Giuseppe Grattacaso
Un volume dello Specchio di Mondadori

La luce delle parole

Roberto Deidier pubblica una nuova raccolta di poesia, «Solstizio», nella quale è facile comprendere «Quanto l'arrivo sia nella partenza / E l'ombra nella luce del tuo viaggio»

A distanza di dodici anni dall’ultimo volume di versi, Roberto Deidier torna alla poesia nella prestigiosa collana dello Specchio di Mondadori con una raccolta densa e calibrata che dà conto di una maturità espressiva pienamente raggiunta. Tra Il primo orizzonte, edito nel 2002 da San Marco dei Giustiniani, e il recente Solstizio, Deidier, che insegna all’Università di Palermo ed è critico letterario tra i più acuti, ha pubblicato diversi contributi critici, tra i quali vanno ricordati i libri Da un luogo anteriore – Poeti italiani del Novecento e oltre, Il lampo e la notte – Per una poetica del moderno, e la raccolta di traduzioni Gabbie per nuvole, che compone una mappa dei suoi interessi e degli amori poetici, primi fra tutti Auden e Stevenson, tale da offrire non poche sollecitazioni interpretative per l’analisi delle successive opere in versi.

La poesia di Solstizio si muove tra opposte polarità: la necessità della letteratura di offrire senso all’esistenza e il vuoto in cui la coscienza dei nostri tempi ha precipitato ogni agire umano; la luce in cui vorremmo vedere splendere le nostre parole e i nostri atti, e il buio da cui pure quotidianamente siamo aggrediti; la ricerca di una verità che da qualche parte deve manifestarsi e la consapevolezza della multiformità del reale e dunque dell’impossibilità di raggiungere un qualsivoglia punto fermo. Del resto, il solstizio a cui fa riferimento il titolo è quel preciso momento dell’anno, in cui il sole, nel suo moto apparente, raggiunge il punto di declinazione massima o minima e dunque le ore di luce sopravanzano quelle di buio, o viceversa. I versi di Deidier si muovono alla ricerca di un equilibrio e una ricomposizione che appaiono però irraggiungibili, alle quali il poeta sembra in ogni caso voler credere. «Ma questo è il punto. Se incroci la verità / Lungo la strada, allora fatti da parte. / Voltati altrove e prosegui / Come un bambino ostinato / O l’uccello che a sera inoltrata / Non sa tacere». Nel suo procedere composto e controllato, con i versi sempre introdotti dalla maiuscola, a volerne sottolineare l’autonomia sonora e metrica, Deidier ci fa spesso credere che una verità in fondo esiste, ma ipotizzare di raggiungerla e fermarla è un pensiero ingannevole e fuorviante, che rischia di risultare paralizzante. Il poeta deve continuare a dire le proprie parole, al di là di facili e accattivanti vie d’uscita, ostinatamente credere che questo possa servire, appunto come l’uccello che, malgrado sia buio, non vuole smettere di cantare.

Roberto Deidier  solstizioLa luce è una presenza costante nei versi di Solstizio. Illumina i luoghi, in prevalenza cittadini o marini, ed è quasi sempre abbagliante, è la «luce chirurgica di agosto» che mette a nudo i particolari e provoca «rapide anestesie di sentimenti». È una luce che, come avviene nella poesia del solare Penna, a cui Deidier guarda spesso con un misto di devozione e tormento, racchiude un fondo di sofferenza, contiene la presenza inequivocabile dell’ombra, la triste rivelazione della frattura irrimediabile tra il desiderio e la sua realizzazione («Fuggirei da te come da troppa luce / A confondermi in un basso cielo grigio / Come una nuvola in un giorno d’autunno/ (…) Incalza il caldo, ci piega un sole afoso, / Sollevano i bambini lungo la strada / La poca polvere che a stento ci nasconde»). La luce si proietta sul passato, lo illumina rendendone però incerti i contorni, fa riemergere frammenti che si confondono con il presente, per cui “ieri e oggi” sono «diritto e rovescio / d’un solo foglio». Così «Quando le tracce perdute / Riaffiorano e una voce conosciuta / Da qualche luogo interno ti richiama», allora è facile comprendere «Quanto l’arrivo sia nella partenza / E l’ombra nella luce del tuo viaggio».

La realtà è mutevole; il tempo, nelle poesie di Deidier, non scorre linearmente ma rimbalza, procede a scatti o ondeggia pericolosamente, lasciandoci in preda a un presente senza confini, che racchiude nello stesso istante lacerti del passato e spaesamenti provocati dall’idea di un futuro che forse sta già accadendo. Ne è emblema il breve poemetto Giornale atlantico, nel quale cinque figure, cinque giacche a vento che disegnano «una scala cromatica nel vuoto» si trovano a procedere «Sul fondale a orario / Di questo deserto provvisorio», che è poi l’ampio tratto un po’ mare e un po’ terra che contorna Mont Saint-Michel. Saranno presto incalzate dalla marea che avanza, così come dal «destino che forse risponde / Oltre le sabbie mobili e i riflussi». Il mare che si sveglia «li accerchierà / Dalle sue tane indistinte» e loro sono «zattere di carne» che si affrettano: «L’isola è lì davanti, buco nero / Di questa informe galassia». Quando finalmente possono considerarsi in salvo e accendere un fuoco a mezzacosta, e «L’isola è un’isola, /La sabbia è solo una distesa / Fin sotto gli spalti del monte St. Michel», i cinque personaggi guardano con sicurezza alla brace, al «suo piccolo esatto bagliore». La poesia forse è proprio questo: residuo di un passato già svanito, una brace che si presenta come un «esatto bagliore», l’illusione di una certezza in un mondo che non dà tregua e che nemmeno è ricostruibile secondo un’esatta mappa temporale.

La poesia di Deidier è fisica, rappresenta con un dettato sicuro sensazioni e paesaggi. Sembra non utilizzare immagini simboliche, ma rimanda ad altro, alla comune esperienza più profonda, alla nostra fragilità di esseri umani. Il paesaggio che racconta è spesso cittadino, come nelle Dieci poesie vissute a Palermo: «Le botteghe del mercato sono grotte, / L’aria si fa più spessa tra le dita. / Il genio della piazza è quest’odore / Di spezie, frutta, carne rinfrollita: / Sotto i raggi incalza un nuovo sopore / Ma vociano tra i banchi, assale vita / Da questa piena che il mio sguardo inghiotte».

La foto di Roberto Deidier è di Dino Ignani

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