Valentina Mezzacappa
Verso le celebrazioni shakespeariane

Quell’amore totale

Shakespeare ha messo in scena l’amore come se a farlo fosse stata una legione di drammaturghi, intenti nell’agire sotto lo stesso pseudonimo: in questa ambiguità (oltre che in questa "vastità" di suggestioni) è la sua grandezza

Cantava Baldassarre in una delle scene chiavi di Molto rumore per nulla: «Mai più sospiri, donne,
 mai più sospiri ormai, 
che ogn’uom v’inganna,
 un piè sull’onda, 
un sulla sponda,
 donne, fedele mai. 
Perciò non sospirate,
 ma ogn’uom lasciate
 andar, gaie e gioconde,
 vostre doglie voltate 
in canti allegri, allegri e gai». Con l’arietta di Baldassarre, Shakespeare coglie uno dei molteplici e complessi volti dell’amore, quel medesimo sentimento che in maniera altrettanto complessa e sfaccettata funge da perno attorno al quale ruotano i diversi avvenimenti che vanno a costituire la storia di questa tragicommedia. L’amore di Molto rumore per nulla è puro, ingenuo e intransigente come la giovinezza, soffocato per puro spirito di sopravvivenza e celato dietro una maschera di cinismo e sarcasmo ma anche temuto in quanto simbolo di responsabilità e legami indissolubili.

Ne La dodicesima notte l’amore è ancora una volta al centro della storia. È un amore inizialmente fraterno, quello fra la protagonista en travesti Viola e il fratello Sebastiano, creduto morto durante il naufragio che la porterà sulle coste dell’Illiria. Vi è poi quello travagliato del Duca Orsino verso Olivia, il cui cuore di figlia e sorella è stato spezzato dalla morte prematura di un padre e di un fratello. In lutto e sofferente, la giovane donna decide di attendere sette anni prima di accettare la corte di uno spasimante, decisione che arreca al Duca enorme sofferenza ma che di certo non lo ferma in quanto manderà il giovane Cesario (Viola travestitasi da giovane) in sua vece per cercare di conquistare il cuore della sua amata. Ma in realtà il Duca appare più innamorato dell’amore come entità astratta e del brivido per la caccia che esso spesso comporta che di una persona in carne ed ossa. È Viola nei panni di Cesario a riportarlo con i piedi per terra indirettamente confessando il proprio amore per lui. E lo fa pronunciando le battute più belle della commedia: «… so anche troppo bene quale amore può volere una donna. Che le donne hanno anche loro un cuore come il nostro. Mio padre ebbe una figlia che amava un uomo come forse io stessa, potrei amare vostra signoria, se fossi donna». Le immagini che le sue parole evocano lasciano lo spettatore ammutolito: «Non c’è nessuna storia, mio signore; ché mai ella svelò la sua passione, ma la tenne celata nel suo cuore, lasciando che, come il verme in un boccio, le divorasse le vermiglie gote; e, immersa in questa sua malinconia, si lasciò piano piano illanguidire e, illividita dalla sua tristezza, se ne rimase immobile, seduta come la statua della Sofferenza su un cippo sepolcrale, sorridendo all’interno suo dolore. Non era questo un amore verace? Noi uomini siamo più capaci di dir di più, giurare più di loro, e la mostra dei nostri sentimenti supera la lor vera intensità: ci dimostriamo prodighi a giurare anche se il nostro amore è piccolino». Nonostante sia una commedia, La dodicesima notte ci ricorda anche quale crudele arma possa essere l’amore quando il giullare Feste, lo zio di Olivia, Sir Toby, la cameriera Maria, il servo Fabian e Aguecheek si fanno beffa del maggiordomo Malvolio, facendogli credere che la padrona sia innamorata di lui.

