Leonardo Tondo
Ragione e sentimento

Paure di volare

«C'erano 117 psicanalisti sul volo PanAm per Vienna e io ero stata in cura con almeno sei di loro» scriveva Erica Jong, nel 1973, in “Fear of Flying” rendendo famosa se stessa e il panico da volo. Una sindrome che tradisce il desiderio di voler essere razionali a tutti i costi senza fare i conti con il proprio mondo emotivo...

Aspetto il volo per Roma in ritardo per maltempo e mi viene in mente un’intervista a National Public Radio di qualche giorno fa sulla paura di volare. Volendo, neanche un tema troppo originale, ma il guizzo stava nel chiedere a una serie di personaggi come effettivamente declinassero le loro paure del volo. C’era chi non si fidava del pilota che magari non aveva dormito abbastanza o poteva non essere del tutto sobrio, chi temeva l’esaurimento delle scorte di carburante, un attacco terroristico, una bomba a bordo, un cedimento strutturale, la collisione con un altro aereo. In ogni caso, una volta decollati, in crociera non accade nulla; l’atteraggio è la manovra più pericolosa di tutte, responsabile del maggior numero di incidenti (spesso non mortali). Si chiama, in gergo, Cfit (controlled flight into terrain) e capita quando il pilota crede di controllare l’aereo ma invece lo porta a sbattere.

A proposito, da non perdere il prossimo Non Stop con Liam Neeson (esce in febbraio negli Usa) sulla presenza di un assassino a bordo. Tutte eventualità vicine allo zero, ma su quella vicinanza si inserisce il panico, in quella zona di confine fra l’infinitamente improbabile e l’impossibile. Una zona che si calcola possa causare la morte di circa 3 passeggeri ogni 10 milioni (molto meno probabile di incidenti automobilistici, 60 volte più rischiosi), con una probabilità che non aumenta se si vola più spesso, ma che riparte da zero a ogni nuovo volo. Si dirà che all’incidente aereo sopravvivi difficilmente (neanche poi tanto vero), mentre quello in auto è più raramente mortale. Alcuni non riescono a salire in aereo per la claustrofobia (e non si sottopongono neanche a risonanze magnetiche), come se il mezzo non riuscisse a contenere il loro Ego ipertrofico. Anche in questo caso, un’auto o un autobus sono più piccoli di un regolare jet commerciale ma sembrano più protettivi. Per non dire delle turbolenze quando guardando fuori dall’oblò le ali oscillano paurosamente in mezzo alle nuvole e al limite (secondo noi) della loro rottura.

Forse non si parlava tanto di fobia del volo prima di quella frase: «C’erano 117 psicanalisti sul volo PanAm per Vienna e io ero stata in cura con almeno sei di loro» con cui Erica Jong, nel 1973, dava il via al Fear of Flying (Paura di volare) rendendo famosa se stessa e il panico da volo. Si scoprì che il cinque-dieci percento della popolazione ne soffre e viene incluso nei disturbi d’ansia. È presente più nelle donne, probabilmente perché più facilmente vengono allo scoperto chiedendo aiuto e rientrando così nelle statistiche. Le stime reali sono certamente superiori perché chi non ha necessità di volare non lo considera un problema. Se invece prendere un aereo è una necessità, la fobia può condizionare la carriera o le relazioni interpersonali e c’è da pensare che una parte emotiva seminascosta cerchi per i motivi più diversi di sabotare proprio quella vita di relazione che razionalmente desidera. A distanza dall’evento, la paura del volo è un venticello, un senso di disagio, un’ansia anticipatoria fin dal momento in cui si progetta il viaggio. Si pensa di riuscire a controllarla ma invece aumenta gradualmente fino al momento di entrare nella carlinga, dove rapidamente prende piede uno stato di terrore. Chi sa di essere fobico non arriva neanche a pianificare il viaggio e sceglie trasporti alternativi: l’auto, il treno o la nave.

