Anna Camaiti Hostert
Cartolina dall'America

Cercasi nuova pace

Negli Usa, al di là della freddezza di Obama, la guerra di Gaza è vista come il segno finale di una grave crisi di leadership sia israeliana sia palestinese. E a pagare sono sempre gli innocenti

E così anche la tregua è finita nel sangue. Queste le notizie delle ultime ore. Ancora una strage di bambini e accuse reciproche. Negli ultimi mesi l’attualità è ferma costantemente sulle vicende del Medioriente. I morti aumentano e l’escalation della guerra tra Israele e la Palestina sembra crescere di giorno in giorno. In mezzo i civili, (soprattutto bambini; neanche le scuole dell’ONU adesso sembrano essere più sicure) che pagano il prezzo più alto, specie quelli palestinesi i cui morti sono arrivati a più di 1000. La guerra terrorizza gente innocente da ambedue le parti fomentando nuove ondate di odio, creando appetiti sempre più forti di vendetta e assicurando che il ciclo della violenza continuerà a ripetersi se non nell’immediato, sicuramente nei giorni a venire. È necessaria una strategia che offra la speranza di un futuro più stabile per ambedue: israeliani e palestinesi.

gaza3Questo almeno è quello che suggerisce l’amministrazione Obama che per bocca del segretario di Stato John Kerry ha proposto un immediato cessate il fuoco per arrivare a un accordo duraturo che possa garantire una strategia di pace di più lungo respiro. Da un lato, infatti, Israele vuole Hamas smilitarizzata, mentre il principale obiettivo di quest’ultima sembra essere quello di far cessare il blocco economico nei confronti di Gaza. Kerry che non tratta direttamente con le organizzazioni palestinesi, ma solo con il ministro degli esteri turco o con quello del Qatar che fanno da tramite, coglie certe necessità dei palestinesi. «I palestinesi hanno il diritto di vivere con dignità, libertà e con la possibilità che i beni possano entrare ed uscire dai loro territori. È un loro diritto avere una vita libera dalle costrizioni correnti che purtroppo ogni giorno devono affrontare e ovviamente devono essere liberi dalla violenza» ha affermato il segretario di Stato Usa facendo un riferimento abbastanza indiretto e inconsueto alla stretta economica che Israele mantiene nei confronti della striscia di Gaza saldamente nelle mani di Hamas. E a Israele questo appunto così preciso e puntuale da parte degli Stati Uniti, l’alleato più vicino e più fedele, non è piaciuto affatto. Anzi è quasi apparso un’accusa.

D’altra parte, Kerry non ha sottovalutato le esigenze israeliane: soprattutto l’eliminazione di quei tunnel che sembrano essere fin dal primo secolo avanti Cristo una soluzione per riuscire ad attaccare nemici restando ben protetti e con difese inespugnabili. Da Gaza infatti partono dozzine di tunnel, i cosiddetti “tunnel del terrore” , che arrivano in Israele e che oltre al danno militare costituiscono anche elementi di grande insicurezza tra le truppe israeliane. L’elemento sorpresa e quello del nascondimento creano un’insicurezza psicologica che da più di 2000 anni può anche determinare capovolgimenti nelle sorti di una guerra.

gaza1«Oggi – ha dichiarato al Washington Post Yahya al Sinwar, membro del bureau politico palestinese – siamo noi quelli che invadiamo Israele. Per una volta non sono loro a invaderci». Ed è proprio questo che fa dire a Kerry di contro «allo stesso tempo Israele deve vivere libero dal lancio dei missili e dai tunnel che li minacciano. Ogni conversazione di pace riguarda la discussione di interessi in competizione che sono reali per ambedue». Così l’incontro di domenica scorsa tra il segretario di Stato americano e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stato piuttosto teso in quanto, come scrive il New York Times, la richiesta da parte americana di «un immediato, incondizionato e umanitario cessate il fuoco» è stata accolta piuttosto freddamente, soprattutto dalle alte sfere dei militari israeliani che non condividevano quest’ affermazione. «Il fatto è che gli Stati Uniti e Israele non sembrano essere sulla stessa lunghezza d’onda» afferma il quotidiano americano. Il 21 luglio infatti Obama riteneva che ci fossero gli estremi per una sospensione dei combattimenti dovuta a quello che era stato il forte  danneggiamento «dell’infrastruttura terroristica di Gaza». Così, invitava il segretario di Stato Kerry a recarsi nella regione per tentare una mediazione. Dopo cinque giorni avanti e indietro tra Egitto e Israele, Kerry finalmente ha elaborato «una bozza di programma per il cessate il fuoco a Gaza».

