Francesco Arturo Saponaro
A proposito dell'opera in forma di concerto

Aida, celeste davvero

Resa musicale strepitosa, cast stellare all'altezza delle aspettative, impressionante consapevolezza interpretativa. Ecco come e perché Sir Antonio Pappano ha fatto ancora una volta centro. Con Verdi al Parco della Musica di Roma. (In attesa del cd...)

Era attesa come l’evento della stagione. In ogni caso, tra gli appuntamenti principali nel cartellone dell’Accademia di Santa Cecilia. L’Aida in forma di concerto, sotto la direzione di Antonio Pappano e con un cast stellare, il tutto finalizzato a un’incisione discografica, ha riempito la sala grande del Parco della Musica in Roma, lasciando fuori i molti che non avevano acquistato il biglietto per tempo. Anche perché si è trattato di una sola esecuzione e fuori abbonamento. A soffiare sulle aspettative, poi, il debutto nei rispettivi ruoli di Jonas Kaufmann, Radamès, di Anja Harteros, Aida. E si sa che il bravo (e bello) cantante tedesco, da anni una star internazionale, è l’idolo di molto pubblico femminile. Sicché, nel delirio di ovazioni e applausi finali, alcune ammiratrici si sono premurate di consegnare omaggi floreali al solo tenore, lasciando curiosamente a mani vuote le altre due protagoniste, soprano e mezzosoprano.

PappanoAl di là del colore d’ambiente, prevedibile in una serata di eccitata mondanità e ospiti eccellenti, la resa musicale è apparsa strepitosa, confermando ancora una volta la superiore sensibilità di Pappano, specie quando affronta il teatro musicale. Nella sua concertazione e direzione, infatti, ogni snodo drammaturgico della complessa partitura verdiana è stato lumeggiato da un’impressionante consapevolezza interpretativa. I due piani della vicenda, quello dei sentimenti e quello ufficiale, hanno ricevuto dal podio la dimensione e il chiaroscuro musicali più proprii e penetranti. E la tensione al calor bianco – che in sala si tagliava col coltello, e che è esplosa alla fine – ha trovato alimento proprio nella capacità del direttore britannico di intrecciare e coniugare i diversi pannelli del dramma, via via intimi o grandiosi. Si è così dipanata una lettura di alto pensiero musicale, di nitida omogeneità espressiva, sia negli episodi istituzionali (investitura di Radamès, marcia trionfale, giudizio dei sacerdoti), sia nelle pieghe più raccolte come gli interventi del tenore, di Aida, il duetto Amneris-Aida, l’altro di Amonasro e Aida, il duetto finale Aida-Radamès.

Già dall’impalpabile morbidezza degli archi, al preludio in pianissimo, l’atmosfera si è infusa di fluida delicatezza. Una cura del dettaglio che, a ogni pagina, ha offerto all’orecchio una tavolozza di colori e impasti timbrici, rimasta sempre riconoscibile, anche nei momenti di clangore. Perfetto il dialogo tra il maestro e l’orchestra, condotta a una prova che ne ha valorizzato ogni sezione, dagli archi agli strumentini, dagli ottoni alle arpe e alle percussioni. Egualmente impeccabile il coro, egregiamente preparato da Ciro Visco, specie in certi echi di remota e tenue trascendenza, così come inappuntabile è apparsa la partecipazione della Banda Nazionale della Polizia.

Aida 2Raggruppando i quattro atti a due a due, Pappano ha governato la prima parte staccando dei ritmi sovente impetuosi, ma sempre sorvegliandone trasparenza e scansione, come nelle incalzanti terzine delle danze dei moretti, risolte con limpida articolazione del vorticoso ingranaggio ritmico. Una lettura dunque che, lungi dal cercare un itinerario interpretativo che mediasse fra privato e pubblico, ha illuminato distintamente i due opposti versanti. E lo ha fatto con tale attenzione a finezze e timbri, con tale agiatezza direttoriale, da farli emergere anche nei momenti spettacolari. Diversi gli accenti nel terzo e quarto atto. Qui la vicenda umana e amorosa prevale e si dispiega attraverso i successivi momenti di confronto, contrasto, tenerezza, fino al tragico ma trasognante finale, che chiuderà in pianissimo come l’inizio. Scolpita con mano energica l’intransigente asprezza nel processo dei sacerdoti a Radamès, qui la concertazione di Pappano riesce a sagomare conflitti, slanci passionali, palpiti, in un calibrato dosaggio di dinamiche e colori, che coinvolge a fondo orchestra e coro. Il risultato è un’atmosfera di crescente emozione che, nelle pagine conclusive, lievita nel disegno di un suono modellato in una nube evanescente di volumi rarefatti.

Il tenore Kaufmann e il soprano Harteros esordivano, s’è detto. E hanno certamente superato la prova, anche se, per certi versi, non dimostrando piena disinvoltura. Nel difficile cimento dell’aria iniziale, Celeste Aida, Kaufmann si è disimpegnato con fine intelligenza. Ci si sarebbe, per verità, aspettati altri accenti nel recitativo (… un esercito di prodi…), però poi egli, con scelta di gran gusto, ha opportunamente intonato con un filo di voce, come prescrive Verdi, … un trono vicino al sol…, con il celebre si bemolle; anche se l’emissione dell’acuto è sembrata piuttosto fissa, e quindi povera di armonici, con possibili rischi per l’intonazione. Perplessità che, comunque, sono state spazzate via dalle qualità straordinarie, sia vocali sia interpretative, che il tenore ha esibito specialmente nella seconda parte e nel finale. Duetto finale in cui una certa stanchezza, a un tratto, ha fatto inciampare Aida, Anja Harteros, in qualche problema d’intonazione. Ma, anche per lei, gli accenti espressivi e lo smalto vocale, esibiti in tutta l’opera, le hanno meritato larghissimi consensi, ben al di là del disaccordo di qualche purista. Molto applaudito anche il mezzosoprano russo Ekaterina Semenchuk, che ha reso con generosa vocalità un’Amneris prismatica, e quindi innamorata, insinuante, violenta, tenera. Magnifica la prova di Ludovic Tézier, Amonasro di alto stile e mezzi sontuosi; e ottimi anche Erwin Schrott, degno e incisivo Ramfis, e Marco Spotti che ha dato voce al Re. Superfluo aggiungere che Antonio Pappano è stato sommerso da un interminabile tripudio.

 

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