Pier Mario Fasanotti
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Il signor Charles

Portavoce della quieta e un po’ sfibrata epoca vittoriana: è così che Stefan Zweig descrive in un sagace saggetto l'osannato Dickens. Il nuovo romanzo di Elisabetta Rasy, dalla struttura per niente scontata, è un andirivieni nel tempo di Ettore e Olga, il loro amore che si trasforma, un passato da sciogliere. E poi i “Segnali di fumo” di Andrea Camilleri

Identikit – Ma quanto sono belli e agevoli i librettini della collana “Lampi” dell’editore Elliot. È appena uscito un sagace saggio di Stefan Zweig (austriaco ma naturalizzato britannico) su Dickens (54 pagine, 8 euro). Zweig comincia con l’informarci che il prolifico narratore inglese, bandiera emotiva della media e pacata borghesia, era molto amato, anzi osannato, dal pubblico. Certi suoi romanzi uscivano a puntate sui periodici e la gente, nel giorno canonico, faceva ressa alle edicole. Bei tempi rispetto a quelli di oggi, marchiati dai serial televisivi. Dickens si firmava spesso col soprannome di Boz, il poeta del Circolo Pickwick. L’opera appena citata uscì col primo fascicolo in 400 copie, il quindicesimo raggiunse le 40 mila. Annota Zwig: «Il suo successo crebbe con la potenza di una valanga. In un batter d’occhio bussò alle porte della Germania». E nel mentre le avventure e disavventure dei vari Oliver Twist e Nicholas Nickleby diventarono assai note in America, in Australia e in Canada. Il Dickens nato povero si arricchì e riscattò i primi umilianti anni della sua miseria. L’autore fu uno dei pochissimi del suo tempo «il cui messaggio più autentico coincide perfettamente con la domanda intellettuale in cui è calato… il suo lavoro divenne a tutti gli effetti l’emblema della tradizione inglese: incarnò lo humour, il punto di vista, la morale, lo spirito culturale e artistico, la peculiare concezione dell’esistenza dei 60 milioni di abitanti oltre la Manica».

ZweijZweig osserva che «l’inglese è più inglese di quanto il tedesco sia tedesco». La tradizione è una cosa potente in Gran Bretagna, capace di permeare tutto. Tuttavia, per Zweig, se applicata all’arte «si rivela essere la più pericolosa, perché falsa: non si tratta di freddezza, o di carattere poco ospitale o scomodo, tutt’altro; essa accoglie con il tepore di un buon gabinetto e con tutti gli agi del caso, ma limita la creatività attraverso la morale, recinta e imbriglia la libertà artistica. Si tratta di una dimora modesta, che tiene al riparo dalle impreviste tempeste della vita, gioiosa, generosa, confortevole, una vera casa in cui poter godere del tepore della vita borghese, ma è una prigione per colui che appartiene al mondo intero, che è felice e soddisfatto solo quando è libero di vagare da un paese all’altro, di vagabondare in uno spazio senza confini». Se Shakespeare fu l’espressione dell’epoca elisabettiana, falò di passioni, Dickens fu il portavoce della quieta e un po’ sfibrata quiete dell’epoca vittoriana. Molto appagata, quasi rassegnata, che «priva di appetiti, voleva solo digerire». E così Dickens si trova a suo agio in uno dei paesi meno poetici del mondo, l’Inghilterra dell’uomo medio, appunto.

 

