Odetta Melazzini
Radiografia del terrorismo/7

Educazione mujahidin

La dottrina islamica è un coacervo di norme e interpretazioni: il concetto stesso di mujahidin, ossia di combattente per la fede, è intriso di ambiguità. Tanto da consentire al radicalismo di usarlo direttamente contro l'islam

Secondo il Corano, la shari’a distingue tra credenti musulmani, credenti di religioni Abramitiche (Cristianesimo e Ebraismo), pagani o persone di religioni politeiste. Come monoteisti, cristiani ed ebrei sono tradizionalmente considerati “Persone del Libro”, ed è sempre stato permesso loro di avere uno speciale status detto dhimmi che deriva da un contratto teorico chiamato dhimma. Ci sono norme simili nel diritto romano e in quello ebraico. I governi musulmani nella zona indiana estesero senza difficoltà il dhimmi agli Indù e ai Buddisti. Nelle società islamiche medioevali, il qadi (giudice islamico) di solito non poteva interferire nelle materie dei non musulmani finché le parti volontariamente non avessero sceglieltyo di essere giudicare secondo la legge islamica, perciò le comunità dhimmi che vivevano negli stati islamici di solito avevano le loro proprie leggi indipendenti dalla shari’a, come gli ebrei avevano le loro corti Halakha. Queste corti, comunque, non si occupavano degli altri gruppi religiosi, delle offese capitali o delle minacce all’ordine pubblico. Dal XVIII secolo, comunque, i dhimmi frequentemente facevano riferimento alle corti islamiche Ottomane, dove venivano condotti dai musulmani, o facevano causa ai musulmani o a altri dhimmi. I giuramenti effettuati dai dhimmi in queste corti erano personalizzati a seconda del loro credo.

Ai non musulmani era concesso dedicarsi ad alcune pratiche (ad esempio il consumo dell’alcol o del maiale) che erano proibite dalla legge islamica. Le minoranze religiose erano anche libere di fare qualunque cosa volessero nelle loro case, facendo attenzione a non agire in pubblico con atti sessuali illeciti che potessero minacciare la pubblica morale.

soldatini islamici2Ad ogni modo, la dhimma, il contratto classico non fu rispettato per molto tempo. L’influenza occidentale è stata determinante per l’eliminazione delle restrizioni e delle protezioni del contratto dhimma, così contribuendo all’attuale stato di relazioni tra musulmani e non musulmani che vivono in Stati islamici. Oggi, se da una parte i dhimmi sono esclusi dai privilegi tipicamente islamici, d’altro lato sono anche esclusi dagli obblighi islamici, mentre per il resto, musulmani e dhimmi sono praticamente uguali per quanto riguarda leggi di proprietà, contratti e obbligazioni.

Resta, però, il fatto che i credenti di religioni Abramitiche si trovano in una posizione di privilegio rispetto ai credenti di altre religioni e che la dhimma è, in sostanza, un contratto teorico che tutti riconoscono. Dobbiamo capire in che modo e perché l’infedele cristiano o ebreo decade da questa situazione di privilegio rispetto agli altri non musulmani. Essendo la dhimma un contratto bilaterale, si risolve quando uno dei contraenti viene meno al suo impegno. L’obbligo della ummah islamica verso l’infedele decade quando l’infedele non mantiene i suoi obblighi e, cioè, quando prende le armi contro i musulmani, rifiuta obbedienza all’imam, dà informazioni ai nemici dell’Islam, dà ricovero a una spia nemica, rapisce o seduce una donna musulmana, oltraggia dio o il Suo Libro o uno dei Profeti, distoglie un musulmano dall’Islam e lo converte alla sua fede; in questi casi il contratto di protezione si scioglie e all’infedele si applica la pena di morte.

soldatini islamiciInfine, secondo le opere di diritto islamico, sono due le categorie di nemici credenti contro i quali può legittimamente essere mossa guerra: i banditi e i ribelli. I banditi, inclusi i ladri di strada, i briganti e i pirati devono essere combattuti allo stesso modo dei ribelli, ma con certe differenze che furono indicate dal giurista al-Mawardi (972-1058 d.C.). È legittimo combattere e eliminare i banditi, siano essi all’attacco o in ritirata, mentre non lo è inseguire i ribelli in fuga; è lecito condurre una campagna di sterminio contro gli omicidi, ma non contro i ribelli; i banditi, a differenza dei ribelli, sono ritenuti responsabili del sangue versato e dei beni di cui si impossessano in guerra; i ribelli catturati non possono essere imprigionati, i banditi possono essere incarcerati durante l’inchiesta. Con queste differenze si vuole distinguere fra semplici criminali e forze di una potenza rivale, alla quale vengono riconosciuti certi diritti di belligerante.

