Maria Chiara Bruno
Al teatro Franco Parenti di Milano

Poesia del nonsense

Ha debuttato "Totò e Vicè" di Franco Scaldati nella versione di Enzo Vetrano e Stefano Randisi: due amici morti si ritrovano altrove forzando la realtà con la loro poesia. Uno spettacolo da non perdere

In uno spazio senza spazio e senza tempo due anime clochard scommettono tutto sulla magia più pura del teatro. È Totò e Vicé, pièce scritta da Franco Scaldati nel 1993 e riportata in scena dalla coppia di attori e registi Enzo Vetrano e Stefano Randisi (ora sono al Franco Parenti di Milano, co-prodotti dal Teatro degli Incamminati). Entrano in scena, valigia di cartone alla mano, lenti e vicini. Ad attenderli, una panchina, le fiamme timide di alcune candele, gli angeli, un treno, il cielo, il mare, il tramonto e poi le stelle – ora luci che si accendono e si spengono, ora occhi innamorati, ora campane da suonare appendendosi ad una corda immaginaria. Euforici, spaesati, curiosi, silenziosi, preoccupati, tristi, soprattutto amici, Totò e Vicé si specchiano l’uno nell’altro attraverso i sogni, i pensieri, le fantasie, le paure.

Surreale, onirico, libero, gratuito e per questo più necessario del necessario, il testo di Scaldati trova nella complicità e nell’esperienza dei due interpreti la sua anima più estrema e poetica, le sfumature di ogni nonsense, l’urgenza vitale di ogni dettaglio superfluo. Totò e Vicé sono morti, lo sentiamo dal primo momento, lo sappiamo quasi alla fine dello spettacolo. Uno si è svegliato morto e l’altro non ha retto la perdita dell’amico è si è gettato da una rupe. Ora sono insieme però, come sempre lo sono stati e come sempre lo saranno. Perché così non hanno paura. Insieme e vicini esistono, sospesi, densi e impercettibili comunque, sempre e dovunque. Esistono fuori dalla logica e dentro ogni anima, fuori dalla realtà e dentro ogni illusione. Sono liberi di correre, saltare, rallentare, fermarsi, perché non devono andare da nessuna parte. Possono rimanere in silenzio o parlare perché non hanno niente da dire. Possono lanciare parole che siano farfalle – o forse fiori visto che «se una farfalla sogna di essere un fiore, forse è un fiore».

Sono altro da tutto ciò che si può conoscere e comprendere, sono il testamento più intimo di un poeta e i testimoni indimenticabili della Poesia che esiste e resiste, nonostante tutto. Sono quelle farfalle che diventano fiori nell’unico luogo in cui il sogno può accadere, in cui anche chi non c’è più può esserci. Basta spalancare gli occhi.

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