Roberto Mussapi
Every beat of my heart, la poesia

Il poeta in cravatta

Ricordo di Marco Tornar, prematuramente scomparso la scorsa settimana. Ispirazione vera, necessaria, di un artigiano onesto, come dovrebbe essere ogni autore di versi. Ha saputo fermarsi, sostare, cercare respiro nuovo nella narrazione...

È morto all’improvviso, all’età di 54 anni, il poeta e scrittore Marco Tornar. Un malore, nella casa della madre con cui viveva. Autore di pochi libri di poesia, pochi ma buoni, poi passò alla prosa. Quasi che la vena poetica fosse, più che estinta, sospesa. Infatti, ne aveva, di tempo, per lasciarla rinascere. Ma era rigoroso. Non scrisse mai un verso che non sentisse necessario. Negli ultimi quindici anni si dedicò a opere narrative, eleganti, elegiache. Mi disse che la poesia lo aveva frequentato e lo avrebbe ripreso, ma dopo un lungo passaggio narrativo. Sapeva quel che faceva, e faceva quel che sapeva. Il volume di poesie La scelta, che pubblicai nella collana da me diretta “ I poeti”, Jaca Book, nel 1996, è un esempio di poesia cifratamente potente, ermetica senza oscurità,

dolorosamente e gioiosamente cantante. Anche il precedente Segni naturali, pubblicato da Bastogi nel 1983, rivela un talento autentico. Che seppe fermarsi, sostare, cercare respiro nuovo nella narrazione. Non viveva di rendita, Marco, non insisteva se il verso gli nasceva spento, inoriginale, aspettava che rinascesse l’ambiente, il fiato, per ripartire. Era quindi, oltre che un vero poeta, uno che insomma sa riconoscere quando c’è e quando non c’è l’ispirazione, un artigiano onesto. Come dovrebbe essere ogni Fabbro, ogni autore di versi.

Viveva a Pescara, insegnava, non poteva viaggiare molto, quindi, erano rari i nostri incontri. Di conseguenza ancor più preziosi. Quando mi capitava di essere invitato a una lettura a Pescara – città non d’arte, non bellissima, d’accordo, ma che a me piace da morire per il suo magnifico annisessanta lungomare – o a Chieti, presso la cui università ogni tanto mi invita il mitico Quiriconi, Marco mi veniva a prendere all’aeroporto. C’era un unico volo, da Milano, serale, bellissimo. Marco veniva verso le nove, e mi portava subito a cena sul mare. Sapeva che amo Pescara, il suo lungomare, i ristoranti anni Sessanta che evocano Il sorpasso. E il pesce che pochi cucinano come in quella città meravigliosa, con quei vini ingiustamente sottovalutati come ingiustamente è sottovalutato l’Abruzzo, eccellenza d’Italia e di italianità, terra di cucina epica, vini da sogno, culla dell’eleganza con Ovidio, Flaiano, Brioni e i Marcotulli. Parlavamo del pesce, del vino, di poesia. A volte mi accennava a suoi amori, qualche donna che lo affascinava. Ma era reticente, anche se lo sentivo “preso”. Gli facevo gli auguri. Aveva un fisico sfortunato, un po’ leopardiano, piccolo, innaturalmente magro, gracile. Ma era un uomo di classe, pochi sapevano portare la cravatta come lui. Era un uomo nobile e elegante. Pieno di passione. Poche pagine di poesia. Ma di quelle che restano.

marco-tornarDedica

Dei nostri incontri non parlerò a nessuno.

Né alle streghe né al vento

né a questi anni pieni di luce e di pazzia.

Nessun colore imbratterà quel bianco

dove ci siamo conosciuti, con gli occhi lieti

e la semplice magia di tutti i sogni. «Ma qui vicino

c’era la sorgente dell’acqua…». Ogni lanterna

sarà la nostra casa, la nostalgia che assiste

come fiocchi di neve

il silenzioso ferirsi della goccia sul viso. E nella casa

ho visto nello specchio una candela

la melodia che sale, il vino, quei profili di porpora

che guardano lontano

verso vangeli sconosciuti, un’amicizia.

Poi, le mille strade di un mattino.

Come quando, colmi di affetto e di tristezza,

stringendo in mano un segno della vita

camminiamo sotto altari di pioggia

mentre appare, dal niente, una parola.

Marco Tornar

 

 

 

 

 

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