Marco Fiorletta
A proposito de «La bastarda di Istanbul»

Le donne e gli armeni

La scrittrice turca Elif Shafak ha raccontato uno strappo della storia (il massacro degli armeni) inseguendo le vicende parallele di due famiglie, una a Istanbul e l’altra negli Stati Uniti

Odiosa è la moda di pubblicare libri con inserti, lunghi o brevi non importa, in lingua straniera. Se la cosa può essere accettabile per le lingue più conosciute, e non è vero che gli italiani abbiano tutta questa dimestichezza con gli altrui idiomi, è assolutamente negativo per quelle lingue che per forza di cose non si conoscono come il turco o l’armeno. Nel libro di cui parliamo, nella prima parte, ce ne sono in abbondanza e ostacolano la lettura e comportano un continuo ricorso ad internet per capire di cosa si stia parlando o anche per semplice pignoleria. Eppure sarebbe bastato un piccolo glossario o delle banali note a piè di pagina. Tolta di mezzo la critica più evidente, che riguarda la casa editrice e non l’autrice, possiamo iniziare a parlare de La bastarda di Istanbul, Best BUR Rizzoli 388p. reperibile in diverse edizioni e prezzo, della scrittrice turca Elif Shafak.

Non attendetevi l’intensità emotiva de La masseria delle allodole di Antonia Arslan o la profondità di un saggio come potrebbe essere Il massacro degli Armeni. Un genocidio controverso di Guenter Lewy tanto per citare i primi due titoli che mi sovvengono. Nemmeno velatamente si può pensare che fosse questa l’intenzione dell’autrice, però se volete un libro piacevole, a tratti divertente e nello stesso tempo impegnato senza eccedere, l’opera della Shafak fa al caso vostro.

La bastarda di Istanbul di Elif ShakakCi sono due famiglie lontane, una a Istanbul e l’altra negli Stati Uniti, lontane non solo geograficamente ma principalmente divise dagli eventi della storia, dal massacro degli Armeni del 1915 e dalla negazione da parte dei turchi del genocidio. È il sottofondo, anzi la base, di questa storia e che ha portato l’autrice a subire un processo in patria. E su questa base poi si incistano i problemi di due famiglie principalmente al femminile che in alcune pagine mi hanno ricordato Speriamo che sia femmina di Monicelli.

Due giovani donne si incontrano ad Istanbul, Armanoush americana di origine armene e Asya turca. Entrambe alla ricerca delle proprie origini, Armanoush che ascolta musica etnica e che quasi non sa chi sia Johnny Cash che invece fa da colonna sonora ad Asya. La turca figlia della colpa alla ricerca del padre sconosciuto e l’armena da parte di padre che si ritrova un patrigno di origine turca. Un bel miscuglio di storie di zie, di sorelle, di nonne e la quasi mancanza totale di figure maschili e quelle che ci sono non tutte positive. E poi la Turchia con le sue contraddizioni, con le sue liberalità che si restringono sempre più e la persistente negazione del massacro degli Armeni.

E come non dedicare un pensiero al cibo, armeno o turco che sia, che la fa da padrone in diverse pagine, un’istigazione all’abbuffata. Dopo averlo letto si potrebbe anche dire, se mi si passa la battuta, che non è vero che gli scrittori turchi sono tutti noiosi.

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