Pier Mario Fasanotti
Lo polemica sollevata da Succedeoggi

Il gialletto Mondadori

Il supercolosso editoriale Mondadori/Rcs (che sta per nascere nel silenzio generale) non risolverà il problema centrale della nostra editoria: l'incapacità di trovare libri e autori “nuovi” e non necessariamente "potenti"

Avremo un super colosso dell’editoria dopo l’annuncio della Mondadori che sta per ingoiare, e teoricamente salvare, la Rizzoli che è in cattive acque. In questo spazio sono intervenuti Nicola Fano (clicca qui per leggere l’intervento) e Sandra Petrignani (clicca qui per leggere l’intervento), commentando quello che realmente è un terremoto. Entrambi sono persone, per dirla scherzosamente, «molto informate sui fatti» avendo esperienze vaste nel campo del giornalismo e dell’editoria. Concordo con Fano quando si dice inquieto a causa del silenzio che avvolge la vicenda. Un torpore politico che non fa che alimentare interrogativi e sospetti. Il ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, si è detto «preoccupato» per la vicenda del futuro monopolio (lo sarà di fatto) editoriale. Vale ricordare che in nessun paese europeo esiste una concentrazione delle dimensioni che andranno a crearsi con la fusione di Mondadori e Rizzoli, ossia oltre il 40 per cento (e il 75 per cento dei tascabili). Per dire: la fusione tra Penguin e Random House, due giganti, ha creato sì un colosso, ma che per l’Inghilterra vale tutto insieme il 26 per cento, e cioè proprio la quota che Mondadori ha oggi in Italia. Il premier Matteo Renzi, in controdentenza rispetto al numero e alla reiterazione dei suoi annunci e commenti, si è limitato a prendere atto della preoccupazione del suo sensibile ministro. Il resto è silenzio, come ha detto un grande poeta. Il matrimonio tra la casa editrice di Segrate e il gruppo fino a ieri sua rivale, ha un’importanza tale che dovrebbe generare uno scoppiettio di voci, una chiassosa giostra di petardi napoletani. Invece niente.

Non che sia stupito più di tanto: più del 60 per cento degli italiani non tocca un libro nel corso dell’anno. Certamente è spiacevole ricordare che Benito Mussolini, buon annusatore degli umori italici, contava sul fatto che i suoi connazionali plaudivano alla severa puntualità dei treni mentre la maggioranza se ne fregava dei tagli censori del Minculpop. La libertà di parola, quindi di critica, passava bellamente in secondo piano: il “panem et cincenses” era la bandiera preferita del Duce e se uno come Benedetto Croce mugugnava, il “mascellone” di piazza Venezia sapeva che erano lamentazioni che non uscivano dagli scantinati, sussurri destinati a rimanere tali. Quanto ai giornali, è vistoso il calo di vendite così come è deludente constatare che continuano a vendere (a volte molto, in relazione a questo periodo di crisi) i periodici di gossip. Tuttavia dietro alla vicenda c’è la ri-discesa in campo di Silvio Berlusconi, che proprio non ha alcuna intenzione di godersi vacanze da estasi in una delle sue tante ville.

libreria mondadoriDal punto di vista imprenditoriale è più vispo che mai, a tal punto da lanciare un’Opa sui trasmettitori Rai, guardacaso nello stesso giorno in cui il governo annunciava l’abbassamento della quota di proprietà statale all’interno dell’Enel. Un’Opa dell’80 per cento in teoria è contro la legge. Siccome i legali dell’ex Unto dal Signore non sono davvero degli imbecilli, c’è da chiedersi perché abbiano buttato sul tavolo verde della finanza questa carta scottante e vistosamente non corretta. Ci penserà la Commissione Anti-Trust? E chi lo sa, visto che si sa poco di tutto? Il ritrovato passo veloce del Berlusconi, che maneggia le carte economico-finanziarie con una rapidità sbalorditiva, assieme alla prudenza fonica di Renzi ci induce a fare un mestiere molto, ma molto, antipatico: quello della dietrologia. Domanda: non è che il cosiddetto “patto del Nazzareno” sia un contenitore di più cose rispetto a quelle che ingenuamente noi immaginiamo? In altri termini: ci potrebbe essere, in quell’intesa dai contorni nebbiosi, anche un placet a operazioni economiche che, sempre in teoria, dovrebbero scandalizzare la sinistra?

Giustamente Nicola Fano s’indigna di fronte alla afasia del Pd e del gruppo dissidente interno al partito. Mi associo: sia al fatto, sia al dubbio. Sandra Petrignani, altrettanto giustamente, pone questa domanda: senza l’intervento della Mondadori chi si preoccupa della bancarotta della Rizzoli? Nella sostanza ha ragione perché è ormai nota l’assenza o l’imperizia dei “soi-disant” capitani coraggiosi (ricordiamoci dell’Alitalia, per favore) dell’imprenditoria italiana.

