Valentina Mezzacappa
Tra cinema e cronaca

Clint, il patriota

A vedere “American sniper”, il nuovo film di Clint Eastwood, dopo la strage di Parigi (e il ritorno in Italia delle due volontarie rapite) si capisce qualcosa di più a proposito di come è fatto (male) l'Occidente

Questa riflessione arriva in ritardo, lo so. Perché parlare di guerra e di terrorismo è sempre difficile. Ma anche perché ho sentito il bisogno di metabolizzare quanto è successo negli ultimi giorni. Gli avvenimenti di Parigi, il ritorno a casa di Greta e Vanessa, le reazioni virali al massacro, la velocità con la quale sgomento, dolore e indignazione sono stati sostituiti da giustificazioni e accuse, l’atteggiamento poco decoroso di una parte del nostro paese nei confronti delle ragazze, la leggerezza con la quale si sono ribaltati senza scrupolo principi, ideali e diritti cedendo, chi per disperazione chi per ignoranza, a giudizi folli, assurdi. Tutto questo mi ha fatto sprofondare nel silenzio e nell’incredulità, ha mandato in overdrive il mio cervello, reso pesanti le mie dita ogni volta che ho tentato di mettere qualche concetto nero su bianco.

Questo breve periodo di standby mi ha però permesso di capire quanto sia importante alle volte che la critica rinunci alle tempistiche dell’industria per incamminarsi lungo quei sentieri che alcuni film ci mostrano più o meno volutamente per cercare risposte, per ruminare su ciò che si è visto, per scongiurare giudizi affrettati e superficiali. Ci sono volte in cui la critica dovrebbe mettere da parte la tecnica perché là fuori ci sono pellicole che non si possono e non si devono giudicare unicamente in base all’offerta tecnico-artistica ma che meritano uno sguardo più umano, che faccia appello anche alla personale consapevolezza e compartecipazione agli affari del mondo di chi scrive.

L’orientamento politico di Clint Eastwoodè ben noto ma, nonostante il tema affrontato da American Sniper, è anche poco ingombrante. C’è una profonda linearità nel modo in cui il film presenta l’impegno intrapreso dal suo protagonista. Esso mostra il terreno di coltura nel quale quell’impegno ha preso forma senza spiegazioni, senza retorica e sempre senza spiegazioni esplicite e retorica spicciola ne presenta le conseguenze sulla psiche di un uomo il cui cammino è iniziato come quello di tanti, tantissimi altri della sua stessa estrazione sociale e culturale per poi ritrovarsi, senza averlo mai desiderato davvero, un’eccezione, un eroe nazionale, un record-breaker.

L’appellativo di film patriottico è improprio. American Sniper non è un film sul patriottismo ma un film sulle svariate manifestazioni e sulle conseguenze del patriottismo.

american sniper2Le culture anglosassoni hanno allevato, nutrito e preservato il patriottismo come una madre farebbe con un figlio. È un processo che va avanti da secoli e nel caso degli Stati Uniti, la cui eterogeneità culturale di origine è più che evidente, questo processo è stato portato avanti con metodi ragionati, alcuni espliciti altri praticamente invisibili ma profondamente efficaci. Negli Stati Uniti il patriottismo viene alimentato in maniera perpetua e ogni aspetto della quotidianità ne è profondamente intriso. Il consolidamento dell’identità nazionale è in questo caso un fattore fondamentale e passa anche attraverso interventi invisibili. L’identità di un paese si preserva, ed è avviso di chi scrive, nel caso statunitense viene preservata anche passando attraverso elementi quali il design delle scarpe da bowling che non cambia da almeno cinquanta anni, da quello delle varsity jackets, le giacche sportive di studenti e atleti professionisti, dalle frange colorate che adornano da decenni e decenni le biciclette dei bambini, dalle vetrine di trofei nei corridoi di scuole e università, dall’ossessione per lo sport, dalle confraternite, da quel tocco di vintage che è presente ovunque.

E poi c’è l’orgoglio di appartenenza che è il risultato di un sofisticato lavoro di educazione dell’individuo e che promuove parallelamente l’importanza del traguardo personale e la consapevolezza, l’orgoglio di appartenenza alla collettività. E questo lavoro inizia già dagli anni dell’infanzia, dalla scuola, da quando lo studente capisce quanto sia importante per il suo futuro riuscire, to succeed, ma allo stesso tempo gli si richiede di unirsi con i compagni nell’aula magna della scuola per assistere al preside inaugurare l’anno scolastico con un discorso costruito ad hoc dove non mancano mai riferimenti alle sfere dell’identità individuale e della collettività.

Nonostante la febbrile evoluzione delle telecomunicazioni e di come queste negli ultimi anni siano riuscite a favorire la tanto temuta globalizzazione e a unire i quattro angoli della terra, certi gap culturali restano e rendono la visione di film proprio come American Sniper un’esperienza a tratti difficile da decodificare.

La scelta di vita di Kyle è difficile da accettare per chi non è nato e cresciuto seguendo i dettami culturali statunitensi. Risulta davvero difficile, se non fantascientifico, accettare che una persona si stia lavando i denti un minuto e quello dopo sia pronto, avendo assistito all’attacco di New York in televisione, a lasciare tutto, a mettere letteralmente a repentaglio la propria vita per combattere il terrorismo. Il ribaltamento esistenziale di Kyle non è bieco patriottismo, non è cieco fascismo, è il risultato di un’evoluzione culturale sia individuale sia collettiva. E l’evoluzione di Kyle, Eastwood ce la racconta partendo dalla sua infanzia. Ci presenta un padre che lo porta a caccia, che gli ricorda che il suo fucile non va mai lasciato nella polvere (il consiglio va sicuramente ben oltre il fatto che un’arma da fuoco sporca è un’arma da fuoco pericolosa, destinata a incepparsi e a provocare incidenti), un padre che è fiero di un figlio che ricorre alla violenza per difendere il fratello. E poi c’è il Texas, con i suoi rodei, le sue chiese spoglie e severe, i pranzi domenicali dove a parlare è principalmente il capofamiglia, le collezioni di birre vuote davanti alla televisione.

American Sniper non è un ritratto bidimensionale della lotta al terrorismo e dell’impegno militare in medio oriente. Non è nemmeno un inno anti-islamico. Kyle non rappresenta un paese intero perché ne ha per sempre segnato la Storia diventando il cecchino con il più alto numero di vittime. Kyle il suo paese lo rappresentava ancora prima di imbracciare un fucile e di indossare una mimetica.

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