Flavia Gasperetti
Roba che ho letto ultimamente

Felici di leggere

Da Yasmina Reza a Starnone, da Patrizia Cavalli a Alan Watts: inauguriamo una nuova rubrica di letture libere. Copiando quella di Nick Hornby: «The Believer. Stuff I’ve been Reading»

Cominciamo dalla fine, ovvero dall’ultimo libro letto: la nuova antologia che raccoglie gli articoli scritti da Nick Hornby per la rivista americana The Believer. Stuff Ive been Reading, così si intitola la rubrica di Hornby, “Roba che ho letto ultimamente”. Comincio da qui perché è leggendo questa raccolta che mi sono innamorata dell’idea di creare uno spazio che parlasse di libri non tanto per recensirli ma per, tra le tante cose, riflettere sul leggere in sé e sui mille dirimenti che ogni volta ci portano a scegliere le nostre letture. Hornby lo spiega molto meglio di quanto saprei fare io, «leggere è una lunga conversazione con molte persone diverse, tutte nella tua testa, tutte lì che pretendono la tua attenzione». Questo piccolo parlamento di lettori, ognuno con le sue domande, i suoi interessi particolari, «tutte queste persone devono essere periodicamente interpellate e, quando si sentono ignorate, mi scopro a sfogliare libri che non sapevo di voler leggere, probabilmente nel tentativo di farli contenti».*

E dunque, quali voci interiori ho cercato di accontentare in queste settimane? C’è un filo conduttore che tiene insieme le mie più recenti letture o sono piuttosto frutto del caso; chiedersi questo equivale un po’ a domandarsi se nel mio parlamento di lettori si siano creati dei correntoni, delle alleanze tese a far passare un determinato OdG o se invece i deputati abbiano preso la parola un po’ a casaccio senza trovare convergenze programmatiche. C’è una preponderanza di autrici in questo elenco – vedi la bellezza di fare un elenco? Non credo che altrimenti me ne sarei accorta. Non è detto che questo voglia dire qualcosa, specie se l’elenco è stato stilato da una persona che come me rifiuta categoricamente di entrare nel dibattito «la differenza tra scritture femminili e scritture maschili», dibattito noiosissimo che di solito si risolve in un glorioso festival del luogo comune. Però supponiamo che, anche se non condivido, ci sia nel mio personale parlamento una sorta di quota rosa che periodicamente reclama rappresentanza. Cosa va cercando?

yasmina rezaNon avevo mai letto Yasmina Reza (nella foto qui accanto), di lei sapevo solo che era l’autrice di Il Dio del Massacro – l’opera teatrale da cui è tratto Carnage di Roman Polanski. Sono invece una lettrice abituale di Patrizia Cavalli eppure non sono stata io a cercare Datura: la sua raccolta poetica del 2012, mi ha trovato lei in una libreria di Campo de’ Fiori. Quando ho aperto il volume ho scoperto che l’autrice lo aveva autografato a mano e, anzi, mi aveva lasciato anche una piccola dedica: «Se tieni un libro in mano sarai più bello e sano». A quel punto era inevitabile che Datura venisse a casa con me.

Entrambe le letture sono state molto appaganti, in entrambe ho trovato l’impietosa esattezza che, ma sì ammettiamolo, cercavo e che non ho trovato in Aristide Gambía. Starnone è bravo come sempre e mi pento di aver letto questo suo romanzo nella disposizione d’animo sbagliata – a volte non è il momento giusto e questo ci distoglie dall’apprezzare i meriti di un’opera. In questo caso, l’autobiografia erotica che ci ha consegnato Starnone mi è sembrata un po’ addomesticata, sapeva dell’edulcorazione retrospettiva che applichiamo come un filtro ai nostri ricordi. Questo conferisce forse a quella che vuole essere l’autobiografia fittizia di un personaggio un po’ in là negli anni una certa verosimiglianza, ma non era quello che volevo leggere. Quando ho voglia di ragionare d’amore, e talora ne ho voglia, mi piace lo sguardo senza palpebre lanciato sulla sostanza quotidiana dei nostri legami, mi piacciono gli sforzi di verità, le ostinate spoetizzazioni, le pillole non indorate e se ci scappa pure una risata tanto meglio.

L’esattezza è la materia con cui Yasmina Reza affila le lame della sua osservazione e le fa cantare. Nel suo romanzo-silloge, ciascun capitolo/racconto apre uno spioncino su un particolare piccolo inferno amoroso (e dicendo “inferno” non voglio suggerire nemmeno per un momento che i dannati che lo abitano non siano, anche, in qualche modo felici. Ma sul tema della felicità tornerò tra un momento). Già dalle prime pagine ci ritroviamo in un supermercato dove la scelta del formaggio scatena un litigio insensato, e quindi credibilissimo, tra due coniugi. «Felici gli amati e gli amanti e coloro che possono fare a meno dell’amore. Felici i felici» è la citazione di Borges che dà il titolo a questo volume. E certamente la felicità è un miraggio frequentemente interpellato in queste pagine, ed è difficile dire, per gli amanti e gli amati osservati come in un formicaio da Yasmina Reza, e così per noi tutti, come sia successo che per inseguire un miraggio di felicità amorosa ci si ritrovi a fare a cazzotti per un Morbier. Eppure, verrebbe da dire leggendo questo libro, la felicità non è meritocratica e non è il premio di niente. Arriva, insindacabile, oppure non arriva. Può toccare indistintamente i belli e i brutti, i giovani e i vecchi, i buoni e i cattivi (ci sono dei cattivi sublimi tra queste pagine, e non se la passano poi così male).

