Ubaldo Villani-Lubelli
Un libro edito da Sellerio

Europei di Germania

Beda Romano, nei racconti de “Il ragazzo di Erfurt” descrive il periodo tra la caduta del Muro e l'Undici Settembre come una nuova Belle Époque

«Il loro ambiente di elezione non era il loro paese, ma il continente. Per tradizione familiare, per esperienza personale». Per comprendere il senso profondo del libro Il ragazzo di Erfurt di Beda Romano (Sellerio editore, 104 pagine, 11 euro) bisogna partire da ciò che lega i tre protagonisti del primo racconto, Place des Fêtes. Il franco-tedesco Pierre Maçon, il tedesco Jürgen Fritz e l’italiano Alfonso Merlo erano e si sentivano “cittadini europei”: «Erano nati a cavallo di un secolo e avevamo memoria diretta della rapidità con cui il continente era sprofondato nella Grande Guerra, ma erano impregnati di Belle Époque, di un periodo in cui un cittadino europeo poteva viaggiare liberamente senza passaporto, fino a Mosca. … Le loro città d’origine avevano dato loro una sensibilità europea sulla vita e sul mondo. Passavano con incredibile disinvoltura da una lingua all’altra, e avevano della storia del vicino una conoscenza tanto profonda quanto spontanea. … I tre uomini avevano una straordinaria comunanza di esperienze personali e riferimenti culturali».

Il riferimento alla Belle Époque e alla Grande Guerra non sono casuali. C’è una vaga analogia tra l’Europa dei primi del Novecento e quella che dalla caduta del Muro di Berlino (9 novembre 1989) arriva all’11 settembre 2001 (Crollo delle Torri Gemelle) e alla grande crisi del 2008. I progressi della tecnica e della scienza a partire della fine dell’Ottocento migliorarono gli standard di vita e si diffuse l’ottimismo della crescita; la Belle Époque esprimeva la convinzione che il Novecento sarebbe stato un secolo di pace e benessere. Dall’altra parte, la fine della caduta del Muro di Berlino, l’avvento del turbocapitalismo e la fiducia estrema nella globalizzazione e nelle regole del libero mercato portarono alla convinzione che quel sistema fosse immune da crisi. Ma siccome il ritmo della storia non si ferma mai il terrorismo islamico e la grande crisi economico-finanziaria hanno segnato la fine di una sorta di Belle Époque alle soglie del XXI secolo.

Il ragazzo di erfurtNell’anno in cui si incrociano numerose ricorrenze storiche – 100 anni dallo scoppio della prima guerra mondiale, 75 anni dallo scoppio della seconda guerra mondiale e 25 anni dalla caduta del Muro di Berlino – la lettura dei tre racconti che compongono Il ragazzo di Erfurt ci offre un viaggio affascinante nella memoria storica europea con particolare attenzione alla Germania, paese centrale per comprendere qualsiasi processo politico nel Vecchio Continente. Il filo rosso che lega i racconti tra loro è, appunto, la Germania e la storia tedesca. L’autore vuole spiegare la Germania e il suo popolo andando oltre i clichés e gli stereotipi a cui spesso sono condannati i tedeschi.

Nel secondo racconto, Tramonto a Istanbul, Beda Romano cita un verso del Corano «L’anima di un uomo è ostaggio delle sue azioni», una frase che si applica a Manfred Kuhl, archeologo tedesco a Istanbul da sempre contrario che la Germania custodisca beni archeologici di altri paesi. Era convinto, ad esempio, che la statua di Nefertiti dovesse tornare in Egitto: «“Che diritto abbiamo di custodirla noi? – sosteneva Manfred Kuhl – La statua appartiene agli egiziani. In passato potevamo avere dei dubbi sulla loro abilità a proteggerla e a curarla. Oggi non più. Per loro è un simbolo della rinascita, un’opera d’arte di cui andare fieri e di cui approfittare per attirare turisti. Per noi invece è solo un retaggio del colonialismo”. Parlare di colonialismo era una voluta provocazione, tanto più che con la recentissima unificazione della la Germania doveva fare i conti con l’accusa dei suoi vicini europei di essere sempre più assertiva. C’era in Kuhl una innata e divertita tendenza alla sfrontatezza, ma anche il sentimento tipico di una generazione che aveva vissuto l’ultima guerra e per la quale il proprio paese aveva un peccato originale da saldare. Restituire la statua di Nefertiti all’Egitto era un modo per espiare le proprie colpe». Ma Manfred Kuhl, così come la Germania, ha un passato ingombrante. Le azioni del passato tornano improvvisamente nel presente: «Con luciferina metodicità, le autorità tedesche svuotavano le abitazioni degli sfortunati ebrei deportati nei campi di concentramento, e nella migliore delle ipotesi organizzavano aste sui marciapiedi delle case. Il denaro naturalmente era incassato dal locale ufficio delle imposte. In alcune città, come a Marburgo, i primi arrivati si servivano liberamente. Era furto? Sì, naturalmente, ma è così che andava ai tempi. Manfred Kuhl si era comportato come decine, centinaia, forse migliaia di altri tedeschi. Molti decenni dopo il paese avrebbe confessato una rapina legalizzata, se non addirittura un saccheggio».

