Gianni Cerasuolo
Dopo la notte degli Oscar/2

Quell’Oscar a Diego

«Mi hanno ispirato Diego e Fellini», ha detto Sorrentino con la statuetta in mano. Proprio vero: la parabola del Pibe de oro va dalla grande bellezza alla grande tristezza

La fantasia non s’impara, la fantasia esce, diceva Diego Armando Maradona. Paolo Sorrentino conosce queste parole, conosce la fantasia. Perché ha visto Maradona eh, mammà, innammorato son, come tutta Napoli cantava ai tempi degli scudetti. Era lì al San Paolo, Sorrentino, quando Diego faceva impazzire la gente del Pallonetto o del Vomero, i lazzari della Ferrovia e i cafoni delle campagne – cafoni tanto diversi da quelli della Roma di Jep Gambardella – lì a due passi da Bagnoli che vomitava lingue di fuoco nella conca dei Campi Flegrei. Era lì domenica scorsa, da qualche parte di Los Angeles, a poche ore dalla cerimonia dell’Oscar, a vedere il suo Napoli balbettare a Livorno per una partita scadente. Come qualsiasi, autentico tifoso vero.

Maradona lo ha ispirato come Fellini. Perché Maradona è stata la grande, gioiosa e malinconica, straordinaria bellezza, laica e provocatoria, di Napoli. Da quando si mise a palleggiare maglietta e jeans al suo arrivo e lo stadio era pieno come ci fosse stata una partita passando per dei pomeriggi della domenica che non si potranno più rivivere, i pallonetti da metà campo, le punizioni magistrali a trafiggere il portiere della Juve, uno-due, para Tacconi!, il sinistro di Dio che buttava il pallone in rete direttamente dalla bandierina del calcio d’angolo, i dribbling che facevano sedere sull’erba tutti gli avversari abbattuti come i birilli, oppure quando segnò da dentro l’area di rigore, una cosa impossibile, una punizione a due, Pecci che non vuole dargli la palla, come fai a tirare?, non c’è spazio, e lui si inventa una delle sue magie, palla nell’angolino a sinistra del portiere. Già, il portiere. Shilton, numero 1 dell’Inghilterra, che l’aveva visto toccare con la mano quello spiovente di Valdano, ai Mondiali del Messico dell’86, e correva dall’arbitro a dirgli: è fallo, non hai visto? Ha segnato con la mano…!

Infatti aveva segnato con la mano. Ma si può dire che mancasse di rispetto al calcio, come Maradona stesso poi si chiese? È mancanza di rispetto al calcio quello che combinò pochi minuti dopo, partendo da metà campo e scartandosi mezza nazionale inglese? Questa è la fantasia, la provocazione pura, la destrezza assoluta, il genio. Come una sonata di Mozart, un verso di Borges. O un film di Sorrentino. Che avrà dentro di sé anche quella faccia smarrita di Diego, quando lo andarono a prendere gli agenti dell’antidroga argentina, lui che esce spaurito da un postribolo, mostrato a fotografi e telecamere, un pulcino bagnato, un drogato come quello che si mise a urlare nella telecamera ai Mondiali americani, segnò alla Grecia, fu l’ultimo suo gol in un campionato del mondo, poi il nuovo scandalo, la cocaina, il disprezzo e l’esecrazione. Che non si levarono mai quando si faceva fotografare nelle vasche da bagno d’oro dei camorristi. Bruttissimi titoli di coda: la grande tristezza di Diego, il suo gonfiarsi a dismisura, il suo andare in giro come un fenomeno da baraccone, il suo ciondolare da una panchina all’altra, tutti mezzi fallimenti. Sorrentino poteva metterlo a fianco di Gambardella ma sarebbe stato scontato, un fotogramma già visto. E il genio ha bisogno del tocco di classe, improvviso, che spiazza tutto e tutti.

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