Mario Dal Co
«L’Italia che vorrei» di Stefano Lorenzetto

Cercasi responsabilità

In un libro-intervista l'imprenditore Fabio Franceschi spiega la differenza tra lavoro e spreco: la responsabilità diretta di ciascuno nel risultato finale. Con questo articolo l'economista Mario Dal Co inizia a collaborare con Succedeoggi

L’Italia che vorrei (Marsilio, euro 14) è un’intervista di Stefano Lorenzetto, brillante giornalista veronese, a Fabio Franceschi, brillante imprenditore padovano, che ha fatto della sua azienda, Grafica Veneta S.p.a., un modello di efficienza, puntando sull’innovazione tecnologica e organizzativa. Questo binomio, tecnologia e organizzazione, può fare il successo delle aziende, ma è anche la chiave del risanamento della Pubblica Amministrazione (tema che riaffiora durante l’intervista). Con una sola differenza, che un imprenditore bravo riesce a rendere utile ed efficace l’innovazione perché può motivare e responsabilizzare le persone che lavorano con lui o per lui. Molti si oppongono, ma – dimostra Fabio Franceschi – i lavoratori di fronte ad un imprenditore, che vuole il successo della sua azienda e quindi anche il loro, non si tirano indietro rispetto al risultato. Nella Pubblica amministrazione, molti si oppongono, in particolare i sindacati che lì hanno una presenza non organizzata, ma istituzionale. Inoltre, il sistema giuridico-procedurale è costruito e gestito  per eliminare totalmente dall’orizzonte dell’organizzazione del lavoro, la responsabilità dei dirigenti rispetto ai risultati. A tal punto ciò è accaduto e accade, che nella Pubblica Amministrazione il concetto stesso di risultato del lavoro si è definitivamente perso e nessun riformatore riesce più a ritrovarlo, quindi, non  riesce neppure a misurarlo. Infatti il problema solo in minima parte è di riforma legislativa, in larga parte è di cambiamento del management pubblico.

Tant’è che perfino un accanito efficientista come l’ex ministro Renato Brunetta, all’epoca della sua riforma della Pubblica Amministrazione, non riuscì ad inoculare per via legislativa la cultura e la gestione del lavoro per risultati e dovette ripiegare sulla costituzione di una entità esterna per la valutazione: un vero e proprio ossimoro organizzativo (ma chi scriveva le norme sapeva benissimo ciò che faceva).

Premiare le capacità professionali, motivare con un rapporto diretto i collaboratori, siano essi dipendenti o fornitori, sono questi i punti di forza di Grafica Veneta, un esempio di organizzazione lean, direbbero gli esperti, che raggiunge livelli di just in time, sempre per usare le parole giuste, conosciuti e apprezzati in tutto il mondo. Mi soffermo sulla parte del volume che racconta l’esperienza imprenditoriale, in particolare quelle strettamente tipografica, la più interessante. Tralascerò, nel fare questo, la parte di cui pure Fabio Franceschi è molto orgoglioso, relativa alle energie rinnovabili, in cui ha fatto investimenti vantaggiosi. La tralascio perché, personalmente, non sono affatto orgoglioso che lo Stato italiano regali i soldi dei cittadini a chi installa tetti fotovoltaici o pale eoliche, ma tant’è: se ci sono sovvenzioni assurde che danneggiano la competitività generale del sistema è pur legittimo che qualcuno ne approfitti: almeno Fabio Franceschi ne approfitta per rendere più competitiva la sua azienda.