Il terzo e ultimo racconto, che dà il titolo al libro, Il ragazzo di Erfurt appunto, è quello che più degli altri descrive la Germania di oggi. Attraverso la storia di Matthias Kampf, direttore del servizio della Croce Rossa tedesca per la ricerca delle persone scomparse durante la seconda guerra mondiale, racconta il filo spezzato della processo della storia della Germania nel Novecento. Il dopoguerra è l’anno zero. Il primo Presidente della Repubblica Federale Tedesca Theodor Heuss, nel suo discorso di insediamento nel settembre del 1949, disse che «la Germania ha bisogno dell’Europa, ma anche l’Europa ha bisogno della Germania. Lo sappiamo bene: durante la dittatura di Hitler siamo diventati più poveri, il potere dello Stato ha ristretto la vita del nostro popolo. Ma sappiamo anche questo: gli altri diventerebbero più poveri senza ciò che ha significato la Germania. Abbiamo il grande compito di formare un nuovo sentimento nazionale. Una difficile missione educativa … Noi abbiamo il compito di riposizionarci nello spazio politico e di formare nuovamente una nostra dignità che abbiamo perso nel fondo della nostra anima…».

beda romanoNel terzo racconto il passato acquista una nuova dimensione perché è quello di milioni di tedeschi scomparsi durante la guerra. E così la coppia di anziani signori Peter e Marie Brandt, dopo decenni dalla fine della seconda guerra mondiale, si rivolgono a Matthias Kampf per ritrovare il loro figlio scomparso: «Nel 1943, mentre il destino della Germania stava diventando ormai chiaro anche a molti tedeschi, i Brandt avevano deciso di mandare il figlio Tobias da alcuni parenti che erano partiti per gli Stati Uniti all’avvento del nazismo. … Peter Brandt aveva organizzato il viaggio nei minimi dettagli. Il treno da Erfurt a Francoforte, poi a Parigi, poi giù fino in Spagna e in Portogallo, e da lì in nave verso gli Stati Uniti. Un percorso attraverso l’Europa di oltre duemila chilometri pieno di possibili traversie e di potenziali incidenti, che però poteva consentire al giovane Tobias di mettersi in salvo. … Erano contenti di aver organizzato la sua partenza, e forse la sua salvezza … Ma Tobias era scomparso. Era arrivato a Parigi e da quel momento le sue tracce si erano perse». Naturalmente Manfred Kuhl non poteva nulla o quasi per aiutare i Brandt. Era trascorso troppo tempo. Ma la storia del ragazzo di Erfurt scomparso nel suo viaggio verso la salvezza ha un risvolto inaspettato. Il protagonista, uomo dall’organizzazione efficace, dalla costanze straordinaria, dalla metodicità impeccabile, ligio al dovere e che conduceva una vita priva di sperperi aveva il compito non solo di «riannodare legami familiari, ma amava ridare ai profughi e ai dispersi una storia e una identità». Ma quell’identità e quel passato che cercava di restituire ai tanti dispersi scoprì egli stesso di non averli: «Manfred Kuhl risultava disperso dal 1946. La notizia lo aveva disorientato. … Per decenni aveva cercato di dare una identità a migliaia di profughi. Oggi all’improvviso aveva scoperto che la sua stessa identità era in forse, che la sua stessa esistenza era incerta, almeno stando a una scheda rossa infilata con altre migliaia in un vecchio classificatore della Croce Rossa … A scioccare Kampf era però soprattutto la possibilità che ci fosse stato un errore; che l’organizzazione potesse commettere uno sbaglio così gigantesco». In questo modo Beda Romano sfata anche l’ultimo mito sull’organizzazione dei tedeschi. Le nuove generazioni della Germania europea sono molto più internazionali e rilassate di quanto gli stranieri tendano, comodamente e superficialmente, a descriverle.

A causa della crisi economica e delle misure prese dalla cancelliera tedesca Merkel per contrastarla, in Europa (e in particolare in Italia) è cresciuto e si è diffuso un sentimento antitedesco. In questa discussione Beda Romano non interviene con lo strumento con cui forse si sentirebbe più a suo agio, il saggio, ma con un’opera letteraria, con l’intento di spiegare l’anima di un popolo che più che criticato andrebbe capito. L’sperimento è indubbiamente riuscito.

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