Il combattente del jihad è chiamato mujahid o jihadid e il secondo termine appare spesso nei casi in cui l’uso moderno vorrebbe l’utilizzo della parola “militare”. I mujahidin possono essere solo i fedeli musulmani che possiedono determinati requisiti; essi devono essere puberi, sani di mente, di sesso maschile, sani di corpo, economicamente indipendenti, prima di partire devono chiedere l’autorizzazione ai genitori, devono intraprendere la guerra in buona fede e obbedire al comandante dell’esercito. Il ruolo della donna è solo quello di allevare i propri figli perché costoro diventino coraggiosi e affettuosi, audaci e sensibili e timorosi di nessun altro all’infuori di Allah. Devono educarli come tali non solo spiritualmente, ma anche in termini di abilità fisiche e addestramento; la chiave è instillare questi valori in loro mentre sono neonati.

soldatini islamici4Nell’articolo «Il ruolo delle sorelle nel jihad» pubblicato su un sito web di guerriglieri islamici ceceni adesso non più accessibile, si davano alcuni suggerimenti pratici su come allevare dei buoni mujahidin. Per fare alcuni esempi si possono citare alcune indicazioni del testo: «Enfatizzate, mentre disciplinate giovani bambini, che non devono colpire un musulmano, piuttosto perdonare e solamente esibire la loro rabbia sui nemici di Allah che combattono contro i musulmani; eliminate la televisione completamente se potete (più che altro insegna a non avere alcuna vergogna, anarchia e violenza) e tenete d’occhio che compagnia ha vostro figlio; se non potete eliminare completamente la televisione, almeno usatela solamente per mostrare ai bambini video che instilleranno in loro l’amore per l’Islam, l’amore per i mujahidin e l’amore per il jihad; rendete molto chiaro chi dovrebbe essere il loro bersaglio e chi non dovrebbe essere. Questo può essere fatto mediante pistole giocattolo e set di giocattoli militari, così come impegnarli in sport che sviluppano una buona coordinazione dell’occhio, come freccette e tiro con l’arco; interessate i vostri giovani bambini al jihad comprando libri militari (preferibilmente con fotografie) ed altri libri simili e video. Una madre conosce molto bene la versatilità dei propri figli. Lei può incoraggiare i suoi figli verso gli aspetti rilevanti del jihad».

Un altro tipo di combattente è il fida’i, termine usato già nell’Alto Medioevo, e oggi nuovamente popolare. Letteralmente fida’i significa «colui che è disposto a dare la sua vita per un altro» e fu in origine adottato in Iran e in Siria dagli emissari del capo ismaelita conosciuto come “Vecchio della Montagna”. La loro missione era servire terrorizzando i nemici con l’assassinio di qualche personaggio di spicco; solitamente i combattenti morivano durante la missione. Le lingue occidentali si arricchiscono così della parola “assassino”, portata dai crociati, mentre le lingue dell’Islam di un termine indicante il “devoto totale” pronto a sacrificare alla causa la vita propria ed altrui. Dopo l’eliminazione degli Assassini da parte dei mongoli in Iran e da parte dei mamelucchi in Siria nel XIII secolo, il termine fida’i cadde in disuso. A metà del XIX secolo la parola fida’i fu riattivata dai personaggi che cospiravano contro il sultano e, da allora in poi, è usata da vari gruppi in Iran, nei paesi arabi e altrove.

soldatini islamici5La guerra santa è raccomandata teoricamente almeno una volta all’anno contro gli infedeli. L’attacco deve essere preceduto da un chiaro invito a convertirsi.

Secondo la dottrina il jihad costituisce uno stato di guerra momentaneo che avrà termine quando non ci saranno più infedeli. Finché questo piano universalistico non sarà realizzato, vi sarà una spaccatura insanabile tra il dar al-Islam e il dar al-harb.

Dopo aver illustrato il jihad conflitto armato, occorre comprendere l’altro significato attribuibile alla parola stessa, cioè quello di tensione pacifica sulla via di Allah.

