Paolo Petroni
In scena al Palladium

La vita è un funerale

Con "Sorelle Macaluso" Emma Dante ritorna alle sue origini, mescolando vitalità a senso della morte. Ha debuttato a Roma una storia che non mancherà di far discutere l'Europa

Un gruppo di ragazze, sette sorelle, che scherzano e ridono al sole della Sicilia, una gita al mare che pian piano diventa inquietante, finisce in tragedia. Una danza, una marcia, un presentarsi in fila a fare i conti con quel che è avvenuto, con i propri sensi di colpa, cercando di scaricarli sulle altre, sui problemi di ognuna, tra una risata beffarda e uno schiaffo, con una meccanicità e un’affettazione rituale antica, feroce e innocua, che è quella delle marionette, in questo caso dei Pupi siciliani in lotta coi loro scudi e spade di latta. Sono le Sorelle Macaluso come le porta in scena Emma Dante, in questo suo ultimo, poetico, inquietante, vitale spettacolo che, dopo Napoli, è arrivato al Palladium di Roma, dove si replica sino al 9 febbraio, per andare poi, tra l’altro, a Reggio Emilia, Palermo, Torino, Milano e, quest’estate, al Festival di Avignone, che lo ha coprodotto con lo Stabile di Napoli, col Teatro nazionale di Bruxelles e il Folkteatern di Goteborg.

In realtà stiamo assistendo a un funerale, quello della sorellina rimasta annegata tra le onde, quella che aveva la passione per la danza e che continua, in bilico tra vita e non vita, la sua danza del cigno, come le altre passano dai ricordi al presente, quasi senza continuità, solo attraverso deformazioni del sorriso, delle espressioni, su cui la Dante e le attrici sembra abbiano lavorato molto, visto che il volto è mobilissimo, ora rilassato, ora un po’  maschera, e quasi un “a parte” rispetto al resto del corpo, quasi una sottolineatura della differenza tra l’animo e la fisicità, in questo gioco sempre sul limite, di confine. Ed è proprio oltre il confine, andando nell’immediato al di là, che c’è più libertà, più vita quasi di quella che vi è prima della morte.

Sorelle Macaluso2Lo spettacolo ha qualcosa del ritorno alla prima Emma Dante e ricorda inevitabilmente altri suoi lavori, ma soprattutto Vita mia con quella forza di sentimenti, di azione e fisicità, ormai spensierati, pur con una inquietante malinconia, attorno al catafalco del figlio e fratello morto. È quasi un’idea della vita come agonia, segnata appunto dall’inevitabilità della morte, che arriva quasi come una liberazione, con un suo senso di leggerezza, pur se tinto necessariamente di nero.

Anche la scena, del resto, col suo vuoto assoluto (tranne croci e scudi dei pupi allineati in proscenio) e il nero, l’oscurità sul fondo da cui tutti sono (pirandellianamente) usciti, comunica la sensazione di situazione sospesa, di sogno o incubo, privo di pesantezza, come liberata da ogni realismo, pur essendo le interpretazioni molto sottolineate realisticamente. È la forza di un qualcosa di arcaico e assieme del poetico mistero del colloquio che non si interrompe tra chi è e chi non è più, che non riesce a andarsene e non riescono a lasciarlo andare. Un corpo che non trova pace quando le sorelle si accusano, o accusano il padre, un corpo che partecipa come vivo quando tutto trascolora nel sogno, tra ricordo e speranza, col padre e la madre, anche lei morta, che ballano teneramente in un abbraccio sensuale che non vogliono più sciogliere, con  il figlio morto di una di loro, appassionato di calcio come un piccolo Maradona, che anche lui torna a palleggiare una palla invisibile. Tutto finché Antonella, l’annegata, comincerà a capire e a chiedere: «Ma stu funerale è ‘o mio?» e compiendo la sua ultima trasformazione, denudandosi del passato e vestendo un candido tutù compie gli ultimi passi di danza, cigno che muore, potremmo dire per presa di coscienza.

Uno spettacolo, come sempre quelli della Dante, forte eppure leggero, dolce e inquietante, sensuale e sguaiato, che coinvolge e ferma il fiato pur in questa scelta più essenziale, con questa costante non sempre convincente delle sorelle in fila in proscenio, pur nel gioco degli abiti neri che nascondono il ricordo di vestitini estivi e di costumi da bagno dai colori sgargianti, pronti a tornare a vivere.

Non resta che ricordare le interpreti, tutte eccezionali, che si danno senza risparmio col loro icastico palermitano, ma c’è pure chi fa affiorare il pugliese o l’italiano: Serena Barone, Elena Borgogni (Antonella), Italia Carroccio, Marcella Colaianni, Alessandra Fazzino, Daniela Macaluso e Leonarda Saffi con Sandro Campagna (il padre), Stephanie Taillandier (la madre) e Davide Celona (il ragazzino).

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