Ilaria Palomba
Due scrittori a confronto

Lettera sulle guerre

Abbiamo sostituito il valore con il contare. È questo il tema su cui riflette "La strategia del tango" di Paolo Restuccia. Ecco cosa scrive all'autore una sua allieva

Caro Paolo, ho finito ieri notte di leggere La strategia del tango, il tuo romanzo che l’editore Gaffi ha appena pubblicato. Non riuscivo a staccarmi dalle pagine, l’ho letto in tre giorni. Immaginavo fosse un bel romanzo ma, leggendo, le aspettative sono state di gran lunga superate. Il personaggio che ho amato di più è Giulia. L’ho sentita molto simile a me. Di solito non leggo gialli e noir e quindi non ne conosco bene le trame e tuttavia ho l’impressione che il lato giallistico nel tuo romanzo sia un pretesto per parlare di qualcosa di più profondo. Al di là della bellezza dei personaggi, Ettore, con la sua fragilità e umanità, e persino gli antagonisti, con le loro debolezze, incastrati, loro malgrado, nel sistema cui credono di appartenere, vi scorgo una critica radicale alla nostra società, un impeto rivoluzionario. Le citazioni storiche e musicali, il gioco sui detti di Bertoni, la molteplicità di lingue e dialetti di cui è pregna la memoria di Ettore, i legami ambigui tra i personaggi, l’interesse nei rapporti umani più di ogni cosa, tutto sembra convergere nel definire il tuo romanzo come specchio della nostra epoca, non privo di autocritica.

La guerra e le così dette missioni di pace, i gradi e i punteggi raggiunti, il risentimento come generatore di comportamenti umani e sociali, è questo che siamo oggi, tutti noi, nessuno escluso, in queste dinamiche vedo riflesse le dinamiche umane alla base del vivere sociale e politico, se per politica intendiamo, come volevano i greci, ciò che è pubblico.

paolo retucciaForse dovremmo tutti riflettere, leggendo La strategia del tango, su quanto le dinamiche di guerra siano radicate in noi, in ognuno di noi. Su quanto scavalcamento, dubbio, paranoia si siano insinuati nel vivere quotidiano. Su quanto l’interesse si sia sostituito al benessere. Su quanto tutto ciò sia controproducente per l’evoluzione umana e sociale, dal punto di vista politico, economico e psicologico. Abbiamo sostituito il valore con il contare. In una società in cui tutto è quantificabile e mercificabile, anche il valore umano si misura in punteggio e assume un valore economico. Non si pensa più a chi sia questa persona che abbiamo di fronte, si pensa solo a che medaglia abbia, quanto conti, quanto valga in termini economici, non in termini umani, quanto ci convenga o meno frequentarla, che vantaggi possiamo ricavarne. Ciò è, credo, alla base del declino del nostro vivere insieme. Ciò è alla base della concorrenza sfrenata, dell’odio interpersonale e sociale, della guerra sempre viva tra individui, del potere che alcuni esercitano sugli altri. E se estendiamo il concetto a un livello più ampio, non più circa gli individui ma applicandolo ai popoli, alle nazioni e alle etnie, questo meccanismo quantitativo, diventa il sostrato di ogni totalitarismo, che sia esso espresso o velato.

Quindi voglio ringraziarti, per aver messo in luce, attraverso la tua scrittura, questi aspetti feroci dell’umano e del suo modo di stare al mondo. Voglio ringraziarti anche per avermi permesso di entrare in contatto con quei personaggi, Ettore e Giulia in particolare, con le loro fragilità e umanità, che sono anche le mie e le nostre fragilità e umanità. Voglio ringraziarti per i riferimenti storici e culturali, che molto insegnano. E per lo stile della tua scrittura, davvero alto e potente ma tridimensionale. Considerando poi che ti considero un mio maestro, per quanto riguarda la scrittura narrativa (e considerando che spesso si sentono in giro discorsi che mirano a confutare la validità delle scuole di scrittura, con l’argomento che mirerebbero a livellare gli stili su una specie di medietà universale) posso azzardare che il tuo libro sia, in sé, prova del contrario. Per la molteplicità di stili, dalla narrazione in terza persona, ai dialetti, ai momenti più onirici a tutti gli altri stili che s’intersecano perfettamente. Sai, anch’io in passato, essendo sempre stata una ribelle, non vedevo di buon occhio le scuole, di qualunque genere fossero. Ascoltavo i classici discorsi che venivano fatti dagli scrittori esordienti sulla validità o meno delle scuole. Ascoltavo le parole anche di alcuni tra gli scrittori italiani contemporanei che prediligo. Poi ho voluto tentare io stessa, poiché sono convinta che prima di parlare di un determinato campo, sia necessario almeno in parte esperirlo.

Quel che ho scoperto è la volontà di confrontarsi e crescere senza perdere la propria specificità. Talvolta il confronto presenta degli ostacoli e delle forme di sfida. C’è chi si arrende voltando le spalle, chi decide di cambiare e chi invece sceglie di accettare la sfida portando avanti la propria voce e la propria individualità. Personalmente, posso dire che mi hai insegnato a credere nella forza del mio linguaggio e anche nella mia diversità. E credo che il tuo romanzo possa essere d’esempio per tutti gli allievi, poiché, di certo, chi legge si accorgerà del fatto che presenti più d’una sfida per la scrittura stessa e proprio lì, nelle sfide, dove il terreno sembra instabile, si annidano le potenzialità della letteratura.

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