Anna Camaiti Hostert
Cartolina dell'America

Cuba è (più) vicina

Il passo storico compiuto da Obama segna un punto a favore dei democratici americani: sanno capire che i tempi sono cambiati e sanno rimettere in moto la politica estera Usa

Giornata storica quella di ieri. Non solo per la politica estera, ma anche per la politica interna degli Stati Uniti. Obama dopo più di 50 anni ha infatti parlato di confrontarsi con il Congresso per sollevare l’embargo degli Stati Uniti nei confronti di Cuba. Ha inoltre affermato di voler ristabilire relazioni diplomatiche, economiche e commerciali con quel paese. Attraverso la mediazione di papa Francesco, il presidente degli Stati Uniti ha parlato con Raul Castro, attuale capo del governo cubano. Il rilascio di Alan Gross, un imprenditore americano detenuto nelle carceri cubane per cinque anni, scambiato con altri 3 prigionieri cubani in America è stato l’occasione di questo storico evento. Preceduta da una serie di negoziazioni avvenute attraverso la mediazione canadese, la conversazione di ieri è la prima diretta tra i due paesi dalla rivoluzione cubana di Fidel castro e Che Guevara.

Per decenni la politica americana verso Cuba è stata a metà tra la farsa e la tragedia. L’embargo cominciò due anni dopo la rivoluzione che ribaltò il regime del dittatore Fulgencio Batista. Da allora, tutti i candidati presidenziali alle elezioni americane durante la campagna elettorale sono andati in delegazione nel sud della Florida per parlare ai numerosi emigrati cubani e assicurarsi il loro voto promettendo che si sarebbero battuti contro Castro e avrebbero tentato di far cadere il suo regime comunista. Ma Fidel Castro e il suo governo non sono mai stati minimante scalfiti. Il Lider maximo infatti ha ceduto il potere al fratello solo per motivi di salute, mentre l’embargo americano, durato più di 50 anni, si è rivelato il più grande e lungo fallimento della politica estera americana.

Che tuttavia ha ancora difensori. Non solo da parte repubblicana; il senatore Mark Rubio ha infatti affermato “che questo è parte di una lunga strategia di coccolamento di dittatori e tiranni che questa amministrazione intrattiene con i loro regimi”. Anche qualche democratico di origini cubane ha reclamato. E’ il caso del senatore Robert Menendez. Figlio di emigrati cubani e presidente della Commissione Affari Esteri ha infatti rabbiosamente affermato che “il patto per far rilasciare Gross è stato un regalo al regime cubano”. Rimane il fatto che tutti questi anni di embargo non hanno portato a niente  e il modo di pensare degli esuli cubani è cambiato nel tempo. La prima generazione di emigrati  infatti, ferocemente anticastrista e anticomunista- e  di conseguenza fortemente vicina al partito repubblicano- adesso è invecchiata e in via di estinzione. I figli e i nipoti non condividono la fedeltà della loro partigianeria o l’impulso a mantenere l’embargo.

l'avanaNon ne vedono i motivi e non ne capiscono gli obiettivi. Tutta questa enfasi nel mantenere la pressione sul regime castrista suona ridicola a molti di essi. Se niente è cambiato in più di 50 anni, perché insistere? Quando Obama si presentò alle elezioni del 2008 affermò che gradualmente avrebbe cercato di eliminare l’embargo e di allentare le restrizioni sui viaggi da e verso Cuba. Alle elezioni del 2012 Obama perse di poco in Florida – anche se fece meglio di quanto ogni democratico avesse fatto per decenni – ma adesso con questo ulteriore passo i cubano-americani saranno più inclini a votare democratico che repubblicano in futuro.

Oggi, nel suo annuncio alla televisione Obama ha pronunciato parole storiche. «Todos somos americanos» ha esordito. Ricordando poi di essere nato dopo due anni dalla rivoluzione di Fidel Castro, ha infatti affermato che in linea d’aria Miami è distante poche centinaia di miglia dall’Avana e ha fatto presente però che ci sono state barriere di altro tipo che le hanno tenute distanti anni luce, barriere ideologiche e politiche che negli anni della guerra fredda si sono ingigantite. Ma, se oggi si intrattengono rapporti con la grande Cina comunista, con il Vietnam, non si vede – afferma Obama – perché non si dovrebbe fare lo stesso con un paese che è così vicino. E ancora, ricordando che l’isolazionismo non ha pagato e che non ha fatto bene a nessuno dei due paesi ha parlato di colonialismo e ha detto che quello che è avvenuto nella storia non può venire cancellato. Il colonialismo c’è stato ed è stato terribile, «ma adesso è il momento di lasciarsi indietro sia il colonialismo sia il comunismo».

Il passo di Obama era nell’aria da tempo ed è di portata epocale. Sarà interessante vedere quanto veementemente i repubblicani reagiranno a questa presa di posizione del presidente che nel caso di un’opposizione estrema potrebbe loro alienare l’opinione pubblica, facendoli apparire retrogradi e fuori tempo. E spinge  anche noi osservatori a fare due considerazioni molto importanti e abbastanza inconsuete: la prima di politica interna mostra che il presidente riesce comunque a fare le cose anche in presenza di un Congresso davvero ostile e la seconda di politica estera che contraddice una vulgata abbastanza comune secondo cui la strategia democratica delle relazioni internazionali  è sempre stata debole, poco significativa e molto limitata.

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