RasyDonne – Con la sua consueta eleganza di stile, che stavolta abbraccia anche l’intera e per nulla scontata struttura del romanzo – un andirivieni nel tempo – Elisabetta Rasy, con Non esistono cose lontane (Mondadori, 256 pagine, 19 euro), affronta il tema dell’amore che cova sotto le ceneri per poi, come il bruco che si fa farfalla, sbocciare in un fiore diverso, intriso di profonda amicizia e di sottili intese. Il meccanismo che fa scattare il copione letterario è la lettera che Olga, la protagonista, riceve da Ettore. Lui le scrive: «Vieni, ho bisogno del tuo aiuto». Ettore abitava nello stesso caseggiato di Olga, a Roma (in via Nazionale). Si amarono, venticinque anni prima, con passione devastante e totalizzante. Poi, senza alcuna (apparente) motivazione, Olga venne abbandonata. Nella lettera c’è l’invito a “venire”. Dove? Nella Casa del Girasole. Siamo in agosto, tra le colline senesi. Il caldo è torrido. Assieme a Olga ci sono altre persone, quasi fosse stato organizzato un raduno per risolvere un mistero poliziesco, alla Maigret o alla Agatha Christie. Si reincontrano coniugi dalla vita sgangherata, continuamente sull’orlo della rottura o del precipizio su un terrificante nulla. È una messa a nudo di uomini, donne e situazioni, una girandola che ha in sé un’inconsueta ferocia sentimentale dalla quale si tengono però lontane la bambina Betty e una domestica ecuadoriana. Elisabetta Rasy, con lo strumento dei flash-back, dipana a poco a poco il “garbuglio”, che ha radici nel passato. Un passato che ha reso Ettore un vagabondo infelicemente umorale, più quieto solo con la compagnia della musica. A Olga rivolge l’invito di consigliargli quale destino dare alla Casa del Girasole, ma soprattutto desidera da lei un grimaldello capace di scardinare il portone duro della sua cupezza e inquietudine. La casa simboleggia un passato nato e vissuto come emotivamente ingombrante, ma dietro di essa ci sono nodi familiari da sciogliere. Impresa difficile perché le corde si sono indurite. Olga ricorre anche all’utensile dell’ironia e cita una frase del romanzo che sta leggendo, La duchessa di Langeais di Balzac: «Lui ama lei quando lei non lo ama, poi lui smette di amarla e lei lo vuole, poi lei non lo ama più di nuovo e va in un lontano convento e lui la rivuole». L’autrice acutamente avverte il lettore che nella vita la linearità non esiste: né nei falò sentimentali né nello scorrere del tempo.

 

CamilleriRiflessioni – Si sente da qualche parte che Andrea Camilleri «scrive troppo». E allora? Questo è un dono per i lettori, non una punizione. Ci sono, ovviamente degli alti e dei bassi nella sua infaticabile produzione di parole, ma il notarlo con la smorfia del disprezzo (o dell’invidia) porterebbe a mandare al rogo libri di altri narratori prolifici, da Balzac a Simenon (che rimane un esempio per lo scrittore di Porto Empedocle). La Utet, che raramente si occupa di letteratura, ci ha fatto una bella sorpresa pubblicando una raccolta di testi, brevi osservazioni, a volte divertenti, il più delle volte pungenti e genuinamente caustici, che Camilleri ha messo su carta (Segnali di fumo, 146 pagine, 14 euro). Per tre quarti queste riflessioni sono nuove, per il restante sono state tratte dalla rubrica tenuta dal “padre” del commissario Montalbano (che quest’anno compie vent’anni: auguri!) sull’inserto domenicale de Il Sole 24 Ore. A pagina 132 Camilleri racconta di quando passeggiava per Torino assieme a Laura Betti. E notarono, con stupore divertito, uno striscione posto sopra una porta: “Non abusate dei luoghi comuni”. I due si informarono e vennnero a sapere che la ragione di quell’avvertimento era dovuta al fatto che alcuni inquilini ostacolavano il passaggio lasciando in malo modo biciclette, motorini e carrozzine. Insomma, una versione (involontariamente) diversa del concetto “luoghi comuni”. In una pagina iniziale, Camilleri dà una sferzata a Erasmo di Rotterdam quando diceva che «il domani trae la sua lezione dall’oggi». Perplessità dello scrittore siciliano: «Se questo fosse vero, moriremmo tutti annegati in un mare di saggezza». In questa obiezione, ci pare di capire, c’è un grano della cosiddetta sicilianità, fatta di scetticismo, amarezza e umorismo.

 

 

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