Francesco Corigliano
Un libro pubblicato da Feltrinelli

Storie di fantasmi

Letteratura, cinema, teatro; ma anche storia: gli spettri hanno un ruolo primario nell'immaginario occidentale. Come dimostra un interessante saggio di Massimo Scotti

Il fantasma è una di quelle figure con cui, tra narrativa, cinema e teatro, tutti hanno una certa familiarità. Senza contare le storie che ognuno, almeno una volta nella vita, ha avuto modo di ascoltare. Ma se questo tipo di confidenza andasse oltre il bagaglio culturale, se fosse indizio di qualcosa di più, di un modello mentale insito in ogni società? Nel suo Storia degli spettri (edito da Feltrinelli nel 2013) Massimo Scotti analizza proprio il concetto di spettro nella cultura, spaziando tra l’ambito letterario e quello storico-sociale, e presentando una breve descrizione delle origini del fenomeno-fantasmi e della sua evoluzione, giungendo ai giorni nostri e alle implicazioni sociologiche di “ciò che è passato” – in ogni senso. Dal mondo classico a quello medievale, dal Rinascimento all’epoca vittoriana, il fantasma ha cambiato nomi, forme e habitat, ma ha sempre mantenuto la sua presenza.

A riprova della grande portata del fantasmagorico, Scotti si concentra ampiamente sul fenomeno dello spiritismo e sulla sua grande diffusione. Il punto risulta particolarmente caro all’autore, il quale dedica una grande (forse eccessiva) attenzione a quello che è stato un vero e proprio movimento culturale, procedendo in una disamina delle sue origini nel 1848 e della sua evoluzione. L’occasione permette di dare uno sguardo all’altra faccia dell’epoca del pragmatismo e delle rivoluzioni industriali, in cui non era inusuale mescolare le nuove nozioni sull’elettromagnetismo alle strane esperienze del mesmerismo e delle sedute medianiche.

Storia degli spettri di Massimo ScottiLo spiritismo ha rappresentato, in tempi non sospetti, un caso di migrazione di mode culturali dall’America all’Europa – una tendenza che ad oggi conosciamo sin troppo bene e che, nello stesso ambito parascientifico, ha mantenuto degli esempi negli anni Settanta (di cui parla lo stesso studioso) e che ancora oggi si manifesta nella diffusione delle varie teorie del complotto, delle correnti simil-scientifiche e dei movimenti new age. Se allora si parlava d’ectoplasmi e si andava a vedere in teatro cosa avrebbe combinato la medium di turno (non mancano peraltro esempi italiani, come la famosissima Eusapia Palladino), oggi si bada a cercare le scie chimiche nel cielo e si va ad ascoltare il convegno sul potere curativo dei cristalli e sui metodi per cibarsi di luce. Questo tipo di manifestazioni possono dir molto su una società, sulle sue dinamiche e sul suo funzionamento. E ancor di più può dire la concezione dello spettro, che ha origini ben più antiche dello spiritismo.

A proposito del passato, è particolarmente interessante l’uso che Scotti fa del concetto di infestazione, applicandolo all’ambito storico e arrivando a sostenere che la nostra epoca sia haunted, infestata appunto, dagli spiriti dei secoli scorsi. Sotto la presenza (se non inquietante, quantomeno preoccupante) di un Marx citato decine di volte – lo stesso Marx che insieme a Engels apriva il Manifesto parlando di spettri – Scotti sostiene che il nostro presente occidentale sia «un tempo infestato dalla storia, tanto più nel momento in cui qualche ingenuo ne teorizzava la fine»; la nostra è «un’epoca afflitta, ossessionata, paralizzata dal passato». Beh, la storia non è certamente finita, e i recentissimi eventi sembrano urlarcelo (forse anche con violenza); ma di certo sembra sempre un po’ distante, evanescente, spettrale, tanto da renderci difficile il percepirla, appunto.

Il merito particolare di Scotti è proprio questo: di riuscire a far risaltare la potenza significativa del concetto di fantasma, che assurge a modello mentale, interpretativo, applicabile a svariati campi d’indagine. Il fantasma è la perdita, la distanza, una conoscenza macchiata di unheimlich che risulta presaga, oscura, ostile. Se in letteratura lo spettro ricorre così spesso, probabilmente è perché essa – con quell’anticipo intuitivo sulle conquiste analitiche successive, dalla psicanalisi alla neuroscienza, di cui è sempre stata capace – ha saputo coglierne la potenzialità, e la capacità esemplificativa nell’indicare un aspetto del deperimento culturale che, probabilmente, è intrinseco alla storia. Un deperimento che è complementare al rinnovamento, all’avvicendamento, perciò naturale e probabilmente positivo; ma pur sempre un deperimento, che finisce col colorarsi di quella malinconia gattopardesca che accetta il “tutto cambi perché tutto resti uguale”, ma che non è ignara della tragedia di ciò che scompare.

Il fantasma è forse proprio questo: ciò che affonda, andando a costituire le fondamenta su cui costruiremo, e che prima di sparire sottoterra ci lancia uno sguardo d’ammonimento, di speranza, forse di fiducia. È ciò che si perde, in letteratura, nella cultura, nella società, e che spera d’esser in qualche modo di ricordato. La nostra storia è infestata perché ha dimenticato, certo, ma forse anche perché, con insistenza, si sforza di dimenticare.

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