Ma torniamo alle parole inglesi: il just in time che Fabio Franceschi ha portato alle estreme conseguenze non è solo la sinergia tecnologica e organizzativa che sbalordisce, ma l’idea di servizio che Fabio Franceschi ha sviluppato. Nell’era dell’e-book, del print on demand etc, Fabio Franceschi ha modificato il mestiere tradizionale del tipografo, in modo da soddisfare le nuove esigenze del cliente per qualità, quantità e tempi di consegna. In questo modo, solo in apparenza il libro è sempre lo stesso, in realtà si arricchisce di un contenuto di servizi come la tempestività e l’affidabilità, che ne cambiano in buona misura la struttura intrinseca del valore. Una cosa è l’immediatezza della presenza sul mercato, un altra è  giacere negli scaffali per mesi.

grafica venetaL’Italia che vorrei, in realtà, non è un’intervista, poiché l’intervistatore dice molto la sua e quindi si tiene d’occhio, durante la lettura, chi scrive in corsivo e chi in carattere normale. A un certo punto si entra nel vivo delle idee, che l’esperienza imprenditoriale ha fatto maturare, idee  forti e  non convenzionali sull’Italia, i suoi imprenditori, i suoi sindaci, i suoi politici. C’è n’è per tutti, e questo potrebbe suonare male, se non fosse che raramente Fabio Franceschi cade nel generico: ha puntatori sapidi su ciò che non gli va (Renzi), gli pare inutile (Confindustria) e anche su ciò che è un esempio da seguire come Maurizio Bortoletti. Maurizio Bortoletti – si chiederanno i più – chi era costui?

Fabio Franceschi lo cita nel modo giusto, per dire con un esempio che il disastro della Pubblica Amministrazione non è inevitabile e che i risparmi, quelli veri, che sono giganteschi e sono necessari e sono possibili senza spargimenti di sangue (in senso sociale), si possono fare, eccome. La citazione è un segno della qualità del ragionamento di Franceschi e tradisce una affinità tra lui, l’imprenditore Fabio Franceschi, e l’altro, Maurizio Bortoletti, il Colonnello dei Carabinieri che ha fatto il Commissario straordinario della ASL di Salerno per dissesto finanziario. Un’affinità che si misura sui fatti e sulle parole.

Vediamo prima i fatti. Nominato Commissario dal governatore Caldoro nel 2010, nei 18 mesi della sua gestione commissariale ha risanato la ASL (un gigante con 1,2 milioni di assistiti) portandola da -250 milioni di perdite/anno a +11 di margine. Questi fatti sono stati ottenuti razionalizzando i processi, dando spazio alle persone oneste, semplificando le gare, facendo ordine negli straordinari, tenendo i tempi degli adempimenti, in particolare dei pagamenti dei fornitori. Un esempio per tutti: il Commissario eliminò il contenzioso con i fornitori (contenzioso che veniva regolarmente perso in sede giudiziale) ed ha risparmiato in questo modo sugli interessi e sulle spese legali (75 milioni!). A Salerno fu fatto ciò che serve nella pubblica amministrazione italiana: serietà, responsabilità, efficacia. Queste tre chiavi, non le spending review, sono la fonte di potenziali risparmi colossali e di parallelo miglioramento qualitativo dei servizi e, last but not least, di non strangolamento burocratico-finanziario delle imprese.

Poi ci sono le parole, dove l’affinità è ancora più diretta: quando Fabio Franceschi parla della sua azienda ne parla come di un ambiente modello, a mezza strada tra la camera bianca e il reparto terapia intensiva, e lo confronta con orgoglio, con le strutture decadenti dei concorrenti.. .che magari vuole acquisire. In questa insofferenza per la cialtroneria e nell’approccio di buon senso semplificatore, Fabio Franceschi ricorda uno dei migliori manager italiani, di scuola tedesca, Franco Tatò  e ricorda anche, da vicino, il Commissario Maurizio Bortoletti, che non si stancava, quando gli si chiedeva «Come hai fatto?», di rispondere sornione che bisogna essere «un buon padre di famiglia» per rimettere in sesto un’azienda. Un buon padre di famiglia, aggiungo, con mano d’acciaio in guanto di velluto.

L’aperta visione imprenditoriale di Fabio Franceschi propone un modo semplice di guardare ai disastri del nostro Paese. E denuncia con vivacità il loro terreno di cultura che, semplificando molto, è la mancanza di responsabilità per il risultato verso il cittadino (lato pubblica amministrazione) e verso il cliente (lato imprese).

Dimenticavo: gli autori hanno devoluto i diritti all’Ong Medici con l’Africa Cuamm di Padova.

Facebooktwitterlinkedin