Erminia Pellecchia
Dedicato al Suor Orsola Benincasa

L’Elegia di Jodice

In 70 scatti del fotografo napoletano raccolti nel volume “Le savoir sur la falaise”, i luoghi e le storie del complesso monastico fondato alla fine del '500 dalla mistica intellettuale, oggi Università. Un racconto tra memoria e presente, rigorosamente in bianco e nero: perché «lascia ampio spazio all’immaginazione…»

La fuga dei tetti sembra veleggiare, quasi prua di nave fantasma, verso l’isola-approdo della collina di Posillipo che si apre improvvisa, tra l’ombra remota del golfo, nello squarcio luminoso delle nuvole. È da questa immagine, reale-irreale di una Napoli congelata in una metafisica immobilità, che parte il viaggio di Mimmo Jodice nei luoghi e nelle storie del Suor Orsola Benincasa, lo straordinario complesso monastico fondato, verso la fine del Cinquecento, “sulla montagna del Santo Martino”, dalla mistica intellettuale come atipica congregazione di laici. Oggi è Università, laboratorio affacciato sul terzo millennio, cittadella della cultura con al centro i valori dell’educazione e della persona: è il “sapere sulla scogliera”, come titola appunto il libro Le savoir sur la falaise (Mondadori Electa, 160 pagine, 49 euro), in cui gli scatti del maestro della fotografia, sospesi tra visibile e invisibile, sono la colonna emozionale agli scritti e alle memorie di autorevoli studiosi come Marino Niola, Pier Luigi Rovito, Benedetta e Piero Craveri, Elena Croce, Giuseppe Turco, Gae Aulenti, Cesare de Seta, Giovanni Coppola, Pasquale Rossi, Pierluigi Leone de Castris e Mariella Pandolfi, prefazione di Giovanni Puglisi, presidente della Commissione nazionale italiana per l’Unesco, e postfazione del rettore Lucio d’Alessandro.

Suor Orsola 2«I luoghi depositano tracce nell’inconscio, si fissano in profondità dentro di noi, riemergono con le intermittenze della memoria involontaria» sottolineava Filiberto Menna nell’appunto critico “Tra occhio e sguardo” dedicato al fare arte di Jodice. È proprio così. Il sodalizio tra il fotografo napoletano e il Suor Orsola parte da lontano, da un primo lavoro del 1985 sfociato nella mostra del 1987 (catalogo Mazzotta), al continuum delle recenti esplorazioni nel labirinto identitario, nelle geografie interiori di uno spazio che testimonia la grande storia d’amore tra la città di Napoli e il sogno di libertà della visionaria Orsola Benincasa, ereditato e fatto proprio dall’aristocratica femminista Adelaide Pignatelli e dalla suffragetta Antonietta Pagliara che trasformarono, nell’Italia postunitaria, il buen retiro di pie donne in avanguardistico progetto pedagogico per il progresso dell’educazione femminile.

Una “causa alta” che emerge inattesa, che fluisce e palpita nelle oltre settanta fotografie che scandiscono la recherche di Jodice: un racconto di pietra che si fa corpo vivo, «pietre che scrivono la storia e che sono storie pronte a svelare tutto ciò che sta oltre l’enigma dell’umano», annota la Pandolfi. L’artista-poeta scava in profondità, punta su ciò che sta al di là dell’apparenza e della superficie, crea un al di qua che è visione estetica ed etica. Nel caleidoscopio di immagini che costruiscono il volto intimo e segreto della “Dorotea” calviniana sorta alle pendici del colle di Sant’Elmo, il gesto del fotografo fa riemergere, dal limbo, i tesori dell’ateneo-famiglia. Il bianco e nero di gran contrasto è la cifra-firma di Jodice, perché, dice, «al colore che rappresenta la realtà, preferisco il bianco e nero che lascia ampio spazio all’immaginazione, che mi consente meglio di trasmettere le emozioni che percepisco quando mi abbandono all’osservazione».

SPE - (intranet) Invio per posta elettronica Mimmo Jodice 2Tra memoria e presente ecco scorrere riverberi di paesaggio e di architetture, giardini pensili di essenze esotiche, scale e corridoi che si perdono nell’infinito, muri sbrecciati tagliati dall’ombra di una palma e accarezzati da capperi, la fuga di sale e celle violentate, purtroppo, dal quotidiano delle sedie di plastica, terrazze panoramiche e lembi di affresco ritornati in vita, le grate impenetrabili delle sepolte vive in dialogo con gli interventi arditi di Gae Aulenti, il Cristo abbandonato nel sonno della morte sul nudo pavimento, i vecchi depositi di mobili, di arredi per processioni e di maschere stereoscopiche, i fotogrammi di ceramiche e busti marmorei, il teatrino di angeli che sembrano fissare l’obiettivo così come la teoria di santi, immortalati come se si tenessero per mano, e le bambole assorte nel vuoto al pari dei fenicotteri impagliati di un improbabile museo dell’horror in cui spicca il manichino rivestito della bizzoca che rivoluzionò la Napoli della Controriforma. Spettri, presenze inanimate, come gli antichi lampadari avvolti da un telo, frammenti di felicità e disperazione, l’assenza e il desiderio di un altrove, il ricordo di un cammino percorso e la speranza per quel che verrà.

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