Verso la fine dell’VIII secolo i sufi, i mistici islamici, posero la distinzione tra “piccolo jihad”, inteso come la lotta armata contro nemici esterni e “grande jihad”, nella sua accezione non violenta di lotta per il superamento di sé e per il raggiungimento dei valori spirituali supremi. A proposito si narra che il Profeta, interrogato da un ragazzino desideroso di andare a combattere contro i nemici dell’Islam, gli disse: «Hai ancora i genitori?», e alla risposta affermativa, replicò: «Allora il tuo jihad è stare accanto a loro». Qui si coglie la vera distinzione tra il piccolo e il grande jihad, basata su un altro hadith secondo cui Muhammad, rientrando da una razzia avrebbe detto: «Ora torniamo dal piccolo jihad al grande jihad». Quando gli fu chiesto cosa intendesse per grande jihad egli rispose: «È lo sforzo contro noi stessi», rivolto cioè a migliorare il comportamento etico del credente. Il grande jihad è quello delle intenzioni e del cuore, è lo sforzo per la propagazione e la testimonianza dell’Islam, che ogni buon musulmano deve compiere per vincere le infinite tentazioni della quotidianità. È un jihad pacifico e lo stesso ayatollah Khomeyni ne fu un gran teorizzatore.

Durante l’età moderna, durante il colonialismo europeo la nozione di jihad come lotta armata conobbe un lento declino e si cercò di tornare al suo significato originario, quello di sforzo morale, di grande jihad.

soldatini ismaici3Solo nel XX secolo il concetto di jihad è stato oggetto di nuove interpretazioni politiche. A partire dagli anni Settanta del secolo scorso si è assistito ad una radicalizzazione dell’idea di jihad all’interno di numerosi gruppi estremistici, numericamente scarsi ma assai ben organizzati. Del resto, la questione di quale autorità musulmana possa dichiarare il jihad è divenuta problematica da quando, il 3 marzo 1924, Kemal Ataturk abolì il califfato, che i sultani Ottomani detenevano dal 1517. Oggi, a causa della mancanza di organizzazione ecclesiastica all’interno della vasta maggioranza dei musulmani, qualsiasi aderente può autoproclamarsi ‘ulim (esperto in materia di religione) e proclamare il jihad. In assenza di un califfo, i soli politici islamici autorevoli, di fatto, sembrerebbero essere i governi dei moderni Stati-nazione musulmani emersi dagli sconvolgimenti della prima parte del ventesimo secolo. Comunque, i militanti islamici reputarono che gli Stati moderni emersi a metà XX secolo fossero non islamici e non rappresentativi di società islamiche poiché appoggiati da paesi occidentali. Di conseguenza, molti movimenti si sono presi il compito di dichiarare jihad, scavalcando l’autorità tanto degli Stati quanto degli esperti religiosi tradizionali. Tra questi gruppi si possono annoverare Al Qaeda nella Penisola Araba (AQAP), Al Qaeda nel Maghreb (AQIM), Laskar jihad (presente in Indonesia), Harakat ul jihad (che ha causato molti scontri in Kashmir), l’ISIS (lo Stato Islamico in Iraq e Siria), Boko Haram (Nigeria), Al-Shabab (Somalia), Talebani (Afghanistan), Ansar al-Sharia in Libia, Ansar al-Sharia in Tunisia, Abu Sayyaf (Filippine), Ansar Bayt Al-Maqdis (Egitto) e altri gruppi minori.

Il fatto più preoccupante è che tutti i gruppi radicali che inneggiano al jihad, nonostante i loro atti di violenza inaudita, traggono sempre nuovo alimento dalla povertà e miseria diffuse nei paesi islamici e dall’insensibilità delle élite di governo di molti di questi paesi, che sanno rispondere ai problemi solo con la violenza di stato, mentre sono proprio questi gruppi che realizzano delle iniziative sociali a favore degli strati più poveri della popolazione, sostenendo spesso finanziariamente scuole, orfanotrofi, moschee, ospedali, mense popolari e palestre.

7. Continua

Clicca qui per leggere la prima parte: «Gli islam del mondo»

Clicca qui per leggere la seconda parte: «I verbi di Dio»

Clicca qui per leggere la terza parte: «La catena dell’islam»

Clicca qui per leggere la quarta parte: «Islam, pene e delitti»

Clicca qui per leggere la quinta parte: «La casa dell’islam»

Clicca qui per leggere la sesta parte: «Jihad, le guerre sante»

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