patrizia cavalliAnche Patrizia Cavalli (nella foto accanto) sembra avere qualcosa da dire sull’eterna domanda che prima o poi ci assale tutti al supermercato: «Ma se dev’essere così, allora non stavamo meglio da soli?». La piccolezza delle vessazioni che ci infliggiamo l’un l’altro forse un vantaggio ce l’ha, ci protegge dal dover fronteggiare da soli una quantità di altre piccolezze ugualmente meschine:

Conviene è pratico

avere il fisso amore,

ci si innamora per semplificare

e non c’è niente di meglio di un fantasma

per inghiottire ingombri e confusioni.

Dovrei altrimenti io da sola

tener testa all’inesausta varietà

dei miei umori e alle sparse faccende

doverose, quando ogni robetta, la più futile,

ostenta aspri diritti che pretendono

da me soddisfazione – minutaglia

smaniosa che mi sbrana, che dove accorro

un’altra piccolezza mi reclama.

Forse ha ragione Robert, il personaggio che in Felici i Felici riflette su come l’unico modo per star bene sia “ridurre a minimo le pretese di felicità”. Questo principio l’ho ritrovato, assai diversamente formulato, in un altro testo che mi sono ritrovata tra le mani in queste settimane, La Saggezza del Dubbio, scritto nel 1951 dall’orientalista Alan Watts. Pochi oggi ricordano Alan Watts (nella foto sotto), nominalmente filosofo, anche se dubito che i filosofi contemporanei lo riconoscano come collega. Watts è, soprattutto, colui che ha portato lo Zen in America. Non ci sarebbe stato John Cage senza Watts, e nemmeno il Kerouac dei Fannulloni del Dharma. Una parte enorme della controcultura, americana e non solo, dalla fine degli anni ’50 in poi si è formata grazie all’opera divulgatrice delle discipline orientali operata da Watts.

alan wattsPerché faccio tutta questa verbosa introduzione? Probabilmente perché La Saggezza del Dubbio può sembrare a prima vista un po’ un self-help book, una cosa New Age, e lo snobismo mi impone di assicurare che no, non è affatto così, vi pare che mi leggerei un manuale di psicologia-fai da te? (Lo faccio in segreto come tutti, ovviamente). Dunque no, non è un self-help. Innanzitutto perché fu pubblicato nel 1951 e poi perché la ricerca della felicità, il carburante inesauribile della moderna editoria motivazionale, è esclusa a priori da Alan Watts come plausibile via da percorrere. Cercare la felicità ci condanna a vivere con lo sguardo rivolto sempre al passato o al futuro, sempre alla ricerca di una qualche forma di sicurezza, ma «non c’è né permanenza né sicurezza, non c’è alcun Io che possa essere protetto». Viviamo ne «l’era dell’angoscia», incapaci di abitare il presente, viviamo come chi trattiene il respiro. Le nostre pretese di felicità sono sforzi controproducenti, secondo Watts, se non accettiamo quest’inevitabile insicurezza siamo come chi per rimanere a galla inevitabilmente affonda mentre, se solo ci abbandonassimo all’affondare, galleggeremmo.

Il principio ricorda da vicino la “legge dello sforzo rovesciato” teorizzata da Aldous Huxley, si vede che tra pionieri della controcultura si andava d’accordo. Vorrei poter dire che da oggi la metterò in pratica. Intanto che ci provo, però, cerco di tenermi ben alla larga dai supermercati.

Libri comprati e ricevuti, presi a prestito e rubati

▪       Yasmina Reza, Felici i Felici, trad. di Maurizia Balmelli, ed. Adelphi 2013, pp. 164, Euro 18,00;

▪       Patrizia Cavalli, Datura, ed. Einaudi, pp. 128, Euro 12,00;

▪       Marguerite Yourcenar, Ad occhi aperti. Conversazioni con Matthieu Galey, trad. L.Guarino, ed. Bompiani 2004, pp.289, Euro 8,00;

▪       Clara Usón, La Figlia, trad. S.Sichel, ed. Sellerio 2013, pp.496, Euro 16,00.

Libri letti

▪       Yasmina Reza, Felici i Felici;

▪       Patrizia Cavalli, Datura;

▪       Domenico Starnone, Autobiografia Erotica di Aristide Gambía, ed. Einaudi 2011, pp.460, Euro 20,00;

▪       Alan Watts, La Saggezza del Dubbio. Messaggio per letà dellangoscia, Astrolabio, 1981, Euro 9,00;

▪       Nick Hornby, Stuff Ive Been Reading, ed. Penguin, 2013.

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