Chiara Tozzi
Ancora a proposito di femminicidi

La stampa morbosa

Sempre più spesso i fatti di cronaca suscitano curiosità patologiche e commenti eccessivamente fantasiosi. È difficile distinguere la realtà della fantasia. Proprio come capita a chi commette quei crimini

Di solito apprezzo le analisi e soprattutto l’ironia di Michele Serra. In un suo pezzo su Repubblica di ieri, dedicato alla strage di Motta Visconti, però, l’ironia non era possibile se non a costo di un approccio cinico… E dunque, per fortuna, l’ironia non è stata usata. Ma l’analisi, annaspa. Per quanto atroce e inimmaginabile per crudeltà risulti questa strage familiare, la valutazione clinica di chi l’ha commessa, per chi opera nel campo della salute mentale, non è così difficile. Difficile pare essere invece, per i giornalisti e i commentatori di questa tragedia, riuscire a distinguere l’elemento patologico da quello sociologico.

Ancor prima che l’omicida confessasse, si potevano già leggere titoli in cui si esternava sul proliferare della violenza in certe zone del nord, etc. Una volta arrivata la confessione e arrestato il colpevole, iniziano a proliferare le analisi sociologiche sulla famiglia. Non sono qui a difendere o accusare valori o disvalori di quel tipo di  famiglia che Michele Serra definisce «tradizionale»: perché comunque, in questa sede, sarebbe del tutto strumentale.

Ciò che è accaduto a Motta Visconti non è analizzabile come esito di un contesto familiare… così come (se leggiamo le dichiarazioni dell’omicida) per evitare lo sterminio di tre persone non sarebbe stata sufficiente la soluzione di eventuali conflitti attraverso il divorzio, con relativo passaggio a un modello di famiglia «meno tradizionale». È assai probabile che nell’anamnesi dell’omicida possano essere riscontrate problematiche gravi nella creazione di un legame e di una relazione, così come nella capacità di vivere una sana affettività, così come, ancora, nella capacità di distinguere la realtà dalla fantasia. Ma questo tipo di problematiche psichiche non si originano necessariamente o solo «nelle famiglie tradizionali».

La notizia di questo tragico crimine e i dettagli corredati da foto che sono stati ampiamente diffusi (a mio parere eccessivi rispetto al diritto di informare dei fatti, che i media hanno), sembrano deviare la riflessione verso una morbosa e dannosa curiosità; oppure, dare adito a speculazioni filosofiche, sociologiche e – avremmo potuto aspettarcelo senza dubbio se l’omicida fosse stato extracomunitario – politiche. Uno dei problemi maggiori che stiamo vivendo, nella comunicazione, è quello di arginare e regolare un proliferare non ragionato e spesso non ragionevole di commenti; così come di vagliare gli ambiti e il modo con cui offrire a lettori e pubblico le notizie. In psicologia clinica, queste funzioni prenderebbero il nome di contenimento e capacità di discernere la realtà della fantasia. La mancanza di contenimento e l’incapacità di discernere la realtà dalla fantasia paiono evidenti nel comportamento dell’omicida di Motta Visconti.

Ma anche chi ha la responsabilità e il privilegio di occuparsi di comunicazione, potrebbe iniziare a farsi maggiormente carico della possibilità di un contenimento; così come, della doverosa distinzione fra fantasia e realtà.

L’autrice è psicologa, analista e scrittrice

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