Gianni Cerasuolo
Fa male lo sport

Quei falsi record

L'inchiesta che coinvolge Alex Schwazer e Carolina Kostner smaschera un'assurdità tutta italiana: è il Coni a controllare se stesso in materia di doping. Possibile non sia cambiato nulla dai tempi bui del laborotorio-Conconi?

Più che ai fidanzatini di Peynet, Alex Schwazer e Carolina Kostner fanno pensare al Gatto e alla Volpe. Certamente a due Pinocchietti che hanno raccontato un sacco di bugie. Al punto che la giovane pattinatrice, pur non essendo indagata (almeno fino ad ora), è stata “torchiata” in questi giorni per una intera giornata dai magistrati della Procura di Bolzano. La stessa Procura che ha sollevato il velo su un nuovo scandalo dello sport italiano in materia di doping. In sostanza: i controlli del Coni non funzionano. Anzi, neanche vengono fatti. Il marciatore, oro a Pechino, è stato fermato nell’estate 2012 (perché positivo all’Epo) durante i Giochi di Londra, da un controllo della Wada, l’agenzia mondiale antidoping del Cio, non certo dai nostri 007 sportivi. Lei è sospettata di averlo in qualche modo coperto, depistando quelli della Wada.

Dall’inchiesta di Bolzano, è emerso che l’Italia ha mandato alle Olimpiadi londinesi un bel po’ di gente che ha saltato gli accertamenti con un piccolo stratagemma: non farsi trovare alle chiamate degli uffici preposti e non incorrere in sanzioni perché si chiudevano gli occhi. Non è stato possibile fare test a sorpresa prima dell’evento olimpico. Una farsa, dunque. E non è la prima volta.

Nel corso degli anni, i vertici dello sport hanno continuato a tuonare contro le pratiche illecite e farmacologiche, stracciandosi le vesti indignati. Retorica e ipocrisia a vagonate come solo sport e politica sanno recitare.

francesco conconiIn realtà, fino a quando i test rimarranno in mano al Coni – che vive di medaglie e di vittorie, e quindi ha tutto l’interesse a nascondere il marcio perché altrimenti crolla tutto l’apparato, o perlomeno l’organizzazione e le singole federazioni sportive non hanno dentro di sé quelle spinte necessarie a combattere il fenomeno – le cose non cambieranno. E attorno agli atleti di vertice continueranno a girare gli stregoni delle “pozioni magiche” che a volte uccidono e molto spesso danno dipendenza dalle droghe. Non si spiega altrimenti perché, ancora oggi, decenni dopo il suo allontanamento, uno come il professor Francesco Conconi (nella foto accanto), ormai sulla soglia degli 80 anni, il guru dell’autoemotrasfusione, l’emerito cattedratico riconosciuto colpevole di doping da un tribunale italiano (ma senza subire nessuna condanna, essendo il reato prescritto), continui in qualche modo a influenzare gli atleti che poi vengono colti con le mani nella marmellata. Anche Schwazer ha frequentato Conconi, e non una sola volta, secondo gli inquirenti bolzanini. Negli anni Ottanta l’ex rettore dell’Università di Ferrara venne chiamato dal Coni  affinché con i suoi studi aiutasse, diciamo così, i campioni a migliorare le loro prestazioni. Franco Arturi sulla Gazzetta dello Sport ricordava una frase di Mario Pescante, longevo dirigente dello sport italiano all’ombra di Franco Carraro, e presidente del Coni egli stesso, più volte sottosegretario con Berlusconi: «Per anni abbiamo scambiato per scienza dello sport ciò che era malefica, maledetta scienza del doping». Pescante queste cose le diceva nel 2002, però qualche anno prima, nel 1998, fu costretto a dimettersi da numero 1 del Coni perché il laboratorio antidoping dell’Acqua Acetosa a Roma, gestito dal Comitato olimpico, copriva ogni zozzeria (il calcio godette di particolare immunità) e venne chiuso, come ricorda lo stesso autore dell’articolo. Anche in quella occasione, a scoprire gli altarini fu una inchiesta della magistratura. Ovviamente non fu il Coni.

giovanni evangelistiQuando qualcuno, all’interno del “Palazzo H” del Foro Italico, ha provato a dire come stavano le cose, è stato emarginato, additato come un torbido mestatore, un rompiballe. È il caso di Sandro Donati, studioso del fenomeno doping ed ex tecnico di atletica leggera, il quale ebbe la cattiva idea di denunciare il grande imbroglio del salto “allungato” di Giovanni Evangelisti ai Mondiali romani dell’87 (nella foto). Le battaglie di Donati sono state spesso irrise o, peggio, boicottate. Hanno fatto di tutto per screditarlo: da Carraro a Petrucci. In compenso, sono diventati dirigenti dello stesso ente personaggi come Manuela Di Centa, chiacchierata campionessa delle nevi, passata anch’essa per la mani di Conconi.

Dunque il Coni non può più occuparsi di antidoping. Soprattutto dopo lo sciagurato accordo del 2007 tra il governo di centrosinistra (il secondo di Prodi) e il Coni stesso: l’attività di controllo venne affidata allo stesso  Comitato olimpico attraverso un’agenzia creata appositamente, la Coni-Nado che in realtà dipende dal Coni. Eppure nel nostro Paese c’è una legge contro il doping che ha fatto scuola. Sempre la Gazzetta sottolineava giorni fa – in un editoriale del direttore Andrea Monti, significativamente intitolato «Doping, Ebola dello sport…» dove oltre a denunciare l’incapacità del Coni a gestire i controlli, si forniva anche qualche assist al presidente Giovanni Malagò: ad esempio, affidarsi ad una persona estranea allo sport e qualificata in grado di scegliersi i suoi collaboratori in piena autonomia – il caso dell’Usada (l’agenzia americana che ha svelato il doping di  Lance Armstrong) emanazione del Comitato olimpico statunitense ma dotata di totale indipendenza operativa.

Si invoca, in sostanza, la terzietà dei controlli in modo da non continuare con le vecchie pratiche omertose. Fino ad arrivare al punto che i controllori sono spesso gli stessi controllati, in modo da mortificare qualsiasi battaglia seria contro il flagello dello sport moderno. Il Coni prende tempo, Malagò ha annunciato delle novità. C’è da essere molto scettici e sospettosi. Fino a quando ci saranno complicità, zone d’ombra e comportamenti ambigui, fino a quando ci sarà di mezzo il Coni, nessuna misura efficace contro il doping è credibile.

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