Pier Mario Fasanotti
L'Italia di mezzo secolo fa

La sabbia di Pasolini

Nel 1959 Pasolini fece un lungo viaggio nei litorali italiani per la rivista «Successo». Contrasto ripubblica quei reportage profetici su un Paese sul precipizio, accompagnati dalle foto di Philippe Séclier

A Pier Paolo Pasolini è sempre piaciuto vagabondare, indagare sulle persone e sui luoghi. Sapeva bene che come scrittore, e poi regista, doveva riempire il “serbatoio” di immagini e personaggi. Altrimenti la sua vita d’artista sarebbe stata vuota, alimentata dalla fantasia degli altri. Su incarico del periodico Successo, nel 1959 si mette al volante della sua Fiat 1100 con l’intenzione di esplorare il lunghissimo e variegato litorale italiano. Silenzioso, goffo e imbarazzato dinanzi agli scoppi di piccola e superba mondanità, osserva e ascolta. Soprattutto: le parole lo affascinano, come i gesti e le abitudini locali. Nei suoi appunti di viaggio è spesso sarcastico, anche con se stesso, del quale non evita di accennare al senso del disagio e della solitudine. Sorride alle sciocchezze contrabbandate per pensieri alti: le riporta su carta, mostrandosi severo e compassionevole insieme… Fino a oggi parzialmente inedita, questa raccolta diaristica di Pier Paolo Pasolini è l’insieme degli articoli che mandò al periodico Successo e donati da sua cugina Graziella Chiercossi al fotografo, Philippe Séclier. Il quale li ha raccolti, alternandoli con sue istantanee e copie delle pagine scritte a mano dal poeta-regista e alcuni inediti assoluti.

Da oggi, 6 novembre, testo è in libreria  per iniziativa dell’editrice Contrasto (199 pagine, 24,90 euro) col titolo La lunga strada di sabbia. Una sorta di «sabbbia dantesca» dirà l’autore.

la_lunga_strada_di_sabbia_fotografie_di_philippe_seclier_largeDocumento prezioso, per conoscere l’Italia balneare del 1959, anno in cui l’autore di Una vita violenta e futuro regista di Accattone (uscito nel ’61) partì al volante della sua Fiat 1100. È un uomo a volte felice come un guappo tra i guappi, liberi di fare il bagno nudi. Ma è a volte anche tormentato. Afferma però di non essere «un nostalgico rinunciatario»: vuole conoscere un’Italia che lui sa per certo che cambierà. In peggio, ovviamente, in quanto inesorabilmente aggredita dalla piccola e volgare borghesia, dall’incuria e dall’assalto del cemento livellante, brutto e pretenzioso.

Vuole andare al Sud, a vangare nell’ingenuità popolaresca con il marchio forte ed evidente sia della Magna Grecia sia della camorra. Una terra dolce, tutto sommato, anche se dai tratti un po’ barbarici. È ammaliato dalla Sicilia che non s’arrende alla omologazione (parola che userà più tardi, col dito puntato contro). A Pachino scrive: «Qui la gente è tutta fuori, ed è la più bella gente d’Italia, razza purissima, elegante, forte, dolce». Vorrebbe vivere lì. Ma da vagabondo volubile lo ripete anche a Livorno. Nel Meridione si trova spesso solo, disobbediente al “coprifuoco” di certi borghi avvolti nel buio Ma è condizione migliore rispetto al disagio trovato nel Casinò di San Remo, dove entra «assetato di notizie», e si fa «piccolo sotto gli sguardi monumentali dei custodi». Gioca poco, perché è obbligato. E perde. È giugno, ai tavoli verdi ci sono i locali: «Mi sembrano quasi tutti giocatori di poca classe, un po’ quelli che si vedono alle corse dei cavalli». Snobismo? Può darsi. Odia i ricchi, i falsi ricchi, quelli che si danno una posa, i ridicoli flaneur. Ma lui è curioso. E tollera: «Presa un po’ di confidenza con l’ambiente che mi fa sentire un verme, privo di grana, privo di audacia, mi guardo intorno. Come tutti i traumi, quello di essere qui, si sta trasformando lentamente in una specie di felicità». A Siracusa scrive che «non è mica una chiacchiera che qui profumano zagare e limoni, liquerizia e papiri». Anche in quest’occasione scricchiola la convinzione di stare bene a Roma: «…non c’è il minimo dubbio che vorrei vivere qui: vivere e morirci, non di pace, come con Lawrence a Ravello, ma di gioia».

Quando si approssima ai luoghi di villeggiatura della sua infanzia (Pasolini nacque a Bologna), parla di «spiagge bilingui». Cattolica, «col suo spiaggione, ormai stratificato, raffinato, impreziosito, ipertrofico, da anni in grande uso, è pieno di donne: gli uomini si perdono, quasi non esistono: o solo adolescenti con gli occhi cerchiati, o umili scagnozzi, o dei fuchi». E poi i bagnini e i corteggiatori di belle straniere. Le lingue si storpiano, si intrecciano. L’italiano viene piegato malamente in imbarazzanti espressioni tedesche o inglesi. L’importante è la conquista. La si deve fare, se non altro per raccontarla centinaia di volte nei bar, in autunno.

pasolini in borgataPasolini andava in villeggiatura a Riccione, ma ora non riconosce più niente: «La nouvelle vague dei bagnanti e degli industriali, ha dato alla spiaggia una nuova violenza, un nuovo senso, in cui trionfano i giovani di ora, che, del nuovo, sanno tutto». È qui, confessa lo scrittore-regista-poeta, che ha avuto la sua «prima avventuretta, così passata di moda». Accenna che era una ballerina.

Porto Corsini è luogo colonizzato dai soli ravennati. «Spiagge di calce, dove infuria la ragazzaglia della periferia, del contado, del proletariato che lavora alle fabbriche che l’Eni ha ostruito lungo il canale da Ravenna a qui, quasi nuove cattedrali, nuovi Sant’Apollinari…. mai vista tanta rozzezza violenta». Inevitabile pensare la sua straziante morte al lido di Fiumicino: una brusca e cupa profezia.

In Campania, in fondo all’autostrada che va a Castellammare, «il Vesuvio – racconta Pasolini – ti casca addosso: orrendo, informe spettro controluce». Percorre la costa che il Boccaccio, settecento anni fa, in una sua novella ha chiamato «la più bella costa del mondo. Lo è. Fulminata dal sole, è rimasta identica nei secoli, emanando fisicamente bellezza, come se la bellezza fosse una bava, un alone, un raggio. Cosa unica al mondo, qui la bellezza produce direttamente ricchezza. La gente vive in una specie di agio tranquillo, lasciando che la bellezza lavori per lei». Boccaccesca è anche la strada che porta a Ravello. Pasolini sbaglia itinerario e s’infila in un paese qualsiasi. Fa niente: «Sento puzza di novità». Di quella incontaminata quiete sotto il sole, lo scrittore accennerà spesso a proposito del passo lungo e frenetico dell’italica volgarità.

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