Si dice che la Queen Mary 2, il transatlantico che circa una volta al mese va da Southampton, Inghilterra, a New York sia pieno di fobici che si sottopongono a un viaggio di sette giorni pur di evitare sette ore di panico. Si dirà, il bello della lentezza. Anche molte navi merci ospitano (non a prezzi scontati) avventurosi passeggeri. Patricia Marx, sull’ultimo New Yorker racconta di un suo viaggio di due settimane su un cargo da Philadelphia ad Amburgo. Gli altri tre passeggeri erano una coppia che lasciava l’Australia per l’Inghilterra (lui pastore protestante) e uno scrittore svizzero che per andare da Zurigo a Berna (130 km) aveva preso la traiettoria est attraversando tutto il mondo con qualsiasi mezzo non aereo (due mesi e mezzo). Alcuni fobici pensano coraggiosamente che quella sarà la volta buona (in cui supereranno la paura) ma rinunciano al viaggio subito prima di partire o cedono prima che si chiudano le porte (si sa di chi ha costretto il pilota a tornare indietro). Chi rimane a bordo nonostante il panico crescente, sa di dover affrontare vari stati d’ansia che vanno da una sofferenza privata e relativamente contenuta, in cui al massimo si piantano le unghie nelle mani del compagno di viaggio o nel bracciolo del sedile, a veri e propri attacchi con sudorazione, palpitazioni, tachicardia, senso di caldo o freddo, paura di morire e voglia di scappare. Ricordo la storia di una donna in aereo che iniziò ad armeggiare con il portellone a diecimila metri di altezza pur di eliminare il panico in cui si trovava (venne rapidamente contenuta).

Chi sfida la sorte, alla prima turbolenza si vede già precipitare a picco verso l’oceano, vede fiamme a bordo, prevede il momento dello scontro con l’acqua o con una montagna di cui il pilota sicuramente non si è accorto (capitato, raramente, ma capitato). Per evitare sia l’ansia anticipatoria sia gli attacchi di panico esistono dei comodi farmaci da prendere all’occasione ma anche per un trattamento duraturo, a scopo preventivo. Chi lo fa, racconta di essersi sentito del tutto a suo agio. Altre opzioni di riduzione dell’ansia sono fornite dai corsi di decondizionamento e rilassamento basati su simulazioni a bordo di una carlinga (anche in rete e in dvd) che riproducono fedelmente un volo aereo. Nel mio caso, tre eventi hanno aiutato parecchio. Un volo in carlinga con un amico pilota per caso alla guida dello stesso aereo. Le spiegazioni sul funzionamento degli strumenti e sulle misure di sicurezza che non dipendono soltanto dal pilota furono rassicuranti. Un altro momento di aiuto fu la lettura di un articolo in cui semplicemente l’autore descriveva che un aereo è un mezzo di trasporto fatto per volare che si muove goffamente a terra mentre l’aria è il suo ambiente naturale. Più semplice di così? Come accade a goffi pinguini e foche a terra che poi danno il meglio di sé in acqua. Infine, una notte, durante impressionanti e interminabili turbolenze atlantiche, le parole del comandante che spiegava di non poter cambiare rotta perché a distanza di un chilometro o due c’erano aerei sotto, sopra e di lato, avanti e indietro diretti in Europa (circa 300 aerei partono dalle sole coste statunitensi prevalentemente di pomeriggio diretti in Europa; gli stessi che in direzione opposta ritornano la mattina) fece venire in mente un senso di compartecipazione all’avventura. Un’umanità a distanza che condivideva le stesse sensazioni e che si aiutava a vicenda.

La fobia, come spesso accade quando le emozioni vogliono prendere il sopravvento, ha motivi più sotterranei che per il volo riportano in superficie il timore di non poter controllare le situazioni, come appunto durante un viaggio in aereo in cui, tutto sommato, affidiamo il nostro destino a una persona che non conosciamo e di cui dobbiamo fidarci. Un sentimento fastidioso che tradisce il desiderio di voler essere razionali a tutti i costi senza fare i conti con il nostro mondo emotivo che preferirebbe lasciarsi andare. Dal conflitto fra questi due nostri aspetti emerge lo stridore che porta in superficie il panico.

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