Pier Mario Fasanotti
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Geografia berlinese

La metropoli tedesca che rinasce raccontata da Mario Fortunato, il romanzo delle percezioni di Valeria De Luca e la diva del cabaret di Irène Némirovsky

Tante voci. Diceva già nel 1911 Karkl Scheffer, storico dell’arte, che «Berlino è una città condannata per sempre a diventare e mai a essere». Un agglomerato che si è stratificato su piani storici diversi, fortemente diversi, che tenta di conservare la memoria per il timore di perderla proprio perché è in continuo “progress”. Questa citazione è fatta propria dall’eccellente scrittore Mario Fortunato che, in Le voci di Berlino (Bompiani, 185 pagine, 17 euro), si cimenta con una storia corale della città di cui si è innamorato fin da giovanissimo. Città che, quando c’era il muro, aveva una parte (quella dell’est) “oscura”, proprio come quella del nostro “io” o, addirittura, dell’”io” del mondo.  Una sorta di “inconscio altrui”, scrive l’autore.

Le voci di Berlino di mario fortunatoA parte le vicende personali del narratore, attratto dalla Berlino che “fa sentire a casa propria” gli omosessuali” diventando-anche se sembra assurdo- “la matrice, o se si vuole lo sfondo, della sua metà occidentale”,  quella che è ed è stata, ma non sempre, la capitale della Germania, “al contrario di Londra, non pretende di raccontarsi, prima di tutto perché teme se stessa”. Solo collezionando storie multi-voci, si può captare il clima- dai tempi della Repubblica di Weimar a oggi- giovanile e libertario, di una metropoli che mai parla “con una voce sola”. Fortunato ci racconta il sodalizio tra due inglesi (homosex) come Christopher Isherwood e Wystan Auden, scrittore il primo, poeta il secondo, che in questa “bengodi” trovano amori, ispirazione, vocazione alla libertà di costume, creatività non solo letteraria, quindi un vitalismo che altrove forse sarebbe stato umiliato. Capitolo dopo capitolo scorrono le vicende di persone, di coppie e di gruppi, sempre su un palcoscenico storico differente. E’ dunque, questo, il romanzo di una città, un atto liberatorio letterario che è simile, sostiene Fortunato, all’affrancamento da “quella mortificante struttura psichica che corrisponde alla prima persona singolare”. Il risultato è affascinante.

respira valeria de lucaIl corpo e il sogno. Questa giovane autrice, Valeria De Luca, che finora si è legata a editori minori, meriterebbe un salto di qualità editoriale, nel senso di maggiore esposizione mediatica. Sia tuttavia ben chiaro che chi scrive questa segnalazione è un sincero ammiratore dell’editoria di piccole dimensioni, capace di rigenerazione e invenzione oltre gli schemi dell’avvilente apparato che ha come perno la spinta su raccomandazione (vizio duro a morire, veleno per le Lettere).  In ogni caso il valore intrinseco dell’autrice lo ha afferrato appieno lo scrittore e critico Filippo La Porta, che la presenta in questi giorni al Salone del Libro di Torino. E del suo nuovo romanzo – Respira, edito da Ianierieditore (Pescara), 187 pagine, 13 euro – ha scritto: «Al centro di tutto la ricerca ossessiva di un senso delle cose e di un pensiero emotivo che sappia afferrarlo. Una discesa agli inferi, eppure prevale la vita, la purezza dei bambini che salveranno il mondo, la primavera romana con le mura che «grondavano di glicini». L’autrice, abruzzese che vive e lavora a Roma dopo una duplice laurea (filosofia e giurisprudenza), riferendosi al suo romanzo afferma che si tratta di un “romanzo filosofico”. Il che potrebbe indurre a uno sbadiglio. Ma non è affatto così, anzi. Parte dal pensiero di Maurice Merleau-Ponty (oggetto della sua tesi), esponente della fenomenologia francese in risposta secca all’Illuminismo e teorico della percezione come dimensione pulsante, aperta al primordiale, innata e strutturale. Teoria che unisce il corpo-oggetto al corpo-soggetto e fa sì che ogni conoscenza sia conoscenza percettiva. Questa la premessa, appena accennata nel romanzo, come se il filosofo francese si tirasse indietro e manovrasse i fili di personaggi e situazioni. Con una straordinariamente limpida capacità di scrittura, la De Luca s’immerge in una sorta di giallo con venature psicologiche che procede dal reale ai labirinti onirici, dove le vibrazioni deliranti tuttavia si riconducono sempre a una vicenda vissuta. Respira è la storia di un giovane che con le proprie forze riesce a diventare brillantissimo docente universitario. Tiene e terrà sempre sotto il braccio l’opera fondamentale del filosofo d’oltralpe, Il visibile e l’invisibile. Un giorno incontra un regista inglese, affascinato dal suo vitalistico eloquio, il quale gli propone la svolta della vita: fare film e usare questo mezzo per diffondere le sue teorie. Immagini e trame al posto di pur elettrizzanti sermoni accademici. Il protagonista accetta di lasciare Roma per trasferirsi a Londra, comincia a succhiare tecnica ed esperienza in un corso preparatorio. Ma è in questo periodo che accade un deragliamento di vita. Avverte una scossa ad alto voltaggio grazie all’incontro con l’enigmatica Vèronique, selvaggia scalatrice sulla parete dell’esistenza. L’ex professore si avvita in una agitata “discesa” nel proprio corpo e butta alle spalle le costruzioni  astratte del pensiero: «È il corpo soltanto che può condurci alle cose». Un sentiero allucinato ai confini della pazzia, ma che non si allontana mai dal binario principale: la ricerca d’un senso. Diventerà regista famoso, ma la sua vita privata, in assenza di Vèronique (che muore), fatica a ritrovare il punto di equilibrio e di gioia. Finché un bambino, suo figlio, suggellerà il suo viaggio verso la verità, la speranza e una gioia profonda e vasta.

Irène Némirovsky idaLa diva. Se dovessimo usare una definizione trita e leziosa, potremmo dire di aver letto un piccolo gioiello letterario. Nello stesso tempo aggiungere un stupìta domanda: ma quante opere, tra romanzi e racconti di elevato valore, ha scritto Irène Némirovsky, fatta conoscere agli italiani dall’Adelphi con Suite francese? Tutto questo tenendo conto, ovviamente, che la scrittrice ucraina (Kiev, 1903) e naturalizzata francese, ebrea convertitasi al cristianesimo e malgrado questo deportata ad Auschwitz nel 1942, dove morì. Torniamo al “gioiello” pubblicato dalla Elliot:  s’intitola Ida (61 pagine, 7,50 euro). Lei, Ida Sconin, proveniente dall’Est europeo, è un’una ormai anziana ballerina del cabaret. Ha circa 60 anni e da venti è sul palcoscenico ad ammaliare il grande pubblico grazie a una sensualità mischiata a “un orgoglio insolente” e a gesti di donna imperiosa che dimostra di conoscere alla perfezione com’è strutturato il desiderio maschile. Le sue giovani colleghe, che si librano seminude o nude, non contestano la sua bravura, ma si chiedono quando deciderà di ritirarsi e quindi smettere di oscurare talenti ai quali, di fatto, è impedito di sbocciare. La Némirovsky coglie Ida sul malinconico viale del tramonto, tra luci accecanti dell’avanspettacolo e ore di pensieri malinconici nelle sue tardive notti, diventate difficili e popolate da ricordi. I quali s’intrecciano con la crescente consapevolezza di non farcela più a barare con l’anagrafe. Di lei mormorano che è cinica, che ha sempre pagato i suoi giovani amanti e- questo il punto nodale- che non ha mai amato veramente in vita sua. “Un disprezzabile cuore”. Figlia avvilita di una tenutaria di bordello, poi scappata poi in Francia, perde a poco a poco il luccicore del presente e viene ingoiata dai ricordi amorosi. Pensa al marito orologiaio, paziente e opaco, che alla fine si impiccherà. Pensa al rivale di quest’ultimo cui deve il salto nella notorietà: lo guarda nella sua essenza di “guitto” e le sovviene di averlo poi incontrato in desolante e scontroso decadimento. Ida s’avvinghia agli ultimi fragili brandelli del suo presente, ma perderà la sfida con la rivale Cynthia, così giovane e così nuda. Prima di bloccarsi come una statua di marmo davanti a un pubblico sbeffeggiante, si prende la soddisfazione di comprendere il perno fragile della rivale dalle cosce lisce: Cynthia “non ispira desiderio, ma quella specie di stupore innamorato che una bella macchina d’acciaio perfetta e scintillante procura a un uomo”. Ida cade sul viale del tramonto. Da insuperata, però.

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