Nicola Fano
Maxi investimenti e grandi risparmi

Roma, feste e festival

Alla presentazione della ventesima edizione delle "Vie dei festival" la direttrice Natalia Di Iorio pone finalmente il problema dei problemi: in base a quali criteri i tagli alla cultura colpiscono solo qualcuno? Siamo sempre al nodo lobby&famiglie

Insomma, qual è la politica culturale di Roma? Senza andare troppo lontano, se Nicolini s’occupò – semplicemente e genialmente – di dare una cultura ai romani; se Borgna ha cercato – spesso con successo – di moltiplicare i luoghi di cultura di Roma; se Veltroni ha puntato tutto sugli eventi; se Alemanno ha dato una svolta familiare  (la propria e quella di pochi altri) agli investimenti nel settore, il nuovo sindaco Marino non ha ancora fatto delle scelte. Salvo che anche non fare scelte, in un contesto così delicato qual è la cultura della capitale d’Italia, è una scelta. Non la migliore, per altro. Anche se a parziale scusante di Marino si può dire che dietro al suo disinteresse per la questione vengono a galla tutte le contraddizioni di anni e anni di caos e contrasti, quando non vere e proprie faide, dentro la sinistra in materia di sostegno alla cultura.

Il peso della “non scelta” e delle troppe contraddizioni si sentiva questa mattina come un macigno alla presentazione delle Vie dei Festival, una delle poche rassegne di livello internazionale che si abbia, da vent’anni oramai, in Italia. Da sempre la dirige con acume Natalia Di Iorio ma non è impossibile che questa che appena iniziata (qui su Succedeoggi trovate la recensione di Enrica Rosso al primo spettacolo in cartellone, Un anno dopo di Tony Laudadio) sia anche l’ultima. Il perché è presto detto: le non scelte dell’amministrazione Marino, come dicevo, alla fine si tramutano in scelte. E quest’anno il sostegno pubblico a Le vie dei Festival è semplicemente ridicolo. Al punto che il programma è il meno internazionale di sempre (per necessità) ma suona un po’ come una chiamata alla rivolta di tutto il miglior teatro italiano. Fino al primo dicembre a Roma, parte al Teatro Due parte al Vascello, ci saranno Toni Servillo, Fabrizio Gifuni, Scimone e Sframeli, Nicola Rosso, Mimmo Borrelli, Sandro Lombardi, Maurizio Donadoni, Carlo Cecchi e Nicola Piovani, Enzo Moscato e altri ancora, compreso un omaggio al grande Antonio Neiwiller (il 9 novembre a vent’anni dalla morte) sul quale torneremo a tempo debito.

Già sento la cantilena dei responsabili delle istituzioni: c’è la crisi, non ci sono soldi, per cui siamo costretti a fare tagli drastici ai finanziamenti alla cultura. È la stessa giustificazione che da Roma Capitale hanno dato a Natalia Di Iorio che chiedeva conto della riduzione del contributo pubblico alle Vie dei Festival alla risibile cifra di 45mila euro lordi (ossia comprensivi di Iva al 22% e costi Siae; al netto siamo a meno di 30mila per tutto ciò che ho appena elencato sommariamente!). Non ci sono soldi. Bene.

Anzi male! Perché la giustificazione è falsa: i soldi ci sono, eccome. Non si spiega altrimenti il sontuoso finanziamento di certi altri “eventi culturali” romani. I nomi? La festa del Cinema che inizierà da qui a poco; il festival della fiction televisiva che è appena passato quasi inosservato all’Auditorium; la rassegna/protettorato Romaeuropa. Per parlare solo di eventi noti e dai risultati riconoscibili (nel bene e nel male). Che dire, poi, di una grande kermesse in memoria di Pina Baush (a cinque anni dalla morte!) che si prepara per il prossimo anno all’Argentina con i fondi di Roma Capitale e, a quanto sembra, per la cura di un eccellente, navigato e giustamente costoso operatore culturale internazionale che risponde al nome di Andrés Neumann? Ci sono, i soldi, ci sono eccome. Salvo che vengono spesi copiosamente per alcuni mentre sono negati ad altri. Nella cultura, la crisi colpisce a macchia di leopardo e le istituzioni (nazionali e municipali, beninteso) disegnano le macchie chiare e quelle scure. Sicché il non scegliere, il non adottare criteri trasparenti e univoci è una scelta a propria volta che taglia le gambe a qualcuno e fa ancora più ricchi altri.

Dicevo che tutto questo porta alla luce le contraddizioni covate, quasi vezzeggiate per anni dalla sinistra in ambito culturale. A chi non mi conosce premetto che da trentacinque mi occupo di queste cose e sono sempre stato e sono “di sinistra” (per quel che vale, oramai) e conosco dall’interno tutte le dinamiche di cui sto parlando, benché non ne abbia mai tratto vantaggio di sorta. Ciascuno degli eventi che ho citato (la festa del cinema, quella della fiction tv, Romaeuropa e l’omaggio postumo a Pina Bausch, se si farà) facevano capo, in origine, alle velleità elettorali di qualche maggiorente della nostra sinistra politica. Ognuno, nel tempo, ha fatto e finanziato la propria “vetrina” personale donando ai cittadini una bella festicciola pagata con i soldi pubblici. Poco male, si dirà, in tempi di vacche grasse e soprattutto in presenza di proposte culturalmente significative. Ma in caso contrario?

Faccio un esempio più concreto per rendere l’idea. A Roma, negli ultimi decenni, i buoni spettacoli stranieri si potevano vedere o a Romaeuropa e alle Vie dei Festival. Salvo che quest’ultima, la rassegna diretta da Natalia Di Iorio, ha goduto e gode di un finanziamento pubblico pari a circa un ventiduesimo di quello di cui gode il sontuoso festival diretto da Monique Veaute. Come dire? A parità di risultati, Le vie dei Festival costa ventidue volte meno dell’altro. Servono altri commenti? È sempre brutto fare nomi e cognomi, chiamare in causa eccellenti professionisti (tali sono sia Neumann, sia la Veaute, ovviamente), ma ottenere risultati significativi con gran dispendio di denaro pubblico (in assenza di leale concorrenza, poiché agli altri invece vengono tagliate le gambe…) è relativamente semplice. Anche se di sicuro non è in ragione di questa “relativa semplicità” di successo che la Veaute di recente è stata eletta anche nel consiglio d’amministrazione del Maxxi!

Il problema è sempre quello che ho affrontato più volte, qui su Succedeoggi: non fare scelte significa in realtà farne di notevolissime escludendo regolarmente chi non è amico, chi non è potente, chi non è di famiglia (istituzione tutelata a destra come a sinistra, state sereni!). Parlare di merito in questo desolante paesaggio (come fece l’attuale sindaco di Roma in campagna elettorale) è semplicemente un’offesa al buon senso. E in questi tempi così difficili l’effetto di tale meccanismo perverso è che molte forze valide vengono escluse dal palcoscenico culturale. A svantaggio di tutti. Anche di quei politici che considerano la cultura solo un mezzo elettorale. Salvo che costoro, fintanto che qualcuno non li contesta e non li rivota, non lo sanno.

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