Andrea Carraro
Il quinto capitolo di “Sacrificio“

Il segreto di Giorgio

Un giorno a Mala Strana, padre e figlioletta, soli... continua la pubblicazione del racconto inedito di Andrea Carraro. Una storia di dolore e di espiazione

Il mattino dopo Giorgio si sente meravigliosamente rilassato e in forze. In dieci minuti è già pronto per uscire, ma prima entra nella stanza della figlia che dorme completamente vestita con ancora indosso gli stivali. Le imposte spalancate inondano la camera di luce. Il padre prende il plaid ripiegato sulla poltrona, lo stende con cura sulla  figlia, accosta le imposte. Nella penombra della stanza, guarda un’ultima volta Dora che dorme della grossa e ha l’espressine innocente di una bambina, la bambina che è stata e che Giorgio ricorda pure troppo bene e la cui immagine smagliante giganteggia in una fotografia attaccata al muro. Gli balena la scena della figlioletta che gli scappa di mano sul marciapiede e per un pelo non finisce sotto una macchina che sta entrando in un garage condominiale. Per una specie di miracolo l’automobilista era riuscito a frenare un istante prima di investirla. Cristo, come si era sentito Giorgio, una sensazione di freddo terrore gli aveva percorso la schiena. E quell’altra volta che la piccola aveva battuto la testa sullo zoccolo del marciapiede e perdeva sangue a fiotti e la portarono al volo al Pronto Soccorso dell’ospedale! L’eventualità dell’incidente, sempre possibile e sempre in agguato a quell’età, li atterriva, a lui e a Giulia! La amavano, quella bimba, altroché se l’amavano! Ricorda che erano a Praga  per un congresso di Giulia, che presentava a suo nome un lavoro su una grave patologia neurologica. Il primo giorno per Giorgio fu orribile. Pioveva fortissimo. Era debole e si sentiva nervoso in un modo intollerabile. L’albergo dove erano sistemati era squallido: un fabbricato basso, rosato, sperduto in una tetra periferia impiegatizia che ricordava certi scorci varsaviani di Kieślowski. Aveva voglia di bersi qualcosa e fumarsi un mezzo toscano, Giorgio, ma non aveva trovato un momento per farlo. L’acqua ruscellava sui marciapiedi resi sdrucciolevoli dal tappeto di foglie fradice. Giunsero al mastodontico palazzone del centro congressi zuppi da strizzare. Dora piangeva e urlava. Lo irritava tutto a lui: le urla della bimba, che allora aveva 6 anni, la pioggia dirotta, quella città grigia e piovosa, l’albergo mediocre, sua moglie che lo aveva costretto a prendere la metro anziché il taxi e dunque a un lungo pezzo di strada a piedi sotto l’acquazzone. Per fortuna l’indomani il suo umore schiarì assieme al tempo. Pioveva sempre, ma meno forte. Quel giorno Giulia aveva la presentazione del suo poster al congresso, così Giorgio e Dora se ne andarono in giro per la città. Fu stancante ma piacevole. La portò a mangiare una pizza in una bettola fumosa di Mala Strana. Ci fosse stata la madre, avrebbe fatto di sicuro delle storie per tutto quel fumo denso che stagnava nella piccola sala dai soffitti bassi, spartanamente arredata con tavolacci di legno e panche tarlate. Padre e figlia invece stettero benissimo, e Dora mangiò – fatto raro – con gusto e appetito. Le fece anche assaggiare la birra e uscirono entrambi sazi e allegri. “Mi raccomando signorina! – le fece uscendo dal locale calzandogli il cappuccio del giaccone. – Per mamma noi abbiamo mangiato da Mc Donald’s! e tu hai bevuto coca-cola! Questo è un segreto fra noi due!”

“Ok, papino!”

La piccola lo adorava. La sera, dopo una breve passeggiata in centro e sul Ponte di Carlo, andavano a letto. Massimo alle dieci. Si sbracavano tutti e tre sul letto matrimoniale, a vedersi la televisione. Stavano bene, loro tre su quel lettone a guardare le stupidaggini della tivù lontani da casa in un paese straniero. Lui un po’ seguiva il programma, un po’ si sbaciucchiava Dora e si assopiva tenendola stretta, annusandole la chioma lunga e abbondante. Una di quelle sere la bimba, dopo una sua strillata nevrotica, gli fece: «Sai, papino, tu non te lo meriti un bambino!». Ci rimase malissimo, ci pianse.

