Luca Fortis
Cartolina dalla Germania

Dervisci a Berlino

Visita guidata al Berghain, il tempio della cultura underground berlinese. Tra musica techno e luci ipnotiche, ogni giorno migliaia di persone fanno quasi un’esperienza mistica

La pioggerellina fine riempie l’aria di Berlino, i vagoni della metro scorrono sulle rotaie in superficie. Uno dopo l’altro, appaiono il giardino zoologico, l’isola dei musei e il parco Tiergarten. I palazzi antichi, sopravvissuti alla seconda guerra mondiale e alla guerra fredda, si alternano alle moderne architetture create dai più grandi architetti internazionali dopo la caduta del Muro. I colori sfumano dalla pietra grigia al bianco, si confondono quasi con il cielo metallico. Il treno della metro continua il viaggio verso la sua meta. La gente seduta o in piedi legge libri nell’attesa. La fermata di Ostbahnof, pur essendo in una parte abbastanza centrale della Berlino est, ha un’uscita secondaria che porta a una zona industriale che cresce a ridosso delle rotaie. Capannoni e qualche edificio residenziale si alternano. La pioggerellina bagna l’erba, dopo uno zig zag tra i palazzi appare di colpo l’imponente mole dell’ ex centrale elettrica. La struttura è molto alta e si staglia nel cielo con una severa nobiltà. Un ritmo elettronico aleggia nell’aria.

È mezzogiorno e non c’è troppa coda davanti al Berghain, tempio mondiale della musica tecno e della sua subcultura, nato da un famoso locale gay. La selezione è rigida e basata su criteri tutti suoi, spesso misteriosi. Il buttafuori, un famoso fotografo cresciuto nella DDR, Sven Marquardt (in questi giorni in mostra a Torino con la retrospettiva «Il Crepuscolo degli Dei», a cura di Enrico Debandi ed Eugenio Viola, dislocata in due sedi, il barocco Palazzo Saluzzo Paesana e le cripte dell’ex Cimitero di San Pietro in Vincoli) in modo quasi mistico, tenta di capire quali persone hanno lo spirito giusto per entrare. Un vero terno al lotto. Varcata la soglia, appare una cattedrale industriale quasi gotica. La musica comincia a invadere ogni spazio, i colori sono scuri e rivelano tutte le gradazioni possibili di nero e grigio. Come in ogni tempio che si rispetti, è vietato fotografare. Chi partecipa a questo rito inizia un percorso intimo che condividerà con gli altri. L’architettura è a tratti labirintica, ricorda un’opera di Maurits Cornelis Escher. Centinaia di persone, gay o etero, con look che variano dal dark, al leather e al minimal, si muovono, parlano, si siedono in giro nei piccoli salottini. Si sta tutti insieme, non esistono privé o spazi che diano sfogo all’edonismo, in alcuni angoli il sesso è lecito. Non c’è molta visibilità e i bar si alternano a zone buie.

Salendo una delle tante scale, di colpo si apre la sala maggiore del tempio. Uno spazio enorme, scuro, altissimo, da cui si intravedono le immense finestre della centrale elettrica oscurate per non far entrare la luce del sole. In questa sala hanno suonato e suonano i migliori dj del mondo. Impossibile non fondersi in un ritmo collettivo, non sfumare per un po’ la coscienza del proprio sé perdendosi in un battito che sembra universale, il respiro della vita stessa. La musica si perde in mille piccoli suoni che solo la mente più attenta percepisce. Per un momento non esistono più l’io e gli altri, ma un’armonia universale il cui significato complessivo, pur a volte sfuggente, sembra essere la vita stessa. Al piano superiore esiste uno spazio, più intimo, dove altri dj suonano musica dai ritmi più suadenti, perfetti per le prime ore del mattino e per vedere l’aurora dalle finestre. I corpi sudati si muovono come se appartenessero a un unico grande organismo, un mosaico di tasselli che nel buio della centrale elettrica sembrano comporre un disegno incomprensibile, ma dalla rassicurante geometria. In apparenza il suono duro della tecno rimbomba violentemente, ma in realtà un microcosmo di piccoli suoni penetra nelle orecchie, nei cervelli, nei corpi.

A un certo punto, quando ormai si ci sente parte del tutto,  torna il bisogno di separare il proprio io da quello degli altri e di staccarsi dal ritmo dell’universo. Il viaggio quasi iniziatico è stato intenso, a tratti ricorda quello dei Sufi o dei dervisci rotanti. La mistica attraversa il ritmo, un percorso che, come tutto nella vita, può nascondere imperfezioni o rischi, ma di grande potenza e fascino. Alcuni, quando raggiungono la fusione mistica con l’universo, rischiano di non saper più tornare indietro, perdendo il significato e la bellezza del proprio io. Altri invece, assaporata questa sensazione, sanno poi vivere con più saggezza. Ogni percorso, ogni individuo vive queste esperienze a modo suo. Berlino non giudica, ma accompagna chi desidera percorrere tali strade.

Il Berghain è un utero che in un decennio ha partorito il meglio della subcultura berlinese. Un mondo che non tutti possono capire o amare. Un luogo adatto a persone consapevoli di dove entrano. La porta del tempio si apre, torna la luce del sole. Il treno corre verso la sua meta, il cuore continua a battere.

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