Stefano Bianchi
Il nuovo album di Robbie Williams

Doppio swing

Classico e contemporaneo in sette inediti e sei rivisitazioni. Questo il mix scelto dall'ex Take That per “Swings Both Ways” dove torna a sfoderare la sua voce da consumato crooner. E alla soglia dei quarant'anni fa ancora una volta centro con un repertorio che non si smetterebbe mai di ascoltare

Spudorato. Irascibile. Gigione. Masochisticamente affezionato, dopo aver piantato in asso i Take That, all’abuso di droga e all’alzata di gomito. Poi, dopo l’inevitabile ripulita, dal 1997 s’è costruito una carriera di tutto rispetto. Se devo essere sincero, i suoi dischi (da Life Thru A Lens a Take The Crown, passando per Escapology e Intensive Care) non mi hanno mai fatto gridare al miracolo. Quel che comunque ho sempre apprezzato, di Robbie Williams, è la voce coi controfiocchi: ampiamente messa in mostra sin dai tempi della boy band più importante del pop britannico. Tant’è che sia su disco sia sul palco, il vocalist di Stoke-on-Trent era di gran lunga il più istrionico e il più bravo dei cinque. Bravissimo, poi, da solista, quando nel 2001 mi ha preso in contropiede dando un calcio al pop e “jazzando” con Swing When You’re Winning in un carosello di classici: da Somethin’ Stupid (in coppia con Nicole Kidman) a Mr. Bojangles.

Ventisette anni, aveva Robbie, eppure li indossava con una maturità da consumato crooner. Roba da non crederci. E ora che sta per compierne quaranta, ha pubblicato Swings Both Ways (Universal, 15,76 euro) e dice: «Sapevo che prima o poi avrei inciso un altro album così. Stavolta, però, è un omaggio e uno sguardo pieno d’amore nei confronti degli anni Venti, Trenta e Sessanta in cui non ero nato ma avrei voluto esserci. Ed è un album sostanzialmente diverso da Swing When You’re Winning: non ci sono solo covers ma anche canzoni scritte da me e da Guy Chambers che voglio far ascoltare al mondo e destinare alle persone come parte delle loro vite, se ne avrò la fortuna».

swingcdDisco che non si smette mai di riascoltare, raccoglie sette inediti e sei rivisitazioni. Devo ammettere che le novità, Robbie le ha davvero azzeccate tutte. C’è la felpata, saltellante e “hollywoodiana” title track in fenomenale duetto con Rufus Wainwright. Poi ci sono Shine My Shoes, swingante e pimpante bazzicando il rhythm & blues; la spensierata Go Gentle, che è pop in smoking con un pizzico di Burt Bacharach; l’orchestrale, fascinosa Swing Supreme; la ritmatissima Soda Pop, a un soffio dal boogie-woogie, con la partecipazione straordinaria di Michael Bublé; l’iper romantica e melodica Snowblind; la sinfonica No One Likes A Fat Pop Star, con quel non so che di cabarettistico che non guasta. I “sempreverdi”, pure loro, sono una delizia: la “disneyana” I Wan’na Be Like You (con Olly Murs), classe 1967, tratta da Il libro della giungla e all’epoca intonata da Louis Prima, Phil Harris e Bruce Rheiterman; Dream A Little Dream (in compagnia di Lily Allen), nata nel 1931 e super gettonata nel 1968 per merito dei The Mamas & the Papas; Puttin’ On The Ritz di Irving Berlin, anno di grazia 1927, interpretata per la prima volta da Fred Astaire; Little Green Apples (giostrata con Kelly Clarkson), 1968, che ha in curriculum due miti della voce: Frank Sinatra e Dionne Warwick; Minnie The Moocher, 1931, già nelle ruvide corde vocali di Cab Calloway; If I Only Had A Brain, 1939, canzone fra le più belle della commedia musicale Il mago di Oz. «Con questo swing, classico e contemporaneo, il mio augurio è di portare un po’ di romanticismo nel mondo», ha dichiarato il talentuoso Williams. E pensare che una volta era così irascibile…

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