Angela Di Maso
Al Teatro Elicantropo di Napoli

La banalità del male

Carlo Cerciello torna a mettere in scena “Quartett“ di Heiner Müller. Ne è venuta fuori un’opera impeccabile, dolorosamente crudele, tragicamente vera. Come la vita

Stagione 1999-2000. Teatro Elicantropo. Per la prima volta in scena, Quartett di Heiner Müller, opera che concentra e incendia la materia de Le relazioni pericolose di Pierre Choderlos de Laclos. Protagonisti Imma Villa e Paolo Coletta. Regia di Carlo Cerciello. Lo spettacolo vince il premio Bartolucci 2001 al Festival di Sant’Arcangelo e si aggiudica una nomination al prestigioso Premio Ubu, Sezione Premi Speciali nel 2000. Stagione 2013-2014. La meraviglia si ripete. Presentato da Teatro Elicantropo Anonima Romanzi e Prospet, in scena fino al 2 marzo, lo storico teatro di Vico Gerolomini diretto dal regista Carlo Cerciello, riparte con e da Müller. La lotta continua. Questa volta però non spudorata, come ci ha abituati l’impavido Cerciello, ma (s)velata da Eros e Thanatos, risvegliando – in realtà mai assopiti – i fantasmi erotico-masochisti, appartenenti alla tipologia codificata da Leopold von Sacher-Masoch, di una inumana umanità.

Un dedalo – scene di Massimo Avolio e Roberto Crea – perimetrato da tele bianche, disegna il percorso obbligato che lo spettatore deve compiere prima di arrivare nelle stanze della perdizione. Lo spazio scenico si spacca. Una diagonale di plastificata lastra, forma i quattro ambienti. Al centro una impercettibile porta girevole, grazie alla quale i protagonisti entrano ed escono senza mai toccarsi. La masturbazione è l’atto divino, e per questo è Verbale. La marchesa Marteuil e il visconte Valmont, in virginali vesti bianche – costumi di Julia Luzny – amanti sadici e perversi, devono ammazzare il tempo, e in un gioco delle parti, interpretando la vergine Volanges e madame de Tourvel, (da cui il titolo Quartett), il visconte compie un fallo: si innamora della Tourvel, provocando la furente gelosia della marchesa che l’uccide avvelenandolo con un bicchiere di vino. Ipocriti, elegantemente volgari, tutto il putrido è ormai lì, visibile, maleodorante come solo possono essere escrementi umani; menefreghisti che combattono per orgoglio. Le uniche persone da difendere sono loro stessi. Non v’è un’oncia di sentimento, ed anche la gelosia dalla marchesa non è amore, ma rivendicazione dell’umiliazione subita.

Ma in fondo, alle persone il gioco al massacro piace. Inizia come difesa, poi si passa al gusto dell’attacco, della sopraffazione e della sofferenza dell’altro fino all’abbraccio mortale del Dio della carneficina. Carlo Cerciello torna a parlare di falsi valori borghesi, dell’apparenza contro la vera natura umana, di ciò che appare in superficie e ciò che si agita nel profondo. Quello che infatti inizia come una “recita”, col solo scopo di raggirare la noia di una stanca coppia, diventa presto una sorta di match di wrestling psicologico, e in parte fisico, che regredisce fino alla morte, perché il divertissement offerto si tramuta progressivamente in una sensazione carica di un pessimismo e di un’insensibilità spiazzante. Quartett è essenzialmente uno spettacolo sulla non comunicabilità dell’essere umano, un viaggio che ripercorre l’involuzione antropologica di una società – sociale, politica, culturale e teatrale – ridotta a brandelli.

Da questo inferno sartriano – “gli altri” – spesso non possiamo sfuggire (ecco la chiusura scenica); attori e pubblico si specchiano soventemente, scorgendo ciò che non si vorrebbe mai vedere, il riflesso di noi stessi messi a nudo, nella meschinità e nel pregiudizio, nella povertà di spirito e nell’ignoranza; in ultima analisi nella nostra più fragile e fallace natura umana. L’aria si fa densa e tossica e sembra impossibile respirare se non tra il sibilo continuo di parole al vetriolo. L’avvelenamento rappresenta un punto di non ritorno, un colpo basso, tanto crudele quanto imprescindibile, la presa di posizione di un regista che in questo modo esprime tutto il suo profondo disgusto di fronte alla società.

Imma Villa nei panni della Marchesa riesce a trasmettere mirabilmente il misto di orrore e bellezza, di violenza e fragilità che si cela dietro ogni eccesso. L’attrice dà dunque vita e corpo a un personaggio complesso e indimenticabile, di quelli che si incontrano raramente in teatro, confermandola tra le più talentuose protagoniste del teatro italiano. Partner d’eccezione, un altrettanto credibile, misurato e affascinante Paolo Coletta, perfetto nelle vesti del libertino Valmont. Sfruttando sapientemente la bravura dei suoi attori e padroneggiando con stile e rigore una materia incandescente, Carlo Cerciello realizza un’opera impeccabile, dolorosamente crudele, tragicamente vera. Non si tratta di voler capire, condannare o giustificare, ma di fare i conti con la natura umana nella sua peggiore  espressione, che non può non colpire, riempire gli occhi e stupire il cervello, ma soprattutto che chiede allo spettatore di assistere all’invenzione di un oscuro mondo di luce che si affaccia sull’abisso delle passioni.

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