Non mi trova d’accordo, invece, quando scrive che la mossa di Segrate potrebbe evitare l’acquisizione della Rizzoli da parte di Amazon. Addirittura! Premesso che non mi occupo di economia aziendale, materia in cui dichiaro la mia ignoranza, mi appello alla logica. O se volete, al buon senso. Già: che senso avrebbe l’interesse di Amazon che per antonomasia fa guerra alla carta stampata? Per avere in pancia un verme solitario che, giorno dopo giorno, fa ammalare l’organismo? Per distruggere la Rizzoli o convertirla in una catena di bed and breakfast? In ogni caso ciò che mi preoccupa, non ora ma da tempo, è il fatto che siano in crisi le grandi case editrici italiane. Quelle medio-piccole, nel mezzo del mar di questa crisi, hanno spunti inventivi che i giganti, così bolsi e prevedibili, non hanno. L’editoria spesso è data in mano, nei ranghi superiori, a dirigenti che fino a ieri si sono occupati di carne in scatola. Che ne sanno di libri o del mercato dei medesimi così strettamente legato al valore della pagina scritta?

Poi ci sono gli editor. Tanti, a seconda dei settori. Sono quelli che propongono alle riunioni ove si decide che cosa va pubblicato e che cosa va nel cestino. Ci sanno fare? A parte certe eccezioni, no. Sarebbe facile per molti scegliere titoli “sicuri” scorrendo le classifiche dei più venduti all’estero. Accostarsi, con un dattiloscritto sottobraccio, a un editor è come il gioco della roulette russa. Puoi venire ammazzato a bruciapelo dal proiettile della delusione. Ma, anche se ti va bene, rischi sempre di galleggiare sulle mille-tremila copie di venduto. Pure in una grande casa editrice. Tanto è vero che alcuni scrittori hanno levato le tende e sono passati a editori più piccoli. E più “accudenti”. Ben sapendo che una Rizzoli (o una Mondadori) ha già le idee chiarissime sull’autore da spingere ai premi letterari che contano di più (Strega, Viareggio e Campiello).

Ora racconto la vicenda di un mio amico che, per rispetto della sua privacy, chiameremo Alberto. Scrive bene, ha un curriculum non strepitoso, ma dignitoso sì. Ha però un difetto: non ha un “padrino” (parola sostituita oggi, in modo filisteo, da un’altra: “sponsor”). Ebbene, il mio amico Alberto incontra un editor di un colosso editoriale, che già conosceva. Gli porta un romanzo e avverte immediatamente un leggero disgusto increspare le labbra di chi ha di fronte. L’editor, con un sorriso che brutale è dir poco, gli dice: «Non sarà mica un gialletto, pallido pallido come quelli che m’arrivano ogni settimana?». Alberto risponde che è un giallo. Immediata reazione dell’editor: «Ma come posso convincere venditori e librerie a distribuire un libro di uno come te che ha i capelli grigi?». Il mio amico avrebbe voglia di rovesciargli addosso la scrivania, ma riesce a trattenersi. Anzi, chiede: «E se usassi uno pseudonimo dicendo nel risvolto di copertina che ho 25 anni?». Risposta: «Ah, questo sarebbe più interessante. Figurati, ho qui un giallo di uno che conta molto nel mondo editoriale… ma sarà il solito gialletto… gli dovrò dire di no». Fine dell’incontro. Risultato: il romanzo giallo della persona “importante” è dato alle stampe, mentre Alberto si rivolge a un agente letterario coltivando una certa speranza.

gruppo rcsCi sono poi autori editi dalle grandi case, e poi dimenticati. In questo settore ci sono somiglianze con il calcio: meglio comprare un fuoriclasse straniero (pagando a volte cifre spropositate) che puntare sul vivaio delle società, quello che gli spagnoli chiamano la “cantera”. Davvero pochi, anzi pochissimi, editor “allevano” i loro autori, parlano con loro di progetti. È raro trovare un editor che incoraggia, discute una trama, un’idea, convoca lo scrittore e si informa su cosa sta pensando o scrivendo. L’autore che per caso (o perché spinto come un cavallo sul quale si è puntato o scommesso) ha superato la fatidica soglia delle diecimila copie viene invece vezzeggiato. Questo il comportamento degli editor? Questo è il comportamento standard? Una Rizzoli (o una Mondadori) potrebbe essere acquisita anche da un magnate di Abu Dabi, ma se non cambia il modo di scegliere e trattare gli scrittori, andrebbe comunque alla rovina. Il tempo di festeggiare il salvataggio e siamo di nuovo nelle mani di chi ha diretto una società che produce carne in scatola o di editor che, malgrado sappia a memoria la Recherche di Proust, non sa fare il suo mestiere. Detto tra parentesi: Proust venne rifiutato, così come Primo Levi, salvo poi essere pubblicato dalla stessa casa editrice che gli aveva detto no, e questo grazie all’intervento di Natalia Ginzburg.

Tra le eccezioni più desolanti figurano quelli che sono famosi per meriti televisivi (o perlomeno per il numero delle presenze sul piccolo schermo o nei grandi spazi musicali). Fabio Volo ha una scrittura banale, ma è stato dee-jay, attore, intrattenitore. Un editore sarebbe in grado di dire no a Lorenzo Jovanotti? Se le pagine che porta sono sconclusionate, ci pensa quell’operazione che si chiama editing, che poi è il lifting della carta stampata. Si vende il nome non il contenuto. Non a caso ho preso in prestito il dirigente della società che distribuisce carne in scatola. Esperto di etichette. Quando va bene.

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