Gianni Cerasuolo
I commenti alla disfatta brasiliana

Il mito non c’è più!

Lo sport consuma in fretta i suoi "sogni" e vive solo di nostalgia: la semifinale del 7-1 non diventerà leggenda. Perché con le nazionali prove agli interessi del club, il calcio internazionale è già cambiato

È stato cancellato un mito che già non esisteva più. Perché lo sport contemporaneo non consente più di averne. Come se il passato, le imprese, i grandi campioni facessero parte della tappezzeria, oggetti di antiquariato, buoni per la nostalgia. E contasse soltanto quello che è accaduto tre minuti fa.

Il Brasile che piange, il Brasile che soffre, il Maracanazo (che fu davvero tutta un’altra cosa), il dramma di un Paese, un Paese in lutto, come al funerale di Senna (che fu anche questa un’altra cosa), i sogni perduti. È la sintesi di tanti commenti dopo la disfatta della squadra di Scolari ai Mondiali. Con foto e immagini che grondano lacrime, e post e blog che sfottono e se la spassano, mettendo ad esempio la Merkel in cima al Corcovado al posto del Cristo redentore. Fino a quando, l’altra semifinale, Argentina-Olanda, non offrirà altri spunti e cancellerà, almeno parzialmente, quanto è accaduto a Belo Horizonte martedì 8 luglio 2014. E poi la finale. E poi il mercato dei mondiali, e poi il campionato, la Liga, la Premier…

Questo è il mordi-e-fuggi globale. Leggo di incidenti e di bus assaltati, ma forse sono solo gli assaggi di quella protesta che doveva combinare sfracelli e che invece non si è proprio vista e sentita, se si fa eccezione per il giorno dell’inaugurazione con la Roussef in tribuna, bersaglio di frizzi, lazzi e lancio di oggetti contundenti. Del resto, per uno che sta nelle favelas può cambiare qualcosa una vittoria o una sconfitta per 7-1?

Non so se il 7-1 di Klose e soci ai mediocri e fragili verdeoro sostituirà nell’immaginario collettivo il 4-3 della famosa Italia-Germania, come scrive Mario Sconcerti sul Corsera. Ne dubito, per le ragioni di cui sopra: tutto si consuma in fretta e cambia rapidamente. Al punto che non è impensabile ipotizzare per il futuro la scomparsa delle nazionali sportive per gli sport più popolari come il calcio. Nella pratica questo già avviene, poiché i club pretendono ancora maggiori spazi, i budget societari sono sempre più tele-dipendenti, le competizioni internazionali tra club offrono più appeal. Il Brasile ha fatto un po’ come l’Italia, ha pensato soltanto a mandare fuori casa i migliori talenti, giovanissimi, che sono cresciuti (o sono rimasti piccoli) altrove, in Europa, in Asia, nei paesi arabi, spesso in squadre di basso livello. Sottraendo materiale alla Casa Madre, cioè alla nazionale,  non tutti sono Neymar e Thiago Silva, e il crescere assieme a volte aiuta.

Noi esportiamo più a fatica ma in compenso abbiamo abbandonato i vivai, facciamo un uso smodato di stranieri, spendiamo un sacco di soldi in maniera sbagliata e con operazioni dubbie (le cosiddette plusvalenze). La Germania ha fatto tutta un’altra politica dopo risultati non esaltanti (non vince un Mondiale da Italia ’90 ed ha perso quello in casa del 2006 andando a sbattere contro la nazionale di Lippi). Non è un caso che, accanto al primato politico ed economico in Europa, corrisponda un risveglio calcistico.

Il Brasile paga il suo tributo alla modernità del calcio governato più dalla finanza che dal talento. Poi certo, Felipao Scolari è un incapace, David Luiz è un presuntuoso, Fred non si sa perché giochi al calcio e il buon Julio Cesar è un ex portiere che al massimo para qualche rigore come si fa su una spiaggia quando gli amici si mettono a giocare. Ma questi sono solo dettagli.

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