E poi quell’altra volta a Bari, dov’era giurato di un premio letterario… Di quei giorni ricorda una rapida visita della città che gli apparve cariata, attraversata nei vicoli da motorette scarburate. Fu in quell’occasione che sua figlia gli disse con un piglio da adulto: “Non voglio camminare nei vicoli. Non mi piace andare nei vicoli…”

“Ma come? Il fascino di certe città sta tutto nei vicoli…”

La verità era che quei vicoli oscuri e sghembi le mettevano paura, forse perché la madre le aveva detto che Genova e Bari sono “due città portuali pericolose”. La costrinsero a inoltrarsi, con loro, nella città vecchia che trasudava povertà e millenaria storia dai muri. La normanna basilica di San Nicola gli apparve imponente e spettrale. Le visite alle chiese sfiancano i bambini e percorrendo le ampie navate teneva d’occhio la piccola, che cercava invano di interessare all’architettura e agli arredi della chiesa. Lei seguiva un suo trip sul film Matrix che avevano visto da poco. Mimava quei favolosi duelli aerei fra semidei dotati di superpoteri facendo tutte le voci e le facce del caso. Quindi era praticamente inutile mostrarle questo e quello, era in un altro mondo. A un certo punto tuttavia accennò al Santo Graal e la piccola si accese come una lampadina.

“Mi vuoi dire che qui, in questa chiesona di Bari, era custodito il Santo Graal?”

“Esatto. Leggende narrano che la basilica fu costruita per celare il Santo Graal… ma che ne sai tu del Santo Graal?

“Il santo Graal è il calice dal quale Gesù bevve nel giorno dell’Ultima Cena con gli apostoli…”

“Ah, lo sai…”

Lo guardava attentamente, quel particolare del santo Graal l’aveva catturata. Ora la aveva in pugno, non doveva mollare:

“Bari era il porto dal quale i crociati partivano per la terra santa, quindi era ritenuta una città sacra”.

“Ah.”

Così dicendo la piccola brandì in aria la sua bacchetta magica e si nascose furtiva dietro un pilastro. Tornarono all’albergo che annottava.

* * *

La segretaria sta consegnando alcune foto a Giorgio per una copertina, sporgendo da una pianta ornamentale e un pezzo del parato azzurrino, quando sulla porta appare Giulia, la sua ex moglie, una donna bruna non ancora di mezza età con un vistoso neo sulla guancia e occhi brillanti. La segretaria si dilegua richiudendosi la porta alle spalle. Giulia si siede davanti a Giorgio, al di là della scrivania. Nell’abbondante scollatura affiora il seno florido che Giorgio sente ancora inopinatamente come una cosa sua e non può sopportare di pensarlo oggetto delle attenzioni di qualcun altro.

“Dora è venuta a chiedermi dei soldi. Questa è l’ultima volta che glieli do”.

“…”

“Ma sì, che andasse a rubare, che finisse una buona volta in galera, così forse capisce…”

“Sei venuta qui per questo?”

“No… Cioè sì… Anche”.

“Siamo noi che l’abbiamo messa su questa strada, non te lo scordare!”.

“Oh… Basta! Sono stufa! Ci sono migliaia di coppie che si separano tutti i giorni e non per questo i loro figli diventano tossici…”

“Va bene, conosco il discorso…”

“…”

“Sei sempre stata brava a vivere in pace con te stessa, ad autoassolverti… Comunque tu fai quello che vuoi, a Dora ci penso io”.

“Cosa vuol dire?”

“…”.

“Non ti sei ancora rassegnato…”.

“Ti sembra che sia una cosa di cui rassegnarsi?”

“O Dio!”

“Ma perché sei qui?”

“Non lo so… Avevo qualcosa da dirti, ma adesso non so se mi va di parlarne… ”

“Avanti….”

“Manuel insiste per l’analisi… Hai provato a dirglielo?”

“Non vuole sentir parlare di psicoterapia e di analisi… Tanto meno con l’amante della madre!”

“Che c’entra… E’ un dottore…”

“Infatti non c’entra…”

Una lunga parentesi di silenzio che lui riempirebbe volentieri con un bacio o comunque con un gesto affettuoso, ma non può neanche pensarci.

“Cosa vuoi fare allora?” – dice la donna, accendendosi una sigaretta slim.

“Non lo so, magari me la porto in campagna o altrove… ”

Prima che la donna se ne vada, Giorgio la chiama:

“Giulia!”

Già nel vano della porta, si volta. La luce filtrata dalle tende le avvolge dolcemente lo sguardo:

“Che c’è?”

Ma Giorgio non riesce a chiederle nulla, fa soltanto un gesto vago di saluto con la mano che potrebbe essere una carezza.

5. Continua. Clicca qui per leggere la prima parte, la seconda parte, la terza parte, la quarta parte.

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