In questa bozza, ottenuta in primis dal New York Times,si legge infatti che ambedue le parti si impegnano ad «astenersi dal condurre ogni tipo di operazione militare o di sicurezza contro target di ognuno dei contendenti». Anche se le operazioni di smantellamento dei tunnel da parte di Israele non sono comprese nella tregua umanitaria. Il che ha creato rabbia tra i palestinesi. Questa bozza ha irritato profondamente però anche il mondo politico israeliano sia a destra sia a sinistra perché viene accusata di mettere sullo stesso piano Israele e Hamas.

gaza4E mentre i civili continuano a morire, il balletto intorno alle prese di posizioni continua. Sul Washington Post di alcuni giorni fa si leggono le dichiarazioni di coloro che hanno perso tutto o che lottano contro la disperazione. «Ieri qui c’era un palazzo di quattro piani con 30 famiglie. Non c’è rimasto niente» afferma Said Helou, un fornaio di Gaza di 32 anni che assieme i suoi tre fratelli si trova di fronte ad un enorme cratere provocato da una bomba israeliana. «Abbiamo bisogno di equipaggiamenti pesanti, di scavatrici per estrarre i cadaveri dalle macerie. Non possiamo scavare con le mani» dice Yussif Abid al-Hamid, un medico anch’egli di Gaza dopo che per 12 ore ha incessantemente lavorato per salvare persone e per tirare fuori corpi senza vita da sotto le macerie.

Non diverso è lo stato d’animo in Israele, anche se molto minore è il numero delle vittime dei missili palestinesi. Anche qui le persone si sentono sollevate dalla tregua umanitaria. «Finalmente si possono di nuovo sentire gli uccelli cantare» ha detto Adele Raemer che vive nel kibbutz Nirim vicino al confine con Gaza. Insomma, emerge la necessità da ambedue le parti di nuovi leader e di un diverso modo di pensare.

gaza5Sul Chicago Tribune il sindaco della città, Rahm Emanuel, originario di Israele, dice che paradossalmente è proprio in tempi come questi, quando ormai non sembra ci sia più niente da fare, che si scoprono nuove risorse e nuove leadership. Nell’editoriale del giornale della Windy City si commenta un articolo di un importante giornalista israeliano, Ari Shavit, apparso sul giornale New Republic e poi sul giornale israeliano Haaretz nel quale si afferma che ormai «il vecchio paradigma di pace è morto». Una «nuova pace» deve prendere il suo posto e deve cambiare la realtà sul territorio, non attraverso piani a lungo termine. Questa dovrebbe basarsi su «un congelamento degli insediamenti dei coloni nella zona occupata della West Bank, accompagnato più tardi da un ritiro da parte israeliana. I palestinesi coadiuvati anche da esperti esterni dovrebbero essere in grado pertanto di sviluppare la loro nuova terra». Tutto ciò, con l’aiuto degli stati arabi moderati, dell’Europa e degli Stati Uniti «potrebbe creare le condizioni che permetteranno la cessazione dell’occupazione in concreto e l’emergere di due stati» conclude Shavit. Uno scenario, continua il Chicago Tribune, «molto lontano dai desiderata del governo israeliano al momento e molto vago a causa della debolezza che esiste all’interno della leadership palestinese – sia in al Fatah sia in Hamas – che viene accusata non solo di essere divisa, ma anche di strumentalizzare le proprie posizioni di fragilità dovute al gran numero di civili che stanno perdendo la vita. Quasi queste perdite facessero il loro gioco. Tutto ciò rende ambedue i partner eccezionalmente inconsistenti in un processo di pace a venire».

Ma forse l’unica cosa buona che viene da tutto ciò è che quest’ultima forte ondata di violenza rinnova l’urgenza – conclude il giornale – «di una nuova leadership, di nuove idee e di una prospettiva fresca anche su vecchie idee. Un senso che deve però riguardare due realtà. Dati i cambiamenti nella popolazione, la crescita degli insediamenti israeliani e i pubblici appetiti, la finestra sulla possibilità di realizzare la soluzione di due stati sembra che al momento si stia per esaurire. Allo stesso tempo i missili sparati da Gaza raggiungono ancora più profondamente Israele dove c’è un senso crescente di consapevolezza che l’esercito israeliano non può mantenere la pace per sempre e nemmeno una facciata di pace. È il tempo per nuove idee, per una nuova leadership in una parte del mondo in un disperato bisogno di ambedue».

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