Elisa Campana
Viaggio “in capo al mondo”

Elegia bretone

La Bretagna è leggende e contrasti di natura; sospesa tra terra aspra e mare aggressivo, è una terra che ha sempre tenuto alla propria autonomia. Anche per farsi "sbeffeggiare" da Parigi

La Bretagna è una regione antica, avvolta nell’aurea di mistero di antiche leggende arturiane e miti celtici, i contrasti inconciliabili costituiscono la sua essenza più vera: Armor e Argoat sono le due anime delle Bretagna, Argoat (“paese dell’interno”) è le foreste lussureggianti, le lande verdi e rigogliose dell’entroterra, Armor (“paese del litorale”) è l’odore del mare, il richiamo dei gabbiani, le rapide maree. Qui è dove la terra incontra l’oceano, si fiancheggiano e si confondono dalla notte dei tempi, senza che l’una abbia mai avuto ragione dell’altro.

I boschi impenetrabili sono poi spariti per fare spazio ai campi coltivati e alle abitazioni, ma hanno sicuramente permesso alla Bretagna di rimanere a lungo una terra a sé stante, fiera delle proprie origini e restia ai cambiamenti. Terra mai dominata fino in fondo, che oggi più che mai mal sopporta l’ingerenza centralizzante del governo di Parigi. Alla volta della Rivoluzione francese, si cominciò ad associare i concetti di “nazione” e “lingua”, l’idea di una Repubblica unica e indivisibile non poteva certo coniugarsi con i particolarismi regionali e le lingue intestine a un nuovo grande stato. La torre di Babele doveva essere distrutta, marcando così la guerra ai patois, varietà linguistiche dialettali, e alle lingue regionali, tra cui il piccardo, l’occitano e lo stesso bretone.

finis terraeLa storia del termine familiare baragouiner dal bretone bara (pane) e gwin (vino) è indicativo del carrarmato linguistico che il potere politico aveva messo in marcia perché, secondo la leggenda popolare, pane e vino era ciò che i soldati bretoni arruolati nell’esercito francese chiedevano con maggior frequenza ai propri superiori. Quest’ultimi, incapaci di comprendere una lingua smozzicata e indecifrabile alle loro orecchie, coniarono il nuovo termine, oggi ancora in uso, ad indicare un “modo di parlare incorretto e intellegibile”.

Nel XX secolo ha però cominciato a spirare un vento nuovo, che ha portato con sé una ritrovata esaltazione della lingua e della cultura bretone, il riaccendersi di spinte nazionalistiche e l’inasprirsi dell’insofferenza al giogo omologante dei vicini francesi. La diversità di questa terra si esprime oggi in modi ben al di là dei tradizionali souvenirs turistici che inflazionano la bandiera bianca e nera  e le immagini delle bigoudènes, con le tradizionali cuffie in pizzo. La Gorsedd de Bretagne, insieme a quelle delle altre regioni celtiche, si occupa di difendere e promulgare lo spirito celtico che anima questa terra, mentre lo Strollad Breizh richiede a gran voce l’affrancamento da Parigi.

Dei dipartimenti che formano oggi la Bretagna, ce n’è uno che sembra racchiudere in sé gli originali albori. Un lembo di terra che si getta nell’oceano, Finistère lo avevano denominato i romani, dal latino Finis terrae perché qui finiva il mondo conosciuto, di fronte a quella massa immensa di acqua scura e minacciosa, Penn-ar-Bed lo definivano invece i Celti, letteralmente il “capo del mondo” nel senso di inizio, a mostrare come la prospettiva possa cambiare davvero ogni cosa.

Molti sostengono che qui si ritrovi ancora il fiero spirito bretone, mai piegatosi agli stendardi del Re di Francia prima e dei rivoluzionari poi, che abolirono definitivamente il Parlamento di Bretagna sulla scia della Rivoluzione. Non è un caso, si racconta, che fosse da queste parti quel piccolo paesino della Gallia che osò sfidare i grandi imperatori romani, resistendo alla loro boriosa ansia di gloria.

les lavandières de pont-avenNel cuore del Pays bigoudin, ai confini del mondo, si instaurò una delle più attive scuole pittoriche, una assortita comunità di artisti impressionisti alla ricerca di paesaggi affascinanti e quiete poco dispendiosa: un pittoresco borgo di pescatori, Pont-Aven, divenne così la Bretagna di Paul Gauguin, Émile Bernard, Charles Laval e tanti altri. I grandi artisti qui si ritirarono sfuggendo al chiasso di una capitale sovraffollata e sicuramente troppo costosa per le tasche di pittori squattrinati, trovando quel primitivismo e quel contatto con la natura che le vie parigine non potevano di certo offrire. Le pennellate energiche, i colori brillanti fissarono sulla tela momenti di vita quotidiana e paesaggi incantevoli: Les Lavandières à Pont-Aven, Le moulin David à Pont-Aven, Bretonnes dansant ricordano un mondo oggi riconoscibile, ma ormai profondamente cambiato.

Questo mondo rurale, di contrasti e diversità affascinò il grande maestro che soggiornò a Pont-Aven “città rinomata, 14 mulini, 15 case”, recita un vecchio detto popolare,  a più riprese tra il 1886 e il 1896.  Chi si meraviglierebbe allora se proprio a Pont-Aven, si scoprisse un nuovo dipinto, sconosciuto, del grande artista? Era rimasto appeso sotto gli occhi di tutti, turisti e vacanzieri, all’Hotel Central, regalo personale di Gauguin alla proprietaria che lo aiutò sempre con un letto e un piatto caldo, anche quando di soldi per pagare proprio non ce n’erano. S’intitola Natura morta in riva al mare, non la tela, ma il romanzo giallo frutto della penna di Jean-Luc Bannalec, pseudonimo del più tedesco Jörg Bong. Il quadro genera ben due omicidi e una complicata vicenda che il commissario Dupin, parigino doc alle prese con il “piacevole” tempo bretone e il caratteraccio degli autoctoni, avrà il compito di districare. Le cose non sono facili, in primo luogo perché tutti si impegnano fin dall’inizio a non dire la verità, inventano, travisano, deformano fatti e persone per l’esasperazione di Dupin che ricaverà emicranie e massicce dosi di caffeina. Se c’è una cosa che acuisce il suo carattere scorbutico e intrattabile è sicuramente l’essere interrotto nel rito del caffè mattutino.

Tutto è finzione, ovvio. Perché qui nella risacca del mare al tramonto, nel vento che smuove le fronde degli alberi secoli, tra i mehir di genti le cui orme si sono perse nel tempo, si può ancora sognare un passato fantastico e chissà magari un futuro diverso, probabilmente migliore.

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