Anna Camaiti Hostert

Il boia di Chicago

Così veniva chiamata Claudia Cassidy, critica teatrale cattivissima, star della scena americana intorno alla metà del Novecento, colei che scoprì Tennessee Williams. Un libro, negli Usa, riscopre il suo mito

La cultura non è sempre stata, come oggi, una delle prime risorse della città di Chicago che invece nella seconda metà dell’Ottocento e ancora all’inizio del secolo scorso era famosa per i suoi macelli e per una congerie di commercianti senza scrupoli guidati solo da una sfrenata avidità di denaro. «L’arte si situava miseramente al terzo posto. I critici avrebbero polemizzato a lungo contro quello che fu percepito come un set di priorità in questa metropoli del Midwest» scrive Chris Jones, critico teatrale del Chicago Tribune, nel suo nuovo libro pubblicato dalla prestigiosa University of Chicago Press. A conferma di ciò, ricorda il giornalista, la prima recensione teatrale apparsa sul giornale il 25 marzo 1853 condivideva la pagina con l’annuncio della macellazione di circa duemila maiali e con quello della più grande quantità di legname che stava per lasciare la città.

Bigger, Brighter, Louder, così si intitola il volume, fa una panoramica di 150 anni di recensioni teatrali che si trasformano in una narrativa storica piena di commenti e di dettagli sulla storia della città. Con un occhio acuto e attento ai particolari Jones svela alti e bassi della tradizione teatrale di  una metropoli che ha fatto la storia d’America. Tra i tanti personaggi che Jones menziona vale la pena di ricordare Claudia Cassidy (nella foto in altro, in un ritratto di Charles Osgood), critica teatrale sempre per il Chicago Tribune tra gli anni ’50 e ’60. La chiamavano “Acidy” Cassidy. Le sue recensioni teatrali infatti erano al veleno a tal punto che durante una riunione del Chicago Drama League nel gennaio del 1951 qualcuno fece notare che il motivo per cui le rappresentazioni teatrali che venivano a Chicago erano diventate così rare era interamente dovuto a lei “una donna al vetriolo”. «Lei – continuava il detrattore della critica teatrale – versa acido solforico su ogni nuovo show che viene portato a Chicago e spaventa gli operatori teatrali a tal punto che scappano via tutti i più importanti registi a scrittori di ogni spettacolo decente che viene prodotto a New York stagione dopo stagione».

Quando nel 1942 era approdata al Chicago Tribune, Claudia Cassidy era una delle poche donne a scrivere la propria colonna in un giornale interamente dominato da uomini. Cassidy era e continua a essere la più importante critica teatrale della storia di questa città e una delle più riverite d’America. La sua scrittura secca, pungente, spigolosa arrivava direttamente al punto senza mai perdonare niente a nessuno, senza sconti. Una scrittura preziosa anche se a volte crudele. Molte delle sue recensioni causarono reazioni viscerali. “Molte – scrive Jones- trasformarono le vite delle persone, costruirono o distrussero carriere”. Quando andò in pensione nel 1965 Time Magazine intitolò il suo articolo «Exit the Executioner» (“è uscito di scena il boia”) e nel 1996 quando morì il necrologio del New York Times recitava così «Claudia Cassidy, 96 anni critica d’arte: una che a Chicago non ha mai ammorbidito le sue parole». Cassidy che scriveva recensioni anche di musica oltreché’ di teatro esercitò il suo “regno del terrore” per decenni. Fu minacciata da cantanti liriche, registi teatrali e attori. Ma d’altro lato quando trovava qualcosa che le piaceva non aveva dubbi.

tennessee williamsFu il caso dello Zoo di vetro (“The Glass Menagerie”) di Tennessee Williams (nella foto qui accanto) che debuttò proprio a Chicago nel 1944 sotto una stella che non prometteva niente di buono. Infatti Williams era sotto pressione da parte dei suoi produttori che volevano un happy ending e minacciavano di chiudere lo spettacolo subito dopo il suo debutto perché’ temevano uno scarso interesse di pubblico. Il cast d’altra parte era dilaniato. Il tempo a Chicago era orribile; la compagnia arrivò alla Union Station sotto una tempesta di neve. Laurette Taylor non aveva lavorato da tempo e tutti temevano che avesse ricominciato a bere. Infatti dagli appunti di Williams sembrava che durante le prove avesse inciampato su alcune battute, avesse avuto attacchi di panico e non recitasse per niente bene. Chicago a tutti apparve la “freddissima” fine dell’intero progetto.

La sera della prima, la madre di Williams comparse senza preavviso senza conoscere la storia della pièce del figlio che poteva avere su di lei conseguenze inaspettate data la condizione dell’altra figlia che aveva appena subito una lobotomia; l’attrice principale scomparve e fu trovata nella cantina del teatro in preda ad un attacco di panico mentre stava lavando il proprio costume di scena; Williams raggiunse a fatica il teatro a causa della neve e del ghiaccio. Dopo lo spettacolo sarebbe voluto andare in chiesa (sembra che ci fosse una messa mezzanotte), ma il tempo fu così inclemente che dovette attendere senza l’aiuto del prete. E forse questa sofferenza valse la pena perché Acidy Cassidy scrisse una recensione memorabile.

Eccone uno stralcio. «Troppe bolle teatrali si rompono non appena vengono soffiate, ma lo Zoo di vetro ritiene nella sua adombrata fragilità la forza del suo successo. Questa nuova pièce teatrale che ieri sera ha trasformato il teatro Civico in un luogo crescente di incanto è vividamente scritta e soprattutto recitata superbamente. Paradossalmente è insieme un sogno al crepuscolo e una scrittura ‘dura’ che dimostra di conoscere come la gente pensa e si comporta. Impressa nell’ombra della memoria di un uomo prende vita in termini di parole teatrali, di movimento, di luci, di musica. E un pezzo teatrale vostro come mio, allunga i suoi tentacoli, vi cerca, poi vi agguanta e siete presi inesorabilmente  nel suo incantesimo». Dopo quella sera Cassidy andò a vedere lo spettacolo altre tre volte. Cosa impensabili ai nostri giorni. Forse perché annusò subito quanto personale era per l’autore quello che aveva visto e soprattutto perché capì che era stata testimone della nascita di un capolavoro. O forse ancora perché si sentiva stranamente vicina ai suoi personaggi specie femminili.

E questa non fu l’ultima volta che Cassidy scrisse della piece di Williams. Con il suo persistente apprezzamento convinse molte persone a venire da New York per vedere lo spettacolo. Un anno dopo la sua recensione che determinò una svolta nella carriera di Williams, lo spettacolo divenne un grande successo a Broadway e la performance di Taylor fu apprezzata a tal punto da essere considerata una delle migliori dell’epoca. Williams della sua esperienza a Chicago scrisse che fu «un evento che mise fine a una parte della mia vita e ne iniziò una nuova molto diversa da quella che avevo immaginato. Fui ripescato dall’oblio e acquistai un improvviso risalto che mi tolse da un affitto precario in una camera ammobiliata catapultandomi nella suite di un lussuoso hotel di Manhattan».

Ma il fiuto di Cassidy non finisce qui. Infatti fu lei a scoprire una giovane Lorraine Hansberry, scrittrice afroamericana la cui pièce Un grappolo di sole (Raisin in the Sun) fu la prima scritta da una donna di colore a raggiungere Broadway. Lo spettacolo  che sancì il debutto di Sidney Poitiers fu rappresentato a Chicago nel 1959 un mese prima di arrivare a New York e raccontava la storia di una famiglia afroamericana che si batteva contro le leggi della segregazione in America. Da esso fu anche tratto un film dal titolo omonimo che al 14esimo festival di Cannes nel 1961 vinse un premio speciale il Prix Gary Cooper. Cassidy sapeva benissimo che il suo giornale era talmente conservatore da pubblicare  nel 1955 un editoriale che affermava che Chicago era “without segregation”. Quindi doveva fare molta attenzione. Anche se lo spettacolo aveva già debuttato in altre città, tra cui Filadelfia, la scrittrice era terrorizzata dal  trovarsi nella sua città natale e dal fatto che raccontava eventi che si svolgevano proprio lì. Ma più di tutto la turbava il dover passare al vaglio di Acidy. Dunque lo spettacolo arrivò a Chicago e non ebbe inizialmente grande successo tanto che i produttori regalarono molti dei biglietti fino a che comparve lei in platea. Questo avrebbe deciso il destino della pièce e se avrebbe debuttato a Broadway. Acidy scrisse sul suo giornale un pezzo memorabile per equilibrio, ma anche per coraggio. Dopo avere affermato che lo spettacolo rappresentava «un impatto fresco riguardo qualcosa che prima o poi in questo paese dovrà accadere» la critica si collocava dalla parte del cambiamento sociale con forza e determinazione. La storia raccontava la decisione di una famiglia nera di Chicago di trasferirsi in un quartiere bianco che li respinge e le vicende che seguono a questo evento. Acidy fu molto attenta a non spingersi troppo in là con le parole e con i giudizi; non fece accenno alla storia razziale della città e tenne la storia entro termini generici e universali, ma scrisse una recensione che è rimasta nella storia del teatro americano. Questo il suo inizio: «Un grappolo di sole è uno spettacolo notevole… recitato da artisti di grande talento come Sideny Poitiers, Claudia McNeil e Ruby Dee. È un pezzo nuovo ancora gli inizi della sua storia con tanto tempo davanti per fare aggiustamenti che possono esaltare il suo forte impatto sociale. La cosa più importante per Chicago è che rivela qualcosa che farà il suo corso. Lorraine Hansberry dovrebbe essere fiera di quello che ha scritto…Questo è teatro che crea conseguenze, eco lontane e strappi che vanno diritti alla memoria di ogni cuore». Una forte presa di posizione e un giudizio duro che vede la segregazione allora tema scottante di un’America in fiamme come qualcosa di inevitabile e di giusto.

La critica, che non amava apparire in pubblico né essere fotografata o rilasciare interviste che riguardassero la sua vita privata, solo in un pezzo del 1971, l’ultimo della sua carriera già successivo all’essersi ormai ritirata, sembra rivelare indirettamente un lato più personale  che la riguarda. Ed è ancora attraverso un personaggio femminile di Tennessee Williams, Blanche DuBois  di Un tram che si chiama desiderio, che la critica svela un po’ di se stessa quando scrive: «Può forse qualcuno dimenticare l’ultima scena di Un tram? Quando vengono per portarla via Blanche si ribella allo stereotipo della sua femminilità umiliata. L’uomo incaricato di condurla in manicomio si toglie il cappello e le offre il braccio. Blanche si affianca a lui come una donna che esce per un invito a cena e dice “Chiunque lei sia nella mia vita sono sempre dipesa dalla gentilezza di qualche estraneo”. È un’uscita incantevole, elegante, ma sempre un’uscita verso il manicomio» chiude amaramente Acidy Cassidy rivelando insieme un realismo urticante e la dipendenza da un mondo maschile da cui le donne in quei giorni ancora dipendevano pesantemente e che forse l’ha obbligata ad un’uscita di scena prematura. Ma sempre con l’aplomb di una vera signora.

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