Nicola Fano
Presentato "Il suono della voce”

La voce assoluta

Il nuovo disco di Tosca e il concerto che ne consegue sono la dimostrazione di come la musica non abbia bisogno di parole per esprimersi: basta a se stessa. Purché a dominarla ci sia una grande voce

Tutte le volte che sento Tosca cantare Rumania Rumania (una sarabanda popolare in stile balcanico che, nella sua versione, mescola lingue, suoni e altre assurdità) penso a Pietro De Vico. Chi è stato bambino negli anni Sessanta lo ricorderà sicuramente: era il tartaglione Nicolino nella serie tv per ragazzi La nonna del corsaro nero. Ma in realtà è stato uno dei massimi comici del secolo scorso, dotato di un talento e di un mestiere formidabili che ne hanno fatto uno dei più giovani divi dell’Avanspettacolo della fine degli anni Trenta, poi uno dei pilastri della Scarpettiana, la celebre compagnia di Eduardo De Filippo, quindi un grande del successivo Varietà televisivo. Alla fine della sua vita, dagli anni Ottanta del secolo scorso fino alla morte nel 1999, finalmente fu scoperto dal teatro di prosa e io ebbi la fortuna di conoscerlo e frequentarlo a lungo.

pietro de vicoTutte le volte che sento Tosca cantare Rumania Rumania penso a lui in uno spettacolo assurdo e spassoso, Plautus, credo del 1990, in cui il regista Antonio Calenda aveva cucito insieme alcuni testi di Plauto che una compagnia di straordinari comici, guidati da De Vico, recitava in latino. Pietro non aveva la minima idea di che cosa dicesse, e forse non diceva nulla in concreto, storpiando continuamente il latino, ma lo diceva in un modo che faceva ridere a crepapelle il pubblico. Vidi quello spettacolo dozzine di volte dalle quinte e in platea e ogni volta Pietro mi avvertiva: stasera li faccio ridere con questa parola, stasera con quest’altra… Va da sé che intuiva solo il senso di quelle parole ed è inutile aggiungere che il pubblico regolarmente rideva quando lui voleva: una volta in un modo e una volta in un altro, diverso sera dopo sera. Pietro era genialità comica allo stato puro e non c’era bisogno di un testo reale perché questa si esprimesse.

Tutte le volte che sento Tosca cantare Rumania Rumania penso che non è importante che cosa dica, forse non dice proprio niente: Tosca è come Pietro De Vico, talento allo stato puro. Può darsi che quando canta dica delle cose ma non è necessario: la sua voce basta a se stessa. Ho sempre pensato questo di Tosca, e sono sinceramente felice che anche lei abbia deciso di liberarsi dal vincolo della verosimiglianza semantica… come le accade con il nuovo disco Il suono della voce, che dà il titolo anche a uno spettacolo di teatro-canzone che ieri sera ha debuttato a Roma, al Teatro Vittoria e che la prossima settimana sarà al Manzoni di Milano.

tosca2Vediamo un po’. Nel disco (e nel bellissimo concerto che ne è seguito) Tosca spazia in un repertorio popolare assai variegato. Si va dai canti popolari balcanici alla grande tradizione napoletana (Marzo, di Salvatore Di Giacomo), dalla canzone da teatro (Via Etnea di Germano Mazzocchetti) alla serenata romanesca (Nina si voi dormite, un capolavoro del 1901 che Tosca canta meglio di chiunque),  dal brano da commedia musicale (More di Riz Ortolani e Nino Oliverio) alla canzone d’autore (il pezzo che dà il titolo al disco è di Ivano Fossati). Ma il fatto è che tutto è mescolato. Non solo i generi musicali, ma anche le lingue; e questo è l’aspetto più dirompente della questione. Perché per esempio Tosca canta Marzo parte in napoletano e parte in francese, come (dal vivo) canta Nina metà in romanesco e metà in portoghese (nel disco con lei c’è il brasiliano Guinga). E del resto il disco e il concerto sono un susseguirsi di lingue (yiddish, tedesco, inglese, oltre a quelle già dette) che si mescolano e si confondono ognuna nell’altra formando una koiné magnificamente teatrale perché perfettamente finta. Non importa il senso delle parole, importa il loro suono: è questo l’azzardo di Tosca. Questa la sua sfida vinta. Perché così l’emozione musicale raggiunge il culmine senza alcuna mediazione semantica, testuale. Proprio come nel Miao miao di rossiniana genesi che chiude il disco.

Tutte le volte che sento Tosca cantare Rumania Rumania penso che Pietro De Vico – che sapeva alludere a tutto un mondo solo piegando i suoni delle parole a significati che quelle stesse parole non avevano – è il vero maestro di questa straordinaria Tosca che pizzica il cuore con le modulazioni della voce, senza far ricorso al senso delle parole: questo è il potere della musica!

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