Andrea Carraro
Non basta la parola/13

Nascita del romanzo

Raccontare la storia e le passioni sotto metafora scandagliando tutte le possibilità della lingua: è così che nacque il genere letterario per eccellenza. Dalle meraviglie di Don Chisciotte in poi...

E veniamo  a definire storicamente il genere letterario per eccellenza,  almeno nella nostra epoca: il romanzo. Il romanzo è un’opera narrativa di ampio respiro (di più ampio respiro del racconto e della novella). Il termine viene, per farla breve, dalla parola “romanza”. La lingua romanza è quella che s’impose nell’Europa dopo il latino. I primi romanzi in occidente nascono nel Medio Evo in lingua romanza per l’appunto, miscela fra il volgare (il linguaggio parlato) e il latino (lingua ufficiale), che continuava ad essere usato per le opere di studio, scientifiche, filosofiche, mediche ecc. Per l’esattezza la primissima produzione era in “lingua d’oïl” (XI secolo): le narrazioni in versi di questa tradizione recuperavano temi greco-romani oppure rielaboravano temi cavallereschi (cicli bretone e carolingio) e venivano indicate già allora con il termine roman.

La novità di queste narrazioni è anzitutto che la vicenda narrata comincia a riguardare un solo personaggio o piccoli gruppi di personaggi (cavalieri), mentre prima il “genere epico” trattava di imprese militari (cavalleresche) collettive. Le vicende raccontate hanno un’impronta “storica” e “fantastica”. La narrazione diventa più movimentata e articolata rispetto al passato. Nel corso del Cinquecento comincia a imporsi il concetto di romanzo verosimile, cioè di “verosimiglianza” (che allora indicava una via di mezzo fra narrazione epica e narrazione storica). Un altro tipo di narrazione di quest’epoca è “romanzo picaresco” (dallo spagnolo pícaro, briccone, furfante) con i sottogeneri  “cavalleresco” e “avventuroso”.

don chisciotte picassoIl primo vero romanzo della storia della letteratura occidentale – nel quale queste tendenze sono racchiuse, esaltate e parodizzate – è il Don Chisciotte di Cervantes scritto agli inizi del Seicento che prende in giro la tradizione cavalleresca e cortese e quindi, indirettamente, anche i suoi fruitori. Il protagonista è un uomo sulla cinquantina,  un hidalgo (cioè un nobile) spagnolo di nome Alonso Quijano, appassionato di romanzi cavallereschi. Le letture di queste storie lo esaltano a tal punto da trasportarlo in un mondo immaginario. Egli si convince di essere chiamato a diventare un “cavaliere errante”. Si mette quindi in marcia, come gli eroi dei romanzi, per difendere e salvare i deboli. Alonso diventa così il cavaliere don Chisciotte della Mancia e inizia a girare per la Spagna. Nella sua follia, si porta dietro un contadino del posto, Sancio Panza, cui promette il governo di un’isola a patto che gli faccia da scudiero. Come tutti i cavalieri, Don Chisciotte dedica a una dama le sue imprese e la dama in questione è una contadinotta che lui trasfigura in nobildonna. Ma la Spagna di quel tempo non era affatto quella della cavalleria e dei romanzi d’avventura. La sua visionaria testardaggine lo spinge però a leggere la realtà con gli occhi del desiderio e del sogno (dell’utopia). Inizierà quindi a scambiare i mulini a vento con giganti dalle braccia rotanti, i burattini con demoni, le greggi di pecore con eserciti nemici. Combatterà questi avversari immaginari finendo sempre amaramente sconfitto, e suscitando l’ilarità delle persone che assistono alle sue imprese e del lettore. Sancio Panza rappresenterà in alcuni casi la controparte razionale del sognatore Don Chisciotte, mentre in altri momenti si farà coinvolgere dalle logiche del padrone. Don Chisciotte tuttavia perde gradualmente nel corso del libro la connotazione di personaggio “comico” a tutto tondo. Lo stesso romanzo di Cervantes si eleva bel al disopra della parodia o del romanzo comico. Il “folle” cavaliere mostra al lettore il problema di fondo dell’esistenza umana, cioè lo scacco dell’uomo di fronte alla cruda e prosastica realtà, la quale annulla l’immaginazione, la fantasia, il sogno, l’utopia ecc.

Ma è solo alla fine del Seicento e nel Settecento che l’idea di fiction pare affermarsi appieno, quando comincia a diffondersi, soprattutto in Francia, una letteratura narrativa di ampiezza e complessità maggiori della novella e destinata alla lettura (di svago) di un vasto pubblico. Va detto che i “moralisti” di quell’epoca ostacolavano di brutto il romanzo. Pensate che un’ordinanza del Re di Spagna, in accordo con la Chiesa, proibiva la diffusione dei romanzi in tutte le colonie americane perché ritenuta dannosa. Insomma si percepiva già allora il peso (morale, sociale, politico) insito in questo genere letterario che spesso nel corso della sua storia si troverà a essere osteggiato dai potenti proprio perché in esso gli scrittori cercavano di dire la verità, anche quando era aspra e scomoda.

Il genere del romanzo si diffonde parecchio nel Settecento con la progressiva ascesa della classe borghese e del “nazionalismo”. Ed è la cosiddetta “cultura di massa” – che nasce in questi anni – che contribuisce all’incremento di una vera e propria industria editoriale. I libri diventano una fonte di investimento e di profitto. Uno dei più significativi esempi di romanzi di questo periodo è Vita e avventure di Robinson Crusoe (1719). Defoe scrisse questo romanzo non solo per rispondere alla sua vocazione letteraria (era un commerciante e un giornalista) ma soprattutto per onorare i debiti che aveva accumulato. Ciò non gli impedì tuttavia di morire in miseria. Robinson Crusoe, rappresenta, a ben vedere, lo spirito della nuova classe borghese: grazie al suo ingegno e alla sua laboriosità e alla sua tenacia riesce a ottemperare alle numerose difficoltà che seguono il suo naufragio su un’isola deserta. Questo romanzo è diventato poi un modello, quello che suole chiamarsi un “archetipo narrativo”, nella letteratura, ma anche nel cinema (dove fu riadattato più o meno fedelmente numerose volte, la prima nel 1902 – agli albori del cinema – dal regista George Méliès.). L’ultimo, liberissimo riadattamento è, credo, Cast away, del regista Zemechis,  un bel film dove tuttavia  l’isola solitaria non è un più “paradiso perduto”, ma un inferno.

Sempre nel Settecento nasce il cosiddetto romanzo filosofico che attraverso l’invenzione satirica e fantastica, oltre a divertire il lettore, porta alla luce le contraddizioni e le ingiustizie della società. I due massimi esempi: I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift  e Candido di Voltaire. Nel primo è più spiccata la componente fantastica, nel secondo quella filosofica.

Alle narrazioni avventurose di Defoe e al corrosivo sarcasmo di Swift seguirono nella letteratura inglese i romanzi di Henry Fielding, al quale si deve Tom Jones (1749), grande opera in cui si fondono perfettamente analisi di costume, avventura e satira sociale: nell’Inghilterra del Settecento il trovatello Tom, adottato da un ricco filantropo, cresce nel lusso finché viene buttato fuori di casa dal legittimo erede. Dopo molte avventure, sposa la figlia del suo benefattore. Da questo importante romanzo fu tratto – voglio ricordarlo – un film assai bello che ha lo stesso titolo e che ne coglie benissimo lo spirito irriverente e apparentemente spensierato. Il film, del 1963, è diretto da Tony Richardson e interpretato da un Albert Finney giovanissimo. Romanzo e film non possono mancare nella biblioteca e nella cineteca di uno scrittore. Ne approfitto per ricordare che il cinema inglese degli anni Sessanta ha prodotto parecchi capolavori dimenticati o poco ricordati. (continua)

Consiglio 1° Non preoccupatevi di essere troppo franchi, di “ferire” la sensibilità di qualcuno dicendo le cose vere. Fregatevene dei benpensanti che trovano tutto offensivo, tutto scandaloso. La letteratura è scandalosa per definizione. Flaubert, com’è noto, fini in manette per Madame Bovary.

Consiglio 2° C’è anche una “scrittura terapeutica” sapete? Molti malati di depressione vengono incoraggiati dagli psicoterapeuti a scrivere su di sé, sui propri ricordi dolorosi, sulla propria malattia, in forma di confessione. Ecco, la letteratura, se bene indirizzata, può assolvere pure questo scopo. Anche nella mia vita la scrittura ha svolto una funzione terapeutica in varie occasioni.

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