema di sicurezza delle frontiere, non lo storico ponte d’incontro tra nord e sud. Ma il Mediterraneo non è una frontiera, è un ponte.

Un timido tentativo di affrontare in questo senso la questione del Mediterraneo, dalla testa e non dalla coda, era nato con il Trattato di Maastricht, quando si trattava di addolcire ai paesi del sud (Francia, Italia, Spagna, Grecia) l’amara “pillola” del futuro allargamento promesso in massa ai paesi dell’est. Ma il pretenzioso “Processo di Barcellona” che ne era conseguito avrebbe finito per naufragare allegramente tra veti politici incrociati – primo fra tutti quello israeliano –, qualche finanziamento allo sviluppo gentile omaggio della Bei (Banca europea degli investimenti) e una buona dose di scambi culturali.

Superata senza troppi rimpianti la “pratica Med”, che si sarebbe poi trascinata a lungo senza frutto, si passò a preparare in pompa magna il grande allargamento del 2004, che avrebbe sancito l’ingresso nell’Unione, in un colpo solo, di otto paesi dell’Est, raggiunti tre anni dopo dagli ultimi due ritardatari. Dieci nuovi paesi dell’est, oltre alle due isole di Malta e Cipro, rappresentavano un impatto importante per l’Unione a 15, che già lamentava l’appesantimento portato in dote dagli euroscettici del Regno Unito. Si trattava di un risarcimento, recitava il mantra politically correct della Commissione europea, imposto dai lunghi anni di dittatura nel segno di Jalta. Certo, questa era la storia, ma il futuro lasciava già presagire la nascita di una nuova Europa “a trazione tedesca”, destinata a guardare sempre più verso i nuovi paesi dell’est, in ossequio alla geopolitica di Berlino.

L’asse originario che fino ad allora aveva guidato l’Europa veniva modificato nel profondo, portando a compimento un’operazione che nasceva come logica conseguenza della riunificazione tedesca. Era arrivato il tempo dello “strabismo europeo”, formula destinata a descrivere il tentativo – riuscito – di spostare il cuore dell’Europa dal suo asse centrale su cui era nata nel 1957, a quello orientale. La conseguenza naturale di questo spostamento era la progressiva emarginazione dei paesi dell’Europa mediterranea, a partire dall’Italia. Questo strabismo nel corso degli anni successivi non è diminuito, anzi oggi viene addirittura accentuato dalla crisi ucraina.

Quanto al Mediterraneo, tutti i progetti di integrazione, dal fallimento di Barcellona ad oggi, hanno dimostrato come una cooperazione “a mezzo servizio”, limitata ai settori dell’economia, della finanza e dell’energia, non fosse in grado di generare né coesione né stabilità. Resta pesante l’eredità di Barcellona con i limiti insuperabili di una cooperazione slegata da un quadro politico coerente e condiviso, e dell’incapacità a costruire istituzioni democratiche robuste, dopo che anche la stagione delle Primavere ha portato alla scoperto tutta una serie di criticità sommerse.

Così il Mediterraneo, risorsa eccezionale per tre continenti, si presenta oggi ricco di connessioni economiche ed energetiche, ma tuttora impedito a partecipare ad uno spazio unico comune di sicurezza e di stabilità politica, a prescindere dalla forma che tale spazio potrebbe assumere. Sicuramente non è solo un problema di sicurezza, da scaricare sui paesi, come l’Italia, che si trovano nella sua prossimità, quasi fosse una questione di politica nazionale.

Oggi l’Europa non è capace di esprimere una politica per il Mediterraneo. La sua incapacità progettuale è riuscita in Libia nell’impresa di far rimpiangere Gheddafi, generando i mostri di un paese fallito e diviso, con due governi e due parlamenti che non riescono a dialogare tra loro neppure per salvarsi dalla minaccia dell’Isis. Ma non ha saputo neppure aiutare e indirizzare il “miracolo” tunisino del cammino dalla dittatura alla democrazia, la cui debolezza è ancora grande, come l’attacco terrorista al Museo del Bardo ha voluto sottolineare.

Questa Europa “strabica” si è barricata sul proprio atlante geografico continentale, nell’illusione di santificare un mondo pacifico ed egoista senza guerre, giocoforza precluso agli abitanti della sponda meridionale.

Come rispondere alla sfida del Bardo? Ci sarebbe bisogno di più coraggio e di maggiore consapevolezza dell’importanza del problema per costruire una strategia di respiro che aspiri a rendere più stabile e meno illiberale l’area che si affaccia sulla sponda meridionale del Mare Nostrum. L’Europa avrebbe solo da guadagnarci. Ma, a parte l’emozione recente del grande bagno di folla con cui Tunisi ha voluto ribadire l’impegno deciso a sconfiggere il terrorismo, è evidente che sarà necessario un forte supporto internazionale, soprattutto europeo. E non possiamo dimenticare che l’Europa ha sempre deluso le aspettative, anche quelle che erano nate dalle “Primavere arabe” e che, per consolidarsi, reclamavano un aiuto concreto che non è mai arrivato. Oggi di quella stagione di grandi illusioni perdute sopravvive appena il “miracolo” tunisino. E non è un caso che proprio da Tunisi sia arrivata la sfida che parla direttamente all’Europa. Il tempo a disposizione è finito.

Facebooktwitterlinkedin