Lidia Lombardi
Il duo MMR a Roma

Ritorno al mimo

Dopo la morte di Marcel Marceau sembra che la nobile arte dell'espressività silenziosa sia morta. E invece continua a vivere sottotraccia. Come dimostrano gli spettacoli dell'americano Eric Wilcox e del tedesco Jan Romberg

Da sette anni Marcel Marceau dorme nel cimitero parigino delle grandi glorie, il Père Lachaise. E, dalla sua scomparsa, l’arte del mimo pare essere da noi in letargo. Eppure è nobile arte, non foss’altro che per quella abolizione della parola che la rende non solo universale ma essenziale, pregnante. E infatti Marceau metteva nell’Olimpo dei propri  maestri Etienne Decroux (francese, il più diretto) per risalire a Buster Keaton, ai Fratelli Marx, a Charlie Chaplin. Ha degli epigoni, Marceau. Il più accreditato è Gregg Goldston, che gira per il mondo (come fece con Marceau) e che è una stella nel suo paese, gli Stati Uniti. L’altr’anno è venuto in Italia, dove ha fatto una breve tournée e ha poi tenuto uno stage presso la factory degli attori retta dal Jobel Teatro, in Sabina.

Ma per Goldston e il mimo nel Bel Paese non si riescono a trovare grandi palcoscenici, né telecamere.  Finito Marceau, si potrebbe osservare, le platee nostrane non hanno scovato ancora il divo che possa rimpiazzarlo. Il motivo? Forse nei tempi attuali, votati maggiormente all’apparire che all’essere, alle urla che al silenzio. C’è minimalismo nell’arte del mimo. Non ha i lustrini di un Cirque du Soleil, anche se la virtuosa fisicità dei suoi cultori non ha nulla da invidiare ai funamboli sotto l’osannato tendone. O forse la pecca sta nella delicatezza, nella poetica dei sentimenti, delle sensazioni. E nell’assenza del bla bla di parolacce. Ancora, nel rivolgersi all’esercizio della mente, alla fantasia surreale, all’attenzione intellettuale del pubblico, abituato invece a divertimenti corrivi, mordi e fuggi. Una battuta,  una risata, una lacrimuccia e via.

Quanto scarna e insieme ricca sia la specialità del venerato Marceau l’hanno invece appena dimostrato a Roma il duo MMR, ovvero lo statunitense Eric Wilcox e il tedesco Jan Romberg, allievi di Goldston, che hanno presentato il loro ultimo spettacolo nella piccola e coraggiosa sala del Teatro della Bottega, una platea di 50 posti con annessa scuola di teatro, musica, danza, scenografia e regia che anima il popoloso quartiere Portuense , privo ormai anche di un cinematografo. Programmatico il titolo dello show, che si replica da Istanbul a Dresda a Varsavia, Imagine! Now!. Una sequenza di pantomime che nella dilatazione/contrazione dei gesti, nello svariare delle espressioni facciali tocca le corde del dramma, della tragedia, del comico, del sentimentale. Non c’è più ricerca meramente mimetica, c’è il ricorso a una suggestione intellettuale, a rimandi della cultura e della memoria, della pittura e della musica. Come nello short “Esseri marini”: Wilcon e Romberg s’inabissano in un pelago immaginario, dove potremmo sentir risuonare note di Debussy o individuare marosi espressionisti. Mani e braccia ondeggiano, alludono a celenterati diafani, che vivono nel cullarsi delle cellule nervose.

Ne “Il palloncino” la lotta è con un filo, quello del palloncino appunto, che si trasforma in tiranno, perché tira su, in alto, nell’empireo o nell’iperunanio o nello spazio, chissà?, un pacioso signore desideroso soltanto di farsi una borghesissima passeggiata in un parco. Allo stesso modo di un altro che vorrebbe leggere il giornale e che invece è insidiato da un casuale vicino di panchina, capace di condizionarlo nei movimenti fino al parossismo. L’immaginazione si fa rarefatta nel crescendo di violenza che vibra ne “Il miraggio”; la denuncia dello sfruttamento di animali (ma anche di diversi, di immigrati clandestini, di classi poste artatamente nel gradino più basso…) ne “La scimmia”. Si sogna e si riflette. Mentre il duo MMR se ne va in punta di piedi. Hanno raccontato alla fine della performance: “Il silenzio assoluto ci permette di ascoltare la musica dei nostri movimenti, il fluire del corpo. E ci permette di sentire anche il respiro del pubblico. Capiamo così se c’è empatia con gli spettatori, o percepiamo il minimo moto di loro disappunto”. Davvero “Imagine! Now!”.

Facebooktwitterlinkedin