Ellen Terry come Lady Macbeth John Singer SargentQuando si pensa a Macbeth, non si può fare a meno di fari riferimento al celebre dipinto di John Singer Sargent che ritrae Ellen Terry nei panni di Lady Macbeth (nella foto) mentre si accinge nell’indossare la tanto bramata corona reale. Macbeth è una tragedia che gronda sangue dalla prima all’ultima scena, eppure anche qui l’amore ha il suo ruolo. È un amore debole, succube e facilmente manipolabile. Da sola, probabilmente, la profezia delle weird sisters non sarebbe stata in grado di trascinare Macbeth giù per la ben nota spirale di tradimenti e cieca violenza. E senza quella donna che è Lady Macbeth, tanto assetata di potere quanto abile oratrice, probabilmente la rovinosa scalata al centro della tragedia non sarebbe mai avvenuta. È lei a rimodellare la morale del marito sfruttando abilmente il proprio ascendente su di lui quando a frapporsi fra loro e la corona vi è “solo” l’omicidio: «Ma temo della tua natura; essa è troppo imbevuta del latte della bontà umana per prender la via più breve. Tu vorresti esser grande; non sei senza ambizione: ma non hai il malvolere che dovrebbe accompagnarla: ciò che desideri sommamente tu lo vorresti avere santamente: tu non vorresti agire in modo sleale ma tuttavia vorresti ottenere ingiustamente: tuo magnanimo Glamis vorresti avere ciò che ti grida: “così devi fare se lo devi avere”; e vorresti quel che hai più timore di commettere che desiderio che non sia commesso. Affrettati a venir qui affinché io possa versarti nell’orecchio il mio coraggio e riprovare col valore della mia lingua tutto ciò che ti allontana dal cerchio d’oro col quale il destino e un aiuto soprannaturale sembra ti vogliano incoronato».

Restiamo in ambito reale ma questa volta abbandoniamo la brumosa Scozia per la corte reale di Francia all’indomani della battaglia di Ajincourt e della vittoria di Enrico V contro i francesi. La corte è vuota, fatto salva la presenza di Enrico, Caterina di Francia e Alice, una dama di compagnia della principessa. È in questo raro momento di solitudine che Enrico confessa a Caterina il proprio amore e chiede la sua mano. La giovane principessa per gran parte del dialogo resta sulle sue, nascondendosi dietro alla sua povera conoscenza dell’inglese e probabilmente anche si domanda in segreto se quest’uomo sia mosso da ragioni di cuore o di stato. Il corteggiamento di Enrico regala a questa tragedia storica un prezioso momento brillante. Ecco il giovane sovrano cercare di superare l’ostacolo linguistico ammettendo le proprie lacune: «…allora te lo dirò in francese e questo idioma sarà come una sposa novella che abbraccia il marito cioè mi si attaccherà tanto alla lingua che non le riuscirà di cacciarlo via…» e con altrettanto candore la sua scarsa capacità nel parlare d’amore: «Maledetta l’ambizione di mio padre! Quando mi ha messo al mondo non pensava che alle guerre civili: per questa ragione sono nato con questa scorza dura con questa faccia di ferro che quando fo la corte alle signore le spaventa». In questa scena, che non può che far sorridere, Shakespeare restituisce a un uomo che fino ad ora è appartenuto alla sfera del mito guerresco la propria impacciata emotività. Infatti esclama dopo averla baciata: «Sulle vostre labbra Caterina c’è stregoneria: c’è più eloquenza nel loro melato tocco che nella lingua di tutto il Consiglio di Francia e riuscirebbero a persuadere Enrico d’Inghilterra più che una supplica collettiva di sovrani» per poi separarsi da lei in tutta fretta, come farebbe un ragazzino, all’arrivo del Re di Francia.

