Marzia Pinotti
Storia di una reciproca educazione

Tra vino e libri

“Gli ignoranti”, graphic novel del fumettista francese Étienne Davodeau, scava con ingegno, competenza e potenza espressiva nelle relazioni e nelle analogie esistenti tra due elementi essenziali alla nostra umanità. A cominciare dalla degustazione...

Scrivere di vino è un’operazione tutt’altro che semplice perché impone a chi si cimenti nell’impresa di affrontare un universo multidisciplinare. Infatti, al contrario di quanto si potrebbe pensare, il vino (forse perché accompagna il cammino dell’umanità da almeno 7500 anni) è molto più di una semplice bevanda. Quando non ci si limiti a descrivere le caratteristiche organolettiche e le impressioni sensoriali che ne derivano, scrivere di vino significa trovarsi inevitabilmente a sfiorare temi e discipline, molto distanti tra loro, che concorrono tutte allo stesso modo a ricomporre un’immagine della sua natura profonda: da un lato, la chimica dei suoli, la fisiologia della vite, i fenomeni biochimici e le pratiche agronomiche, dall’altro, l’economia, il diritto, la politica, la filosofia, la storia e il genere della biografia.

La premessa è doverosa per comprendere perché i libri che si cimentano nell’impresa siano così pochi. Di recente, però, è uscito un libro che affronta tutto questo in modo sorprendente. Sorprendente, non solo perché è un graphic novel dedicato al mondo del vino, ma anche perché affronta la complessità con successo. Si tratta di Gli ignoranti. Vino e libri: diario di una reciproca educazione, opera di Étienne Davodeau, famoso fumettista francese e autore-culto di reportage a fumetti, magistralmente tradotta e pubblicata da Porthos Edizioni. Al centro del racconto c’è il legame profondo che intercorre tra il Vino e il Tempo. In modo inconsueto, ma coerente con una certa idea di Tempo, l’autore sceglie di raccontarlo non risalendo ai primordi della viticoltura, bensì seguendo il ciclo annuale della vite e dell’uomo (i quali, non a caso, nella storia hanno gli stessi anni: cinquanta). Per far questo, Davodeau si arma di una straordinaria forza grafica e poetica per narrare non solo i fenomeni naturali, ma anche i moti del cuore, senza i quali il vino, nel suo significato più profondo, non potrebbe esistere.

Ignoranti copL’idea è semplice e, al tempo stesso, ingegnosa: scegliere un amico vignaiolo – Richard Leroy – e vivere con lui a stretto contatto per un anno, raccontando il complesso mondo del vino (e del fumetto) in diciannove mosse e facendo emergere le numerose analogie esistenti tra vini e libri nel corso di un’educazione sentimentale reciproca. Grazie alla potenza espressiva dell’immagine, l’autore riesce a toccare con leggerezza e ironia non solo la maggior parte degli argomenti agronomici (potatura, diserbo meccanico, trattamenti, potatura verde, vendemmia) e delle pratiche di cantina (scelta dei legni, fermentazione alcolica e malolattica, solfitazione, colmatura, travaso, imbottigliamento), ma anche questioni apparentemente marginali, quali le certificazioni biologiche, il rifiuto di essere etichettati, la veridicità della teoria biodinamica, la seccatura arrecata dalla gestione delle vendite e il difficile rapporto con la burocrazia, l’importanza della politica, il rifiuto delle denominazioni in nome della massima libertà espressiva. Ma non è tutto.

Davodeau si spinge oltre, scavando nel profondo intrico di relazioni e di analogie che esistono tra vini e libri. E così, ad esempio, il microcosmo della tipografia fluisce nel capitolo successivo, senza soluzione di continuità, all’interno del microcosmo della tonnellerie, il luogo sacro dove vengono forgiate le botti. Infatti, tanto quello del tipografo, quanto quello del bottaio, sono mondi dominati da alberi tagliati («scusate, alberi», sussurra il vignaiolo) in nome dell’arte e della libertà di espressione (libri o vini che siano). La qualità del proprio lavoro dipende unicamente dalla professionalità di chi vi lavora: tanto il bottaio al vignaiolo, quanto il tipografo al fumettista, possono infatti rovinare il lavoro di un anno.

Altri esempi non mancano. Vini e libri devono avere qualcosa da dire, perché sono delle narrazioni, e non possono piacere a tutti, perché entrambi vivono di soggettività. Possono anche essere incompresi, purché siano coerenti con la visione del mondo che propongono, e servono principalmente a confrontarsi con le storie che raccontano. In fondo, non sono poi così diversi. Entrambi esigono l’instaurarsi di una relazione, anche a distanza. Entrambi esigono di restare artigianali per riuscire a esercitare un controllo sulla qualità del lavoro. Ed entrambi esigono uno scambio, che coinvolge sensi ed emozioni: «La degustazione di un libro – commenta l’autore – può darsi che sia più solitaria di quella di un vino, ma c’è questo in comune, che il loro gusto si dipana e si affina parlandone». C’è bisogno dell’Altro, insomma, lettore o bevitore appassionato che sia, per condividere un’esperienza e un linguaggio comune. Nel segno della condivisione, il libro non può che chiudersi con un incontro: autore, personaggi di fumetti e lettori, vignaioli e bevitori appassionati si ritrovano tutti riuniti sotto un ciliegio, a raccontare ciascuno la propria storia. Che, in fondo, è una storia d’amore.

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