Alberto Fraccacreta
Cronaca in frammenti dei mondiali di basket

Ecco perché vorrei la pelle nera

Dopo l'entusiasmante vittoria degli Usa in Spagna, alcune suggestioni riaprono la “questione omerica”. Sì, perché le qualità dell'irresistibile team allenato dal coach Mike Krzyzewski sembrano mutuate dagli eroici guerrieri della guerra di Troia. E non solo...

I mondiali “spagnoli” di pallacanestro si sono chiusi in mesta guisa: padroni di casa eliminati ai quarti – contro ogni pronostico – da una Francia coraggiosa ma non irresistibile, e Stati Uniti, come al solito, travolgenti: i funambolici ragazzi di coach K., forti di una Stimmung più che benigna, stravincono senza grossi grattacapi, e volano nell’Olimpo dei dream team con una media di oltre 32 punti di scarto inferti alla malcapitata di turno. Ma procediamo con ordine. Sparso.

Gare d’asfalto – È scientificamente provato che l’atto di osservare gli Stati Uniti nel gioco del basket produce un’emozione/intuizione eidetica pari alla vista di un quadro di Bosch o di de Chirico o di Modigliani. Al sesto minuto del terzo tempo del quarto di finale Usa-Slovenia, il punteggio è 55 a 44. Dieci minuti dopo gli americani segnano il doppio dei punti, collezionando un numero impressionante di “stoppate” (che inducono inevitabilmente il pubblico all’addentrarsi nelle più basse plaghe dell’interiezione), palle rubate e “bombe” da tre. Il risultato finale – di stretta parentela con il conglomerato calcareo-poroso dell’asfalto – è 119 a 76. Colpiscono l’eleganza nell’esecuzione, un atletismo viscerale, la velocità madreperlacea, una naturalezza sardonica, l’estro infinito. Quel gioco eufuistico di mani, quell’asciuttezza di forma e modi geometricamente costruiti, quell’Iride messaggera sciorinata sul parquet sono la grazia dello sport che, stasera, per noi mortali pare scesa in terra.

anthony davisOmerismi nel team Usa – Chi li ha scorti sgambettare in vesti fruscianti sul rettangolo di gioco sa bene che non sono uomini: nemmeno guerrieri: “semidei” è forse la definizione giusta. Quando si parla dei loro alley-oopisocroni, dei tap-in violenti, dei contropiedi al cardiopalma, c’è come un’aura di Ilioupersis (La caduta di Ilio) che irradia prontamente lo spazio circostante e agguanta i sensi ignari degli ascoltatori: sembra d’improvviso riaperta, con grande nocumento per gli studiosi, la “questione omerica”. Allora ci si chiede: ma quello che palleggia con albeggiante leggiadria e scaglia tiri al tritolo, non è forse Irving dalle rosee dita? E quell’altro la cui falcata assomiglia a una saetta bruciante contro il riparo di tutti i mortali, non è forse Harden piè veloce? E guardate anche Faried dall’augusta zazzera! Infine: coach K., al secolo Mike Krzyzewski, aedo impeccabile di questo lungo, esaltante poema, esiste davvero?

Imperdonabili – Nel culto maniacale dello Stile sono feroci. Anzi, direbbe Cristina Campo: imperdonabili. Promotori cioè dell’«ardua e meravigliosa perfezione, questa divina ingiuria da venerare nella natura, da toccare nell’arte, da inventare gloriosamente nel quotidiano contegno». La finalissima di domenica con la Serbia lo ha ampiamente dimostrato: il 6/6 da tre dell’Mvp Irving, la maestosa meccanica di tiro del “gioiello” Klay Thompson, i 23 “gettoni” del Barba, i 37 punti che dividono le due squadre allo scadere dei quattro quarti sono forse le migliori “cartoline per trepidi amanti”.

Una variazione sul tema – Rimanendo nell’ambito dei paralleli con la grecità, si può associare il gioco dei mostri sacri del Cestino a qualcosa di più che il sopraggiungere di semplici semidei nel ciclo iliadico, – qualcosa di veramente decisivo per i destini del mondo, per non dire letale: le Moire. Irving-Cloto fila lo stame della vita; il Barba-Lachesi lo avvolge sul fuso e stabilisce quanto del filo spetta a ogni avversario; Cousins-Atropo lo recide. Inesorabilmente.

Cosa rimane – Qualsiasi umana occupazione sia perseguita ad altissimi livelli raggiunge immantinente lo status di pura arte: un’arte irrigua, discesa nel gorgo, orientata in paludi di bellezza esacerbata. Una cortina di discrezione si alza allora contro i nostri desideri di avvicinamento, di perseguimento. Ci perdiamo nella nebbia che ora allunga la distanza. Tutto è sbiadito, tutto è un trono di ricordi: un sogno illimitato segue le movenze che mai riusciremo a imitare, se non con le agili creazioni della memoria. E lontano, così lontano sembra adesso il castello di coach K.

Facebooktwitterlinkedin