Amore è anche quel sentimento che lega un figlio a un genitore e viceversa e l’opera di Shakespeare ha più volte affrontato questa dinamica, sia a teatro sia nei suoi sonetti. Uno dei legami di sangue più interessanti è quello fra Caio Marzio Coriolano e la madre Volumnia. L’amore di questa donna per il figlio rasenta il patologico. Laddove una madre rabbrividirebbe al sol pensiero che il figlio vada in guerra, l’amore e l’orgoglio di Volumnia prosperano alla vista di tutte le ferite del figlio e non è da escludere che la sua ambizione sia in parte dettata anche da un bisogno più o meno inconscio di proiettare su di lui le proprie personali ambizioni. E lo stesso accade quando nel nipote riconosce le stesse caratteristiche del padre: «Preferirebbe stare tutto il giorno a veder spade ed udire tamburi, piuttosto che star dietro al suo maestro». È addirittura capace di gioire quando Valeria racconta di aver visto il bambino fare a pezzi una farfalla con i denti dopo averle dato la caccia senza pietà: «Gli scatti di suo padre!».

Ma il rapporto con l’amore di Shakespeare non si esaurisce sulle assi del palcoscenico. Lo ritroviamo nei suoi esemplari sonetti. Non potendoli citare tutti ci soffermiamo solo su alcuni di essi. Uno è il 113 nel quale dell’amore viene descritto il potere di permeare ogni instante di colui che ne è la preda: «Da quando ti ho lasciato il mio occhio è nella mente,
E l’occhio che mi guida mentre vado in giro
Abbandona il suo ruolo: è in parte cieco,
Sembra vedere, ma in realtà è assente:
Al cuore non trasmette più nessuna forma
D’uccello, di fiore… nessuna forma che il cuore possa afferrare; L’occhio afferra ma non spartisce con la mente,
Né trattiene in sé l’immagine che ottiene;
Che veda la più brutta o più gentil visione,
Il viso più dolce o quello più deforme,
Il monte o il mare, la notte o il giorno,
Il corvo o la colomba…a tutti dà i tuoi tratti.
Incapace di contenere altro, colma di Te, La mia mente più vera rende falso ciò che vedo». Il 112 restituisce con straordinaria precisione e autenticità la capacità di questo sentimento di avvolgere una persona in un mondo parallelo dove le uniche parole e opinioni in grado di rivestire importanza sono quelle dell’amato: «Il tuo amore e la tua pietà ricolmano quel marchio che la volgare calunnia stampò sulla mia fronte, perché che m’importa chi di me dice bene o male se tu impioti il mio male e riconosci il mio bene? Tu sei tutto il mio mondo,e io devo sforzarmi di saper dalla tua lingua le mie vergogne e i miei pregi; nessun altro esiste per me(né io per nessun altro vivo) che possa cambiare la mia indurita coscienza al dritto o al torto. In così profondo abisso io getto ogni cura delle altrui voci che,come l’aspide,il mio udito si tura a chi mi critica e a chi mi lusinga. Nota come giustifico la mia noncuranza: così fortemente ti sei radicato nel mio intendimento che tutto il resto del mondo a me pare morto».

Il modo in cui il Bardo affronta il tema delle relazioni amorose ci spinge ancora una volta a porci la domanda forse più intrigante di tutte: chi era William Shakespeare? È davvero possibile che nell’arco di una sola vita un unico uomo sia riuscito a raggiungere una conoscenza così vasta e profonda dell’umanità, conoscenza che si materializza nei numerosi e incredibilmente eterogenei punti di vista che egli fornisce ogni volta degli umani desideri, bisogni, aspirazioni e paure? Shakespeare ha messo in scena l’amore come se a farlo fosse stata una legione di drammaturghi, intenti nell’agire sotto lo stesso pseudonimo. Comunque sia andata veramente la storia, certo è che Shakespeare ha raccontato la purezza, come il potere manipolatore, l’annichilimento, l’eterna insoddisfazione, l’amore per l’amore stesso e molto altro ancora. Ha esposto dei suoi spettatori come dei suoi personaggi la fragilità dimostrando quanto possa l’amore trascendere la mera sfera umana per rompere equilibri anche di natura sociale e politica.

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