Luca Fortis
Cartolina dal Libano

Le gru di Beirut

Incontro con la celebre fumettista libanese Raphaelle Macaron: «Il mistero della mia città sta nel suo morire e rinascere continuamente. Come fosse un perenne cantiere in cerca di nuova vita»

Il vento accarezza le teste, i riflessi della luna fanno assumere strani colori ai bicchieri colmi di vino rosé della valle della Bekaa. Mentre le voci dei ragazzi libanesi riempiono l’aria del roof top del Centro Culturale Arabo Saifi Urban Garden, Beirut in tutte le sue multiformi anime si stende fino al mare. La città non dorme mai. Raphaelle Macaron, giovane astro nascente dei fumetti e della grafica libanese, mi guarda con i suoi occhi intensi.

Nel fumetto che ha scritto con Joseph Kai per l’edizione 2014 del Middle East Now raccontavate la storia fantastica di un possibile attacco alla città delle gigantesche gru con i loro bracci meccanici nel porto di Beirut. Devo ammettere che non ho potuto non pensare a voi quando me le sono trovate di fronte. Sono davvero enormi.

Le gru sono un progetto che ho fatto con Joseph, io ho fatto i disegni, lui ha scelto i colori, è stato molto divertente perché io non avrei mai pensato a quelle tonalità. Il mio rapporto con le gru è molto particolare, mi sembrano enormi, quasi apocalittiche e forse cattive. Ho spesso idee apocalittiche, la ricostruzione di Beirut è molto brutta ed è un vero peccato se uno pensa a come era la città prima della guerra. Le gru del porto insieme a quelle dei nuovi grattacieli rappresentano questa intrusione di una ricostruzione che non rispetta la vecchia città. Ma devo ammettere che in una notte di luna piena, tornando da una discoteca, mi sono sembrate degli amici a cui ero abituata, sembrava New York, non volevano più distruggermi. Queste contraddizioni sono forse l’anima della città. Beirut è stata ricostruita sette volte, non è un cliché dire che la capitale libanese è morte e vita, distruzione e ricostruzione. Si ricostruiscono amicizie e carriere, palazzi, tutto è instabile, muore ma poi rinasce.  Si tratta di vita che nasce dalla depressione.

raphaelle Macaron 1Mi saprebbe dire quanto pesano le sue intuizioni e le influenze di Beirut nel suo lavoro?

No, perché io sono Beirut e Beirut è me. Sono talmente legata emotivamente, politicamente, religiosamente a questa città che non posso allontanarmene al lungo, nel mio lavoro ho raramente fatto qualcosa che non sia una dichiarazione di amore e guerra a Beirut.

Il nuovo fumetto che sta scrivendo è una riflessione sulla morte nella valle della Bekaa.

Ho iniziato a scriverlo da poco, in un anno ho perso tre persone a cui tenevo, un’esperienza che prima non conoscevo. Sono cambiata, ho cominciato a capire meglio cosa accade anche quando la gente muore negli attentati tanto comuni a Beirut. Ho una relazione strana con la religione, non so bene in cosa credo. Mia nonna, che è morta quest’anno, ha vissuto per anni nella Bekaa facendo una vita molto tradizionale, vivendo per i figli e per il marito. Scese a Beirut solamente dopo la morte di quest’ultimo perché i figli volevano occuparsi di lei. Non le è stato facile abituarsi a una grande città dalla vita completamente diversa a quella che faceva in campagna. Quando ha incominciato a soffrire di demenza senile ha dimenticato da dove veniva. Per me è stato molto triste, aveva ogni tanto degli sprazzi di memoria e chiedeva di tornare nella Bekaa, ma avendo bisogno di una macchina per l’ossigeno gli dicevamo di sì, ma sapevamo non sarebbe mai accaduto. Quando è morta l’abbiamo davvero portata nella Bekaa, ma per seppellirla. Il funerale per me è stato un emozione fortissima perché era molto amata e io non avevo mai visto una cerimonia tradizionale nella valle. Nella sala funeraria gli uomini si mettono da un lato e parlano e le donne dall’altro piangono, facendo vedere tutte le loro emozioni. Strillano a più non posso come si fa da voi in Sicilia. Quando il corpo viene portato al cimitero vanno solamente gli uomini, le donne restano in paese perché troppo fragili. È stato bellissimo, ma allo stesso tempo tutto questo “show off ” un po’ mi ha impressionato, avevo voglia di dire: «oh, si tratta di mia nonna!». Sentivo bisogno di più intimità, ma allo stesso tempo so che lei avrebbe apprezzato e tutto questo mi intrigava. Il fatto che una persona così vicina a me avesse avuto una vita tanto differente era una sensazione molto bella, ma a volte difficile da gestire. Non ho mai potuto spiegarle il mio lavoro di fumettista, quello che avevo studiato, non avrebbe mai capito che i fumetti potessero essere un lavoro.

Ha partecipato a tutto il rito o è rimasta con le donne?

Io ho detto a mio padre che nessuno avrebbe potuto impedirmi di andare al cimitero ad accompagnare nell’ultimo viaggio mia nonna. Lui ha acconsentito, ma non mi ha lasciato mai sola, ero l’unica donna. Durante il corteo accadde un fatto che non dimenticherò mai, mentre passavamo in strade dove vivevano solo musulmani sciiti, con le macchine tutte in fila piene di croci, mio padre mi ha fatto notare che la gente chiudeva i negozi al nostro passaggio per rendere omaggio a un morto cristiano. Avrei voluto che ci fermassimo per dirgli grazie, ero commossa.

L’ha toccata nel profondo questa relazione così antica con la morte che sopravvive con riti simili dalla Sicilia, al Libano fino all’Egitto?

Sì, sono rimasta molto impressionata, l’anno prima era morto il nonno che viveva a Beirut, persona invece molto aperta e che mi ha insegnato la musica. Con lui potevo parlare dei miei problemi. Quando se ne è andato per me è stato durissimo perché era il mio confidente. Al funerale c’erano tutti quelli che lo conoscevano davvero, il loro comportamento era molto riservato. Nella Bekaa invece era tutto un eccesso.

raphaelle Macaron 2Quale è il suo rapporto con la vita e la morte ? Nella Bekaa è quasi un rapporto ancestrale che forse a Beirut le persone non hanno, magari li è più intimo, ma meno atavico.

Non farò un fumetto solamente sulla morte e sul rapporto ancestrale che le persone hanno con lei nelle campagne libanesi, sarà anche un fumetto sul cambiamento del paesaggio tra Beirut e la Bekaa, e ci sarà, come sempre in Libano, qual cosa di assurdo. Andando in macchina al funerale ascoltavo della musica, elemento sempre centrale nella mia vita. Negli ultimi anni ho ascoltato spesso David Bowie e ho pensato a cosa sarebbe accaduto se fosse stato al funerale con me e cosa avrebbero detto e pensato sia lui che mia nonna. Immaginarlo accanto a me, lì con i suoi costumi e il suo stile di vita, mi ha aiutato durante tutta la funzione, avrebbe rappresentato l’anti Bekaa, o, come spesso succede in Libano, vedere lui e le famiglie locali insieme a un funerale avrebbe permesso di cogliere con una sola immagine la complessità della nostra cultura.

È un modo di vedere la morte in modo ironico? Beirut distrutta e ricostruita mille volte, dimostra che la vita è più forte della morte. Bowie nella Bekaa è un idea molto libanese.

Sì, durante la messa un uccello si è posato su un albero ed io ho pensato che fosse mia nonna e mi sono chiesta cosa avrebbe pensato di David Bowie. Commossa mi sono detta che ora che era morta avrebbe riso nel vederlo al suo funerale.

Lavora spesso con Joseph Kai: quand’è che avete riso di più insieme?

Ho riso e pianto con lui mille volte, quando io e il mio ex ragazzo ci lasciammo per me fu molto doloroso, ma lui mi fece ridere moltissimo. Abbiamo entrambi un humour molto nero e finiamo per ridere per ore: mi fa morire quando mi rendo conto che dice cose che io non direi mai. Joseph suona il pianoforte ed è appassionato di musica classica. Una volta mi ha raccontato ridendo che uno dei suoi incubi peggiori è stato sognare Antonio Salieri che, diventato cannibale, lo faceva a pezzi e se lo mangiava.

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