Erminia Pellecchia
Giornata della memoria/2

Sbarco in Italia

Se passate da Salerno non potere evitare una visita al Museo dello sbarco. Un luogo di sogni e di dolore, di sangue e di illusioni per raccontare un momento critico della storia del Novecento

Duecento miglia al giorno a bordo di una Mb Willys, la jeep adoperata per le operazioni di collegamento nel teatro di guerra del 1943. Dieci giorni a macinare chilometri, partenza Londra, giù, sempre più giù, dopo aver attraversato la Manica, la Francia, il Frejus, una corsa fino a Salerno per arrivare puntuale, dopo 70 anni precisi, all’appuntamento con la memoria. Il “viaggio di testimonianza” del colonnello in pensione dell’esercito britannico James Baxter al Museo dello Sbarco è solo uno dei tanti pellegrinaggi allo spazio dedicato all’Operazione Avalanche, quella che Winston Churchill definì “il primo assalto alla fortezza Europa”.

Inaugurata nel settembre 2012 nell’ambito del progetto «Parco della Memoria della Campania», fortemente voluto dallo storico Nicola Oddati, dal giornalista Eduardo Scotti e dallo scenografo Peppe Natella, la palazzina nel verde di via Generale Clark, alla periferia orientale di Salerno, è diventata una delle mete più gettonate dei tour cultural-nostalgici del Belpaese. Il segreto? Non è il solito contenitore di reperti storici e materiali didattici, bensì un “museo aperto”, uno spazio vivo che si arricchisce in un frenetico work in progress dei ricordi di chi quella pagina di storia che ha cambiato i destini del mondo la porta ancora impressa nel cuore.

C’è un episodio incredibile al punto tale da sembrare un’invenzione pubblicitaria. Tra il nutrito nucleo di fotografie dell’epoca troneggia quella di un soldato inglese, il primo che, poco dopo le 3,30 del 9 settembre 1943, l’ora X dell’offensiva finale contro i tedeschi in Italia, scavalca il muretto che delimita la spiaggia di Santa Teresa dal nucleo urbano affacciato a mare: un turista straniero riconosce il padre in quell’immagine sbiadita, al ritorno in patria regalerà al museo l’elmetto custodito gelosamente per decenni. «Di doni spontanei come questo ne abbiamo tanti – dice Scotti, segretario di questo gioiellino tutto da scoprire –. Ci sono collezionisti, gente comune che ci mandano cimeli importanti, perché sanno che qui troveranno vita. Ma la cosa più bella è vedere l’entusiasmo di chi cerca un volto, magari il proprio o quello di una persona cara».

È capitato a un anziano che si è ritrovato tra gli scugnizzi che attorniavano i militari alleati, pronti ad offrire loro cibo e carezze, l’altra faccia delle armi, quella amichevole. Si è lasciato andare ai ricordi, ha accettato di rilasciare un’intervista video, ha descritto la guerra vista con gli occhi di un ragazzino, i bombardamenti come spettacolari fuochi d’artificio, le navi, centinaia e centinaia, che si stagliavano gigantesche lungo l’intero golfo lunato cantato da Alfonso Gatto, sessanta chilometri di costa da Agropoli a Maiori, simili ad apparizioni fiabesche. Cogliamo un altro flash simbolo, scelto da Il Mattino per lanciare una sorta di campagna “Chi l’ha visto?” in occasione del settantesimo anniversario dell’Operazione Valanga. La didascalia, un po’ fredda, recita: «Un gruppo di bambine salernitane fraternizza con un soldato inglese all’ingresso del palazzo comunale della città utilizzato come rifugio antiaereo». La penna felice di Titti Marrone l’umanizza nell’invito rivolto a quelle ex bimbette, che guardano lo straniero «affettuoso e un po’ strampalato» più simile a uno zio sconosciuto venuto da lontano che a un nemico, di mettersi in contatto con il giornale per raccontare quella giornata particolare. Certo la foto che proviene dagli archivi militari di Washington è un po’ posata, soprattutto per i volantini che campeggiano sul muro con la scritta «La libertà è in marcia», ma rapisce lo sguardo, commuove.

sbarco salernoNella lunga sala espositiva che raccoglie oltre duecento oggetti, oltre a documenti, fotografie e filmati, di cui molti inediti (l’allestimento ha la regia di Oddati, direttore del museo) si materializza il film verità dello Sbarco, anche le azioni violente e gli errori, ma giustificabili perché, lo sottolinea la Marrone, «quell’intervento sortì l’effetto di fermare il disegno hitleriano esteso all’Europa e al mondo, di liberarci dall’invasore nazista, di bloccare l’orrore della Shoah e di deportazioni altrimenti destinate ad allargarsi ben oltre il popolo ebraico, di far voltare pagina a un Paese soffocato per vent’anni dal cappio del fascismo». «Le bombe lampeggiavano sull’acqua, le fiamme ingiallivano il cielo, il marinaio gridò Tenetevi pronti. Il mezzo sussultò e la rampa discese. Un uomo balzò nel mare e sparì nella schiuma biancastra che traboccava precipitosa verso la riva…». È la cronaca dai toni epici del corrispondente di Life Jack Belden, protagonista dell’azione anfibia, «più grossa della storia, superata solo dallo Sbarco in Normandia del 6 giugno 1944».

Settantamila soldati inglesi e centomila americani partiti con 463 unità navali dai porti algerini e siciliani al comando del generale Mark Wayne Clark. Destinazione Napoli via Salerno. In prima linea il X corpo d’Armata britannico con l’obiettivo di occupare il porto cittadino, la stazione di Battipaglia e l’area della Foce del Sele, mentre dalla parte di Paestum sarebbero arrivati gli americani della Quinta Armata a chiudere la tenaglia. Primo errore strategico, annota Oddati, le forze alleate avevano dimenticato di considerare che tutt’intorno al litorale c’erano le alture da cui sarebbe potuto partire un serrato fuoco di sbarramento. «Una sola divisione di tedeschi le tenne in scacco – sottolinea –. Meno di cinquanta chilometri separano Salerno da Napoli, doveva essere una camminata al sole, come titola la pellicola di Lewis Mileston tratta da un romanzo di Harry Brown, ci vollero ben 22 giorni, una via crucis costellata da duemila morti, settemila feriti e tremilacinquecento dispersi».

Tocchiamo per mano le tracce di quella drammatica marcia tra sangue e sudore verso la Liberazione. Ecco le divise, i paracadute, le armi tra cui vecchie baionette, medaglie e scudetti, una jeep, perfino bombe come quella, pericolosissima, affiorata qualche anno fa nel pieno centro di Salerno, le prime foto a colori della Kodak mescolate al bianco e nero che documenta l’avanzata tra macerie, morte, paura e fame, le cartine e le planimetrie dettagliatissime, le stesse che lo scorso maggio cinquanta generali dell’Hq Arcc (Headquarters Allied Rapid Reaction Corp) della Nato hanno studiato, riuniti in convegno nell’auditorium del museo. Non mancano le curiosità come i primi pupazzi con la divisa americana e tedesca, commercializzati dalla rivista statunitense Life, il Risiko con il cartellone su cui poggiare i carri armati con lo sfondo del golfo di Salerno e un manifesto della Coca Cola con un soldato che offre la bevanda a un bambino. Un piccolo balzo nel tempo ci proietta nell’immediato futuro con la sequenza di pannelli dedicati a Salerno capitale, anch’essi a cura di Nicola Oddati: dal Governo Badoglio a quello Bonomi fino all’elezione dell’Assemblea Costituente stigmatizzano la rinascita di una Nazione fondata sulla Costituzione, come ha dichiarato Napolitano che ha concesso al museo salernitano l’Alto patronato del presidente della Repubblica.

Usciamo fuori dal padiglione, ad accoglierci con un colpo d’occhio ci sono un Ponton Bridge (il ponte di barche in mogano per attraversare i fiumi, visto che i tedeschi nella loro ritirata avevano distrutto i ponti veri), due batterie antiaeree e un rarissimo M4 Sherman da 35 tonnellate (attualmente è in restauro), impiegato nella battaglia di Altavilla, ferocissima. Un sussulto, un pugno nello stomaco, un grido di dolore: alle spalle dell’edificio appare, nella sua durissima evocazione, un vagone piombato, uno di quelli utilizzati dai nazisti per il trasporto degli ebrei italiani ad Auschwitz-Birkenau, dai cinquanta ai cento stipati peggio del bestiame, le porte bloccate dall’esterno, da aprire solo all’arrivo nei campi di sterminio. Scotti lo ha ereditato dalla Comunità ebraica, perché il museo dello Sbarco ha l’obbligo di rompere il silenzio, di non dimenticare mai, di essere di monito alle giovani generazioni contro possibili, nuovi e più efferati orrori.

Info: http://www.salerno1943-1944.com

 

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