Filippo La Porta
Lo scrittore ai tempi di "Drive In"

Il comico triste

Con il suo volto scuro e la sua galleria di depressi Giorgio Faletti negli anni Ottanta ha suonato il controcanto eversivo al divertimentificio in stile "Milano da bere"

Non intendo parlare dei romanzi noir di Giorgio Faletti, che non sono né meglio né peggio del grosso della narrativa di genere nel nostro paese (la quale dovrebbe propriamente rientrare nella sezione “fiction”, diversa dalla sezione “literature”, come hanno capito benissimo negli Usa: vedi le librerie americane). Vorrei solo dire la mia personalissima percezione del comico, che negli anni ’80 fu l’epitome del decennio, dell’edonismo reaganiano e della Milano da bere, e che però ne costituiva segretamente una involontaria contestazione, un malinconico controcanto. Perché? Perché Faletti era irrimediabilmente triste.

faletti drive inProvate a vedere su YouTube uno sketch di Vito Catozzo, la guardia giurata di origine pugliese un po’ sovrappeso, con quel dialetto bastardo, straziato e quasi afasico. A me proprio non faceva ridere, ma il punto non è questo. Faletti mi trasmette una tristezza immedicabile, sia in Catozzo e sia nei suoi molteplici personaggi di Drive In (il Testimone di Bagnacavallo, Suor Daliso, Carlino, Poldo…), o nel carabiniere della canzone Signor tenente (Sanremo, 1994), e infine nel suo sorriso, nei lutti irreparabili e – a quanto apprendo – mai davvero superati della propria esistenza. Una tristezza che forse aveva invano cercato di esorcizzare nei molti mestieri: cabarettista, sceneggiatore, attore, compositore, scrittore, pittore, pilota automobilistico.

Ora, prendiamo la trasmissione Drive In ideata dal situazionista Antonio Ricci, emblema della Tv commerciale e berlusconiana, però assai trasgressiva e amata dalla sinistra culturale, dagli Eco e dai Placido, dai Freccero e Guglielmi (che se ne fece ispirare per la direzione di Raitre). Si dice che la rivoluzione di Drive In non era nei contenuti e nelle parole – anzi credo che abbia fatto regredire di mezzo secolo il costume nel nostro paese – ma nel linguaggio, nel ritmo (montaggio incalzante, gag fulminee intervallate da spot che sembrano gag, uno spirito un po’ surreale da “Helzapoppin”, etc. ). Ora, siamo veramente sicuri che Drive In è stata una straordinaria rivoluzione formale? Va bene, tra le fila dei collaboratori dobbiamo annoverare autori di satira come Gino & Michele, Gialappa’s, Ellekappa, etc. Però avrei qualche dubbio a considerarla emancipativa per il solo fatto che ci avrebbe fatto uscire dalle sacrestie e dunque avrebbe modernizzato il paese. Al di là di battute goliardiche e lazzi volgarotti (in sé innocenti ma che comunque ci abituano a un “tono” della volgarità nella vita quotidiana) Drive In era caratterizzata da una euforia invasiva, coatta, febbrile, piena di strepito e di pseudoliberatoria stupidità (“strepitoso” è aggettivo-chiave del decennio). Rapidità e Leggerezza (vedi le Lezioni americane di Calvino). Dunque ha saputo cavalcare i tempi, ed essere “moderna”, però non c’è un solo modo di essere moderni, spero! La Leggerezza programmatica, molto “giovanile”, tende a tradursi in (greve) obbligo della joie de vivre. La vera colpa degli anni ’80 non consiste tanto nella spinta agli iperconsumi ma in una sistematica, accurata rimozione della depressione (che non è una “fregatura” ma appartiene alla normale esperienza umana).

Eppure Faletti, il cabarettista che (almeno a me) non faceva ridere, con il suo timido, signorile understatement e la sua irredimibile tristezza (recitata, vissuta) ci ricorda involontariamente il rimosso, il dark side di quel ritmo convulso.

 

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