Erminia Pellecchia
Novità di Oèdipus e Pironti

Il verso al mondo

Escono due raccolte poetiche di due giornalisti, Andrea Manzi ed Enzo Ragone. E improvvisamente la parola diventa uno strumento per scavare il senso della (semplice) cronaca

Andrea Manzi ed Enzo Ragone, due giornalisti, due inviati dell’anima per riaccendere il motore delle coscienze, due intellettuali, entrambi salernitani, entrambi voci di “resistenze” sulla scia del loro conterraneo Alfonso Gatto e del “corsaro” Pier Paolo Pasolini, Cristo del Golgota di noi tutti. E sarà per questo, nel vuoto generato del niente che ci circonda, nel nostro annaspare da funamboli in cerca di un appiglio al baratro del nulla, che questi due erranti di-versi hanno avvertito, quasi in contemporanea, l’uno senza sapere dell’altro, l’urgenza di regalarci una bussola, cui aggrapparci nell’incerto cammino di un presente oscuro.  Ecco allora due preziosi libriccini, da poco in stampa, a indicarci il passo lungo sentieri non praticabili da certezze anticipate o da progetti rassicuranti. La mappa è la memoria, la sponda è quella della poesia.

copertina ManziLa memoria, già, «ad illuderci della realtà dei fantasmi», a farsi «tabernacolo di senso», a spalmare, sulla «pece lattiginosa» della solitudine le orme dei ricordi, sia pure ingannevoli, sia pure stranianti, sia pure mobili verità. Come un archeologo, Andrea Manzi compie un’operazione di scavo. Lui che ci abituato nelle precedenti raccolte poetiche – penso a Morire in gola del 2009 – ad un «espressionismo violento», come lo definisce Maurizio Cucchi, ora esplora un percorso intimistico rincorrendo «il tempo fuggiasco per fermarne le ombre», cerca in «messaggi fiochi aliti di verità», recupera «sotto i cieli chiusi delle favole antichi tracciati di acque terse». Si scruta e si denuda, si confessa «io solo tra i pensieri/io solo senza pensieri» per consegnarsi, per consegnarci un’altra natività «per non darla vinta alla vita che fugge». Un’ansia di (ri)scoperta che Manzi urla già dal titolo L’orma che scavo (Oèdipus edizioni, 64 pagine, 9 euro), una plaquette di riflessioni-rifrazioni dal ritmo pulsante come i battiti del cuore, accompagnata dalla bella postfazione di Elio Pecora. Un doppio sguardo, da poeta a poeta, l’autore di Sant’Arsenio ci offre le coordinate per immergerci nel racconto a guizzi di un uomo allo specchio che scandaglia il suo destino nell’anelito di un centro di gravità permanente, di una “terza via” nel gioco d’azzardo della giostra schizofrenica della vita. «Un altrove, remoto e intoccabile, ma di continuo cercato e chiamato, è misura e confine di questo libro – scrive Pecora – Concretezza e simbolicità, fedeltà e svisamento, si confondono e sostanziano traversando stagioni veloci, inestricabili ansie. Divinità cancellate tornano per smentirsi, restano forze nascoste cui appellarsi per esistere… gli istanti di un tracciato alternativo, scoperto a fine corsa, segnano la promessa che ancora ardisce sperare. Forse solo l’amore si consegnerà spianando aree ignote dove abiterà il tempo scampato all’ira».

copertina RagoneLa memoria, già. Enzo Ragone, nomade in direzioni ostinate e contrarie, costruisce, pietra su pietra, l’architettura del suo viaggio interiore. Da Mercatello, la spiaggia salernitana dove il padre sfidava i cavalloni lasciando lui bambino tremante – «è solo a questa paura conosciuta nell’attesa che devo il coraggio che ancora oggi mi tiene a galla nel mare tempestoso della vita» – a Sarajevo, di cui ha documentato, per il Tg3, il più lungo assedio della storia contemporanea e la difficile ricostruzione post-bellica, la Sarajevo «dal cuore così forte per sopportare tanto dolore e raccontare al mondo che non ha occhi per guardare di che colore è il sangue degli invisibili». Undici anni nei Balcani, in quel «dietro l’angolo» ignorato dove nessuno «dall’altra sponda» si è accorto di cosa accadeva. L’unico conforto le voci dei poeti, i versi che la gente recitava anche facendo la fila per il pane, la poesia come forma di resistenza, la civiltà delle parole contro la barbarie della guerra. Un dietro le quinte dell’orrore che Ragone ha svelato per la cronaca e che ritorna ora, sul piano inclinato del tempo, nella distanza che si fa evocazione, nelle sue “poesie visive” per dirla con Enzo Cucchi che ha battezzato, nel 2006, il primo libro Poesie dell’amore migratorio.  Una pausa, lunga, «una solitudine pervadente e assidua», il peso «della condanna di dover vivere nel tempo della disillusione». Non è cambiato nulla, anzi, si è infranta ancor di più la speranza di una pace possibile. Dopo otto anni il giornalista sceglie nuovamente la forma poetica per far sentire la voce di chi non ha voce, per far aprire gli occhi a chi non vuol vedere. E con La pietra di Sarajevo (Tullio Pironti editore, 96 pagine, 8 euro), compagno di viaggio Mimmo Paladino che con 11 acquerelli annota il suo diario di bordo, s’incammina sulle «tracce incerte del mio destino» accomunate «alle verità assassine del mondo». Achille Bonito Oliva, che firma la seducente prefazione, avverte: «Fare il verso al mondo è l’intenzione felicemente poetica di Enzo Ragone… Il poeta salernitano costruisce un labirinto assecondando e doppiando il senso della vita, il suo controsenso… Ha edificato un teatro filosofico e poetico insieme, in cui la verità e la conoscenza non hanno oggetto, oppure sono da ritrovarsi dentro l’astrattezza di un percorso che non conosce». Ma la via per uscire dalla «notte avida e predatoria» che ha «demolito la memoria e sedimentato tutte le cose» c’è.  È la pietra di Sarajevo, quell’«unica cava, dice, da cui sono stati tratti i blocchi con cui sono state fatte sia le moschee che le chiese cristiane e i cimiteri degli uni e degli altri». Ragone indica la strada del ritorno da cui ripartire, come guide indica i poeti: «Non c’è verso che cambi il mondo se non sappiamo leggere nelle parole dei poeti le verità sanguinanti degli eretici. Non c’è verso che gli uomini possano leggere parole se nessun poeta le ha mai scritte. Non c’è verso che tu mi ami se non cambiamo per sempre il tempo e lo spazio destinato alle parole dalle righe di questa pagina».

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