Luca Fortis
Cartolina dal Cairo

Diritti d’Egitto

La nuova Costituzione, la vita quotidiana che riprende, le minoranze poco tutelate, il "carisma popolare” di Sissi: incontro con Fatima Khafagy, leader delle donne arabe

La vita è tornata a scorrere con tutta la sua prepotente energia, le strade del Cairo sono di nuovo un’infinita coda di autovetture malridotte e riparate alla meno peggio. Intorno a me si vende di tutto: dall’ultimo modello di macchina tedesca, agli asini e ai pomodori. L’aria sa di smog, ma anche delle spezie che gli egiziani comprano agli angoli delle strade. Per riprendermi da tutto questo frastuono mi fermo a bere un succo fresco di melograno. Mi sento come un antico carovaniere quando finalmente, stanco e sudato, arriva a un oasi. Dopo una pausa di qualche minuto riprendo il mio cammino e arrivo all’ufficio di Fatima Khafagy, attivista per i diritti delle donne e membro del board dell’associazione Alliance for Arab Women.  Ho intervistato Fatima più volte quest’anno, ormai mi racconta, passo per passo, quello che avviene nella tumultuosa vita egiziana.

Guardandomi con i suoi occhi intensi, mi spiega che nella bozza della nuova costituzione appena approvata dai saggi vi è qualcosa di buono, ma ci sono anche punti oscuri. Per la prima volta, mi spiega, il presidente avrà un limite di due mandati di quattro anni ciascuno e inoltre, non potrà possedere o controllare, anche indirettamente, aziende. Ho però, aggiunge, dei seri dubbi su alcuni punti, per esempio sui limiti che sono stati posti all’esercito.

Fatima KhafagyMentre mi offre un tè le chiedo se la bozza costituzionale garantisce davvero le libertà individuali o se protegge solamente i diritti di alcune minoranze, come Copti e ebrei.

«Il problema – sottolinea – è che una legge costituzionale che sia troppo distante da quello che la popolazione crede non andrebbe molto lontano. Molti egiziani non volevano il riferimento alla Sharia nell’articolo due, ma la maggioranza della popolazione invece lo vuole. Riguardo ai diritti individuali e religiosi, essere gay o essere ateo può essere ancora un tabù per ampie fasce della popolazione. Associare la causa femminile, sui cui esiste un maggior consenso, a questi temi o inserire questi diritti in un unico articolo costituzionale spaventa ancora molti perché pensano che la gente non capirebbe e finirebbe per non accettare nemmeno le leggi sulle donne. Questo è un vero problema di cui tenere conto. Anche sul fronte religioso le cose non vanno benissimo, per esempio una minoranza veramente discriminata sono i Bahai. Bisogna cambiare quindi la mentalità della gente, ci sono Ong che si occupano dei gay o dei diritti delle minoranze religiose, ma stanno molto attente a trovare linguaggi che il popolo possa capire. Molte persone ritengono che sia meglio avere una costituzione di basso profilo e che contenga alcuni compromessi con i Salafiti, con cui il governo sta tentando di venire a patti, piuttosto che rimanere con quella vecchia fatta da Morsi. Io penso però che su queste questioni si debba stare molti attenti. Ci vorranno sicuramente ancora due generazioni prima che cambi nel profondo la mentalità delle persone. Le associazioni, mi spiega, sono spesso troppo competitive tra di loro. «Per esempio nel campo femminile i rappresentanti che hanno emendato la costituzione ci hanno fatto notare che ogni giorno incontravano un gruppo di donne diverso. Non riusciamo a essere uniti. Questo ci rende deboli. Anche le donne presenti nel gruppo che ha emendato la costituzione, non hanno fatto squadra tra loro e non sono riuscite a rappresentare a pieno le organizzazioni femminili. È tempo di fare gruppo».

Pensando al ruolo che la televisione pubblica italiana ha avuto negli anni cinquanta nel cambiare la società, le chiedo se la Tv egiziana sta modificando in positivo la mentalità degli egiziani.

«Per ora no. I media stanno perdendo la loro credibilità, perché non sono professionali, soprattutto se si fa un confronto con quello che avviene negli altri paesi. In Egitto, le persone che scrivono i programmi sono davvero poche e invitano sempre gli stessi commentatori televisivi che finiscono per spacciare le loro opinioni come fatti».

Parlando di media non posso non chiederle quello che pensa di casi come quello del popolare comico BassemYussef, a cui hanno chiuso il programma dopo che ha deriso Sissi.

«Credo – mi risponde – che sia allarmante, penso però che non sia stato il governo a chiedere la chiusura del programma, ma che siano stati i capi della televisione per cui lavorava che si sono autocensurati pensando di fare un piacere al nuovo uomo forte dell’Egitto. In realtà agendo così hanno finito per fargli un danno. Se Morsi tollerava BassemYussef, non può non farlo anche lui. Bassem può giocare un ruolo molto importante per insegnare al popolo e al Paese la libertà di opinione. Soprattutto in una nazione in cui anche i poveri cominciano ad avere internet sui telefoni cellulari. Alcune volte è il popolo che può creare dittatori, le dico, c’è il rischio che Sissi diventi un dittatore? Penso di no, mi risponde, il popolo è cambiato profondamente in questo periodo rivoluzionario, hanno fatto cadere due presidenti che consideravano dittatori in due anni e non esiteranno a farlo ancora. Anche i partiti politici che oggi sono deboli e incapaci di intercettare i desideri degli egiziani, non permetteranno a Sissi di diventare un rais in stile Mubarak, ma gli permetteranno, se si candiderà, di fare due mandati perché questo gli darebbe il tempo di riorganizzarsi e diventare competitivi».

Se Sissi si candiderà, è probabile che vinca le elezioni…

«Il popolo adora Abdel Fatah el Sissi e pensa che lui e l’esercito siano gli unici in grado di garantire la sicurezza. Il problema sta poi nel fatto che i partiti tradizionali non riescono ad esprime una classe politica che possa vincere. Non ci sono leader che possano davvero sfidare l’attuale ministro della difesa, se deciderà di candidarsi. Questo spiega perché così poche persone abbiano annunciato che si candideranno, tutti aspettano di vedere se lo farà lui. Il problema di fondo è che la rivoluzione non ha saputo creare partiti che sappiano portare avanti le idee che hanno spinto il popolo nelle piazze e i vecchi politici non hanno ancora mutato pelle».

Concludo l’intervista chiedendogli se Sissi ha un programma politico o se la gente lo sostiene perché è l’uomo forte.

«Penso che ci saranno pressioni, almeno delle forze politiche, perché presenti un programma. Il popolo forse non le farà e lo voterà perché è l’uomo della sicurezza. Io ritengo che alla fine si presenterà alle presidenziali, perché ad oggi non c’è nessuno con tante carte da giocare. Inoltre, aggiunge, prima che la situazioni si stabilizzi completamente, temo ci vorrà ancora tempo, ci saranno ancora scontri con quella minoranza della popolazione che sostiene i Fratelli Musulmani, e anche terrorismo. Ho anche paura che Sissi possa passare leggi per controllare la società spacciandole per leggi anti terrorismo. Su questo punto alcuni articoli della bozza costituzionale sono ambigui».

Saluto Fatima e raggiungo un’amica italiana che vive al Cairo. Decidiamo di fumare un narghilè in un posticino che lei conosce. Ha anche il giardino, mi dice. Ci sediamo, ordiniamo la pipa ad acqua e un chai. Mentre fumo con piacere guardo l’oasi: sei vasi in mezzo alla strada con dei fiori e delle verdure. I tavolini sono in mezzo a due vie, cassette della frutta e piante tentano di impedire agli intraprendenti automobilisti locali di porre fine alla nostre vite. Intorno a noi impavidi gatti si grattano sui vasi e una macchina rovesciata viene usata per riporre le verdure del mercato. In fondo, penso, non è vero che gli italiani siano gli unici a capire di design.

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