Tina Pane
Viaggio nel cuore di Napoli

Natale tutto l’anno

Visita parallela nel tempio del kitsch San Gregorio Armeno con i suoi presepi profani e nel trionfo del Barocco della Chiesa affrescata da Luca Giordano e del Monastero di Santa Patrizia

C’è un posto a Napoli che si chiama San Gregorio Armeno, e dentro questo toponimo ci stanno, da molti secoli, una via, una chiesa, un convento e un’arte. San Gregorio è un cardine, che unisce il decumano superiore (via dei Tribunali) a quello inferiore (la cosiddetta Spaccanapoli), situato nel cuore antico della città dove un tempo era il foro della greca Neapolis. Qui, e c’è una lapide, vi era pure la casa natale di Ianuarius, San Gennaro.

San Gregorio è una chiesa, una delle centinaia che affollano il centro storico, ma non una qualunque, perché oltre a un trionfo di barocco e a innumerevoli tele di Luca Giordano, custodisce le reliquie di santa Patrizia, venerata compatrona della città, il cui sangue si scioglie il 25 agosto e tutti i martedì.

San Gregorio è poi un magnifico complesso monastico, costruito intorno al 1000 per accogliere le suore basiliane in fuga da Costantinopoli con le preziose reliquie di San Gregorio e Santa Patrizia. Un posto che davvero gronda di storia, leggende ed esoterismo e dove per un certo periodo l’hanno fatta da padrone le più nobili famiglie italiane (i Borgia, i Carafa, i D’Este, i Caracciolo…), che qui mandavano le loro figlie a fare la carriera di madri badesse.

San gregorio armeno1Ma San Gregorio è diventata in tutto il mondo soprattutto la via dei pastori, il luogo dove l’arte presepiale è nata e dove ogni anno si ripete, con piccole variazioni, il rito della vendita dei pastori e dei turisti che affollano la strada fino a bloccarsi. Nelle poche centinaia di metri di questo stretto vicolo in salita, sormontato nella parte superiore dal campanile della chiesa, si ammassano senza soluzione di continuità le botteghe che vendono presepi già finiti ma anche tutto il necessario per allestire in proprio il presepe. Da quando nel ‘700 si affermarono tre momenti salienti da raccontare nel presepe (la Natività nella stalla, l’annuncio della buona novella ai pastori e la taverna con i personaggi del popolo), la fantasia dei maestri artigiani si è sbizzarrita su quest’ultimo “quadro” e ancora oggi vengono realizzate statuine sempre più ricche di particolari, gestualità, accessori. Si chiamano per brevità pastori ma sono in realtà panettieri, pizzaioli, lavandaie, pettinatrici, pescivendoli, macellai…soggetti che più di un angelo o di un re magio offrono spunto alla creatività.

Ma le botteghe, per stare sempre aperte s’inventano anche kitschissimi gadget e souvenir che poco hanno a che fare col presepe, e nei due mesi precedenti il Natale espongono i nuovi soggetti, che riassumono un anno di eventi, tra politica e spettacolo. Quest’anno è comparso il sorriso stentato e algido di Schumacher, in tuta rossa e col cartello che promette, per fortuna senza errori: Ce la farò. Lo stesso verbo al futuro campeggia sul cartello brandito da Berlusconi, che non è esposto in prima fila ma ha un suo record di durata su queste bancarelle, e minaccia: Ritornerò. Poi ci sono Renzi, naturalmente con un grosso gelato, Grillo, ancora il tristissimo Monti e il sospeso De Magistris, realisticamente rimpicciolito e dimagrito rispetto all’anno scorso. Nella categoria evergreen non mancano le teste di Maradona e degli angioletti, Padre Pio, Totò, Bossi, ma decollato, l’Ultima Cena e naturalmente Eduardo, che non si è mai capito se il presepe gli piaceva oppure no.

Quando intorno all’8 dicembre, giorno dell’Immacolata e tradizionalmente data in cui si allestisce il presepe, arriveranno le troupe televisive a fare i loro servizi, saranno questi i soggetti che riprenderanno, ignorando o tralasciando i pastori di fattura pregiata, opera di artigiani che si tramandano il mestiere di padre in figlio, maestri della minuteria, dei materiali e dei particolari.

Il presepe ha una storia antichissima, che viene fatta risalire a San Francesco e che attraversa le varie epoche della città; è una sorta di teatro fermo, una chiave di lettura di gusti e abitudini, sarebbe davvero interessante approfondire. Ma è un argomento che non tira, e non un libro, non un pieghevole si potrà trovare nei negozi di San Gregorio Armeno, ottenendo più mercato quei souvenir da due euro il pezzo, cornicielli portafortuna, maschere di Pulcinella, palle con dentro il Vesuvio e la neve.

chiostroPerò, avendo un po’ di tempo e un po’ di voglia di capire la straordinaria stratificazione di storia e cultura di questa antica strada, conviene entrare al monastero, godere la maestosa bellezza del chiostro, ricchissimo di piante, e chiedere di Carla, una suora laica. Per far fronte agli impegni il monastero ha aperto alcuni ambienti al pubblico e l’emiliana Carla accompagna i visitatori  raccontando la storia del luogo, che oggi non è solo di preghiera. Non è una storica dell’arte ma si fa ascoltare, e i suoi aneddoti restano impressi nella memoria.

Come resta impressa una scultura racchiusa in un armadio del coro, che appresenta una Madonna senza velo, senza Giuseppe e con i seni ben accennati. Carla ne sottolinea i tanti aspetti originali e conclude definendola una Maternità. La stessa maternità che esprimono oggi le quasi quaranta suore che qui vivono, che in voto di povertà e grazie solo alle spontanee offerte dei visitatori, onorano il Natale tutti i giorni, accogliendo al convento un centinaio di bambini provenienti da famiglie in difficoltà e facendo mensa per almeno altrettante persone.

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