Ilaria Palomba
A proposito de "L'uomo seme”

Il paese delle donne

L'editore Playground recupera la storia autobiografica di Violette Ailhaud e del suo villaggio francese che nel 1852 si ritrovò improvvisamente privo di uomini. Napoleone III li aveva uccisi come rivoltosi

Playground pubblica oggi un’inconsueta vicenda storica, scritta da Violette Ailhaud dopo la Prima Guerra Mondiale, L’uomo seme. La storia, da lei vissuta in prima persona quand’era molto più giovane, è ambientata in un piccolo villaggio dell’alta Provenza, nel 1852, quando Luigi Napoleone Bonaparte (Napoleone III) prende il potere e una serie di uomini repubblicani, dunque a lui ostili, vengono deportati e gli oppositori fucilati. Il villaggio resta privo di uomini, tra i ribelli vi è anche il promesso di Violette, da cui mai potrà ricevere neppure un bacio. Le donne del paese, avvilite e tormentate, stipulano tra loro un patto: il primo uomo che dovesse passare per il villaggio verrà condiviso, per ridare vita al luogo.

Il racconto parte dal momento in cui uno sconosciuto «viene dal fondo della valle… sappiamo che è un uomo. I nostri corpi vuoti di donne senza marito si sono messi a risuonare in modo inconfondibile». Si srotola in un linguaggio sincopato e paratattico, poetico, più che narrativo, e mai farraginoso. Nelle descrizioni paesaggistiche, così come negli slanci introspettivi, mi ha ricordato la prosa di Hesse, in cui sempre queste due sfere (natura e interiorità) sono strettamente congiunte. La narrazione offre un battesimo affettivo e la scoperta del sesso viene descritta con esili pennellate, eleganti, piene di grazia. La struttura drammaturgica appare leggera, i conflitti personali sono per lo più interiori, mai agiti e spesso soltanto lievemente accennati, mentre quelli collettivi appaiono con più forza. «Rose, la figlia del panettiere, ha tirato fuori il suo abito da sposa… Ci ha vestito uno spaventapasseri che ha conficcato nel terreno in fondo all’altopiano».

l'uomo semeL’angoscia della perdita e la consapevolezza del proprio tempo sono temi sempre presenti, si fondono bene con metafore evocative sull’affinità tra spirito e natura. «Vinta da quella lotta impari, guardo, inebetita, la terra che gira: fisso a lungo l’inafferrabile linea, che separa l’ombra dal sole, spostarsi sulle piastrelle della cucina. La terra e il tempo mi avvolgono nel loro valzer folle».

L’incontro tra la protagonista e l’uomo-seme è descritto con delicata sensualità, eppure intriso del senso di colpa nei confronti del promesso morto e troppo in fretta dimenticato. «Jean si spinge al punto di dirmi che gli piaccio. È paziente davanti allo spettacolo della mia lotta interiore».

Altra figura minuziosamente delineata è quella del padre, anche lui fucilato come rivoltoso. «Rivedo mio padre tornare a casa tutti i giorni con almeno un fiore, una foglia, una scheggia di legno, un fungo, tre fragole o qualche ribes selvatico, e a volte una pietra. Mia madre diceva: “Che hai portato?”. Lui rispondeva che portava il suo debito di uomo per avere il diritto al proprio posto presso il focolare». La profonda indagine psicologica è accompagnata da una tridimensionalità storica ben incarnata nel tempo. Sempre a proposito del padre, Violette racconta: «Per lui la Rivoluzione del 1789 non aveva dato alla donna il suo posto. Pensava che gli uomini cattivi che si erano impadroniti del comando, come Saint-Just, avevano approfittato del tradimento di Maria Antonietta per gettare discredito sulle donne, alimentando il sentimento di paura di tanti uomini e mettendo da parte in quel modo una metà dell’umanità».

Quello di Violette Ailhaud è un racconto di speranza e di vita, collocato invece in un momento di grande sconforto e di terribili avvenimenti. Attraverso la letteratura la Storia prende vita ed è così possibile trovarsi a stretto contatto con ciò che altrimenti risuonerebbe solo come una serie di date, nomi e avvenimenti privi di empatia. Un lettore occidentale dei giorni nostri non potrebbe mai comprendere un evento talmente singolare, come quello narrato in questo libro, se non attraverso il racconto, così passionale, dell’autrice e protagonista